di Mario Ajello
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Domenica 26 Aprile 2020, 09:23 - Ultimo aggiornamento: 09:25
Il contagio non è sparito, ma il 25 aprile non si tocca. O meglio, si tocca in due maniere. Diverse. Opposte. Da una parte i mini cortei fuorilegge a Roma e a Milano, con le bandiere rosse degli antagonisti a cui se chiedi che cos'è stata la Liberazione possono risponderti al massimo che si trattò di uno sballo da centro sociale, e le varie adunate Anpi con tanto di passaporto governativo per bucare il lockdown che gli altri, compreso il Papa da solo a Pasqua, devono rispettare. E via con le solite immagini dei soliti 25 aprile, anche se nulla stavolta dovrebbe essere uguale a sempre. Dall'altra parte però, a riprova che la storia non può essere degradata a macchietta, l'immagine del presidente Mattarella che in solitudine e con la mascherina sul volto sale sull'Altare della patria contiene un messaggio decoroso e non divisivo - oltre che rispettoso delle norme sanitarie - di come stavolta s'è trasformata questa commemorazione.

Gli uni, insieme al codazzo internettiano dei siparietti vetero-resistenziali e narcisistici della gente che piace e che si piace da terrazza Bella Ciao, usano il 25 aprile in chiave passatista e vetero anti-fascista - dopo aver orecchiato la teoria gobettiana del mussolinismo come «autobiografia della nazione» - mentre gli altri, l'Italia più consapevole e più responsabile che si riconosce in Mattarella, orientati a dare a questa ricorrenza speciale il significato che deve assumere in questa circostanza. Cioè quello di stimolo a rispettare per amor di patria una disciplina civica e a cercare tutti insieme una strada per ripartire. Due Italie? Purtroppo, sì. Ma non equiparabili, naturalmente per spessore, per importanza e per senso di attaccamento alle sorti della nazione.
Questo strano 25 aprile è quello del teatro Carlo Felice di Genova che non è pieno di pubblico ma non è vuoto di autorità e l'orchestra, pur essendo un assembramento, mescola nel suo repertorio l'Inno di Mameli con Bella ciao. Ed è quello in cui le «neo-staffette partigiane» in bicicletta e fazzoletto rosso al collo girano per le strade di Milano e «Ora e sempre resistenza!» e lockdown deve apparire loro una costrizione dello Stato borghese. Così come appare anche a quel ragazzo «guevarista» che ieri nel presidio a Torpignattara, mentre un poliziotto gli diceva di tornare a casa, replicava: «Ao, e che me stai a reprime'?!».

IL DERBY
Il fatto è che questo 25 aprile nelle piazze non vuote come sarebbero dovute essere - non era sola come Mattarella la sindaca Raggi in vista a Porta San Paolo - ha riproposto in maniera surreale il solito derby tra opposte tifoserie: gli antifascisti contro i fascisti. Se non fosse, però, che alle 15,30 di ieri bisognava intonare tutti insieme dai balconi «e questo è il fiore del partigiano...» e invece niente o molto poco: anche i balconi si sono stancati di venire usati.

I SIPARIETTI
Le solite parole, tra un web siparietto e l'altro, non riescono invece a sottrarsi all'inflazione combat fuori tempo massimo. Non c'è cerimonia reale o virtuale, non c'è adunata Anpi e non c'è mainstream resistenzial-internettista, in cui il sottotesto non sia questo: occhio, il nemico fascista è in agguato più che mai. Carlo Ginzuburg, che pure è uno storico di valore, in una delle maratone online ieri ha sostenuto che le tracce di un fascismo di ritorno sarebbero anzitutto nel numero di fake news in aumento. Peccato però che le false informazioni siano state anche il pilastro dei regimi comunisti del passato e lo siano di quelli del presente e risultano purtroppo anche un ingrediente fisso di questa società aperta e liberale (ma dovrebbe esserlo molto di più) in cui viviamo. E il sociologo Marco Revelli che avverte: «Continua ad allungarsi l'ombra nera nei nostri paesi»? Suvvia, non siamo più in un libro di Beppe Fenoglio. Siamo però a #iorestolibero, il tormentone di queste ore, che allude alla libertà minacciata. Ma da chi? Da qualche Dpcm salva vita? Da qualche aspirante sottosegretario di CasaPound?

L'OROLOGIO
Si tenta di riportare indietro l'orologio italiano, con poco rispetto per le tragedie in corso. L'esigenza di sconfiggere il nemico, non il Covid ma il fascismo immaginato, non può sopportare regole e restrizioni e quindi tutti in piazza, o almeno ci si prova, con l'avallo della circolare governativa secondo cui «le associazioni partigiane e combattentistiche» hanno la facoltà di derogare al blocco generale.
In una giornata così, mentre la retorica tracima dal reale al virtuale e ritorno, l'asciuttezza e la contemporaneità di Mattarella all'Altare della Patria smorzano tutte le fanfare. O quasi.
 
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