La necessità di semplificare per consentire la ripartenza

Roma senza fondi/ La necessità di semplificare per consentire la ripartenza

di Marco Simoni
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Sabato 1 Maggio 2021, 00:29 - Ultimo aggiornamento: 10:07

Le semplificazioni della burocrazia sono il Sacro Graal della politica italiana almeno dal 1994, quando Silvio Berlusconi scese in campo per iniziare la sua avventura politica. Da allora, come quell’oggetto mitologico, tutti le cercano: alcuni provano a realizzarle realmente, altri solo a parole, ma nessuno le trova mai: forse quel Sacro Graal non esiste. Eppure esistono i dati, che attestano – ad esempio sui tempi delle opere pubbliche – che in Italia la situazione è tendenzialmente peggiorata: i tempi si sono allungati, le procedure pubbliche, così importanti per consentire a famiglie e privati il pieno svolgimento della loro libertà, continuano a essere un ostacolo.

Sia chiara una cosa: la burocrazia anche farraginosa non è una specificità italiana. Ogni Paese ha la sua dose di pesantezze pubblicistiche e, entro certi limiti, è un costo più che sopportabile per avere un welfare state diffuso, una democrazia rappresentativa che controlla dove vanno le proprie risorse, insomma uno Stato propriamente detto. Il problema è che in Italia i passaggi amministrativi e le relative incertezze sono talmente tante e stratificate da rappresentare un vero ostacolo, e un ostacolo disomogeneo nel Paese. 

Questi sono i due punti chiave: incertezza e disuguaglianza. Prendete i permessi urbanistici, un rapporto con dati del 2015 mostra che la variabilità per un permesso in Italia va dai 500 ai 70 giorni, mentre la legge prescriverebbe 60 giorni (che evidentemente non sono perentori, perché non sanzionati). All’incertezza implicita in molte norme si aggiunge il paradosso che il tentativo di semplificare ha spesso portato al susseguirsi di novità legislative che hanno aggiunto incertezza, e costi notevoli per le imprese private che devono competere sui mercati internazionali ma con una zavorra che altri non hanno. Questo indica due cose. La prima, semplificare è difficile, più che di creatività c’è bisogno di diligenza: non servono tagli, ma investimenti. Il Pnrr ha capitoli importanti su questi temi, dalla Pubblica amministrazione a importanti indirizzi sulla concorrenza e le semplificazioni ci auguriamo che le misure arrivino presto.

La seconda: le differenze di efficienza da città a città spiegano più di tante analisi il permanere di differenze economiche tra diversi territori, ma anche le crisi più recenti, come quella decennale che affligge Roma. La crisi di Roma è infatti prima di tutto la crisi del suo apparato amministrativo.

Negli scorsi giorni è stata ampiamente discussa la debacle della Capitale nell’ottenimento di fondi infrastrutturali del Pnrr. Ricordiamo la ragione: l’assenza di progetti esecutivi, la mancanza di vere basi su cui impegnare risorse a breve termine. Su questo andrebbe chiamata la responsabilità della giunta attuale e di quelle recenti. Stiamo infatti assistendo anche in questa fase pre-elettorale al dominio assoluto del vuoto chiacchiericcio politico rispetto alle necessità strutturali di semplificazione e funzionamento diligente dei doveri del Comune. Perché, come spero sia chiaro dal mio ragionamento, per semplificare sono necessari seri investimenti, investimenti di capitale umano e investimenti di credibilità politica. Meccanismi più agili e semplici per i cittadini e le imprese hanno bisogno di professionalità e competenze, e di una squadra di servizio pubblico locale motivata nella sua missione. Certo forse la attuale amministrazione non poteva risolvere in una legislatura problemi stratificati, ma si poteva mettere su una squadra di emergenza che producesse dei piani per ottenere i fondi del Recovery Fund. In un anno si sarebbe potuto fare molto per le prossime generazioni. Quello che resta di questo altro capitolo difficile della storia attuale di Roma è la conferma di quanto stiamo sostenendo da mesi: senza un cambio radicale di modello (e tantissimo si può fare a leggi vigenti, senza nascondersi dietro l’alibi della necessità di una legge nazionale, che poi certo sarebbe benvenuta) dalla governance dei servizi pubblici agli apparati comunali, nessuna idea per quanto brillante avrà possibilità di diventare realtà. 

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