di ​Mario Ajello
4 Minuti di Lettura
Giovedì 29 Agosto 2019, 00:21
Povero Rousseau. Utilizzato per manovre politiciste. Sminuito a strumento tattico. Diventato clava per lotte interne al Movimento 5 Stelle, con Di Maio che lo usa per minacciare Conte, e per tenersi il potere che rischia di perdere, e con Conte che decide di sfidarlo anche lì. 

Jean Jacques Rousseau, il filosofo da cui prende il nome la web piattaforma grillina della Casaleggio associati, non meritava di venire accostato a questo spettacolo. In cui Rousseau, inteso come luogo del voto sull’accordo di governo ancora indefinito da parte degli attivisti stellati, serve per alzare il prezzo (mandare Di Maio sulla poltrona di vicepremier), per perpetuare il comando ereditario di Casaleggio sul Movimento creato dal padre e per ribadire una purezza identitaria (la base che decide) che non c’è più ed è stata sostituita dalla più classica normalità in uso nei partiti verticistici. Ma se gli altri non si vergognano di quello che sono, consapevoli che la direzione politica non appartiene al popolo e che l’uno vale uno è un inganno colossale, i grillini hanno ancora bisogno della finzione demagogica. 

E così, Rousseau da mito della democrazia diretta è stato trasformato in alibi (se Rousseau non vuole, noi non facciamo) e in un mezzo, naturalmente manipolabile come è sempre stato, per ottenere di più nella trattativa di Palazzo. Il fatto che le istituzioni italiane, a cominciare da quella più alta, la Presidenza della Repubblica, debbano obbedire o essere condizionate da Rousseau, avvilisce e sconcerta. E bene ha fatto il Capo dello Stato a mettere le cose in chiaro: “Io prendo atto di ciò che dicono i gruppi parlamentari”. Altro che Rousseau! E povero Rousseau, quello vero, perché lui nel 1762 con il Contratto sociale propose la rifondazione della società sulla base di un patto equo, in cui il popolo rappresentava il corpo sovrano, solo detentore del potere legislativo e suddito di sé stesso. Ora invece, in suo nome, votano poche migliaia di residui attivisti online e da questo impalpabile suffragio, tutt’altro che universale, si vorrebbero far dipendere le sorti di una nazione. Come se fosse la volontà generale a determinarla e non l’ennesimo trucco a cui non credono più neppure molti di quelli che l’hanno introdotto nella politica italiana. 

Comunque Rousseau - che non era Voltaire - ha le sue colpe e verrebbe da dire che si merita questa sorte. In quanto è stato il pioniere di un malinteso senso dell’egualitarismo, dietro il quale si sono annidate palingenesi rivoluzionarie a tutto detrimento della società liberale. Ma qui andiamo troppo indietro e forse troppo in alto. Perché Rousseau, versione web, oggi è più che altro una scappatoia. Nacque come piattaforma per coinvolgere gli iscritti nel processo parlamentare e s’è ritrovata ad essere la macchina che ratifica l’interesse particolare di chi la guida. Nel corso del tempo, ha assunto la funzione di mera convalida delle decisioni che gli ottimati a 5Stelle si preparavano ad assumere. Spesso anche i quesiti sono stati presentati in maniera sibillina, per nulla disinteressata e ingannevole. Fa scuola il voto sull’autorizzazione a procedere nei confronti di Salvini per il Caso Diciotti: se si voleva votare sì all’autorizzazione, bisognava cliccare sul No e viceversa. Durante le tante votazioni si sono verificati più volte guasti tecnici, attacchi hacker, difficoltà nell’accesso, attese estenuanti e problematiche di ogni sorta. Anche il contratto tra M5S e Lega fu sottoposto al voto della base. Il 18 maggio 2018, i militanti diedero il via libera approvando a schiacciante maggioranza (94 per cento di sì). Stavolta si prevedono proporzioni meno schiaccianti. E comunque, lo pseudo Spinoza su Twitter si diverte con buone ragioni a prendere in giro Rousseau e fa dire al filosofo ginevrino: “Se volete ho già i risultati”. Del voto che sta per cominciare. A riprova che Rousseau sta alla democrazia - e anche alla Costituzione, da qui la sua abissale distanza culturale che Mattarella ha voluto rimarcare - come un intruso in un (possibile) matrimonio. 

Con quest’ultima trovata, la stagione della presunta democrazia diretta (in realtà eterodiretta) sembra finire nel peggiore dei modi. Con il voto su un governo che non c’è, e tramite il ricorso all’acrobazia e alla fretta pur di garantirsi, da parte dei superiori, il risultato più conveniente nel momento più comodo. E forse è inutile chiedersi se Casaleggio (tendenzialmente contrario all’accordo rosso-giallo) farà saltare il banco o farà ratificare la scelta di Grillo e Conte. Perché l’oligarchia del partito rousseauiano ha già trovato la sua intesa e l’insieme delle reciproche convenienze interne. 

Diceva Rousseau: “Bisogna costringere l’uomo ad essere libero”. Il che è un brutto paradosso. Ma almeno, pur fra tutti i suoi errori che tanto hanno pesato e pesano nel corso della storia, non ha mai detto che bisogna costringere la rispettabilità di un Paese e l’onore di una nazione ad abbassarsi fino al voto su Rousseau.
 
© RIPRODUZIONE RISERVATA