di Carlo Nordio
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Sabato 28 Dicembre 2019, 00:00 - Ultimo aggiornamento: 00:09
Un grande filosofo diceva che uno dei tanti drammi della vita si verifica quando nel dolore entrambe le parti hanno ragione. Lo stesso, potremmo dedurne, avviene quando entrambe hanno torto. 

Il giudice di Roma che ha applicato a Pietro Genovese la misura degli arresti domiciliari ha fatto buon governo di questa massima - che in giuridichese si chiama concorso di colpa - specificando che se da un lato, il conducente aveva superato i limiti di velocità e di tasso alcolico consentiti, dall’altro Gaia e Camilla avevano incautamente attraversato una carreggiata semibuia scavalcando la barriera e fuori dalle strisce pedonali. Ulteriori indagini avrebbero accertato che in quella zona queste bravate sono frequenti tra i giovani frequentatori delle movide. A queste due imprudenze, il Caso ha aggiunto la sua inflessibile severità: il guidatore e le due amiche si sono trovati nel luogo e nel momento sbagliati; un secondo prima o dopo, cento metri in più o in meno, e il fatto sarebbe passato inosservato, come tanti altri simili. Per di più non sembra che l’auto filasse velocissima, e che Genovese non fosse, in quel momento, sotto l’effetto degli stupefacenti. Ma tanto è bastato per provocare l’investimento. 

È difficile, davanti a una simile tragedia, svincolare la compassione dall’emotività, ed entrambe dal raziocinio: eventi così funesti suscitano tutti i turbamenti possibili, e in questi giorni sono stati manifestati, ora con sgomento ora con rabbia, un po’ dappertutto. E tuttavia sarebbe un errore rinunciare a cogliere, tra le rovine di questi disastri, qualche elemento che ci possa aiutare ad evitarne altri di simili. Proprio perché le colpe sono, come ha scritto lo stesso magistrato, equamente distribuite tra le parti, non è giusto né saggio accanirsi contro il sopravvissuto cedendo a impulsi vendicativi. Ancor più inconsistente sarebbe cercare le colpe altrove. E’ vero che l’illuminazione era carente, ma è anche vero che proprio per questo i passanti devono usare una prudenza particolare. La legge, e anche il buon senso, ci insegnano che soltanto l’insidia occulta (ad esempio una buca invisibile) può determinare la responsabilità di chi avrebbe dovuto provvedervi. Ma queste sono questioni tecniche che saranno risolte in tribunale. Proviamo invece a capire come simili stragi possano accadere.

È quasi banale dire che a monte vi è un difetto di educazione e di responsabilità. Le violazioni stradali sono da noi così frequenti che c’è da stupirsi che le vittime non siano in numero ben maggiore. E, quel che è peggio, queste infrazioni son viste come peccatucci veniali, non solo da perdonare ma addirittura da incentivare. In un Paese civile incrociare la Polizia dovrebbe essere un rassicurante messaggio: da noi gli automobilisti “fanno fari”e si credono furbi, come quelli che inchiodano davanti al rilevatore di velocità. Questa non è neanche diseducazione, è demenza. Ma anche l’irresponsabilità è diffusa, e spesso mascherata da concetti ingannevoli. Quante volte sentiamo dire che il tamponamento è avvenuto a causa della nebbia o della strada viscida; che lo sciatore sepolto dalla slavina è vittima della montagna assassina; che l’annegato preso da una sincope dopo un’abbondante mangiata è stato travolto dal mare crudele, eccetera eccetera. E nessuno ha il coraggio di rispondere che la nebbia, la neve, il ghiaccio e il buio sono fenomeni naturali, e che se uno si butta dal quinto piano la colpa non è della forza di gravità, ma del suo intento suicida. 

Questo trasferimento di responsabilità è alla base della diseducazione che a sua volta determina le imprudenze fatali. Ma esso non è che un sintomo di quel più largo fenomeno di sciatta indulgenza che ha rinunciato - a partire dalla famiglia, fino alla scuola e persino alla Chiesa - a insegnare i doveri prima dei diritti, i rischi prima dei divertimenti e l’interesse collettivo prima di quello individuale. Può sembrare una predica bacchettona, ma non lo è. È semplicemente una riflessione utilitaristica, perché se la Fortuna aiuta gli audaci spesso il Caso punisce gli inavveduti. Talvolta con conseguenze addirittura sproporzionate al comportamento imprudente. Come nel caso di Roma, che ha ucciso due ragazzine e rovinato tre famiglie.
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