Noi e l'emergenza/ Gli errori commessi e quelli da evitare

Noi e l'emergenza/ Gli errori commessi e quelli da evitare

di Barbara Gallavotti
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Lunedì 24 Febbraio 2020, 00:34 - Ultimo aggiornamento: 25 Febbraio, 16:00

In molte delle mappe che rappresentano la diffusione del nuovo coronavirus è disegnato un cerchio rosso sui Paesi dove l’infezione si è manifestata: è tanto più grande quante più sono le persone colpite. È un mezzo visivo efficace e spietato. 

Nelle ultime ore abbiamo osservato la nostra macchia rossa allargarsi inesorabilmente. Certo siamo lontanissimi dalla enorme chiazza che si trova sulla Cina, dove si contano decine di migliaia di casi, o sulla Corea del Sud, con molte centinaia di casi. Siamo sostanzialmente alla pari con il Giappone, che al momento in cui scrivo conta 135 casi (escludendo però gli oltre 600 che si sono verificati sulla nave Diamond Princess).
 
Ma in questa non invidiabile classifica l’Italia oggi si colloca molto in alto, prima fra le nazioni occidentali. E allora è inevitabile chiedersi: perché proprio noi? Difficile dirlo, porci la domanda però è fondamentale per imparare anche dai nostri errori.

Sicuramente nella gestione (governativa e non) di questa epidemia ne sono stati commessi, e ne faremo ancora (speriamo pochi). In mancanza di vaccini o farmaci che ci consentirebbero di affrontare il nuovo agente infettivo frontalmente con l’obiettivo di distruggerlo, siamo costretti a un confronto tattico volto a prevenirne la diffusione o almeno a guadagnare tempo. Ogni giorno in cui l’epidemia viene rallentata vuol dire vittime in meno e un passo in più nel lungo percorso verso lo sviluppo di uno strumento per fermarla. Tuttavia conosciamo ancora troppo poco questo coronavirus. Di certo si sta rivelando uno “stratega” molto ben adattato all’ambiente. 
Dal punto di vista di un agente infettivo, il “successo”, cioè la sua diffusione, è rappresentata dalla capacità di usare l’organismo della persona colpita per generare quante più copie possibile di se stesso e quindi contagiare un gran numero di nuove vittime. Tutto ciò riesce al meglio se il microbo non causa molto malessere, almeno inizialmente. In questo modo l’ospite prosegue le sue normali attività, trasmettendo inconsapevolmente l’infezione per lungo tempo. Proprio quello che ha dimostrato di saper fare il nuovo coronavirus, che in moltissimi casi provoca solo sintomi leggeri. 

Una analoga “furbizia” è tipica di altri microbi di successo, come l’Hiv che può passare da una persona all’altra ben prima che si manifestino i sintomi dell’Aids. Al contrario il virus di Ebola colpisce in modo plateale, causando sintomi gravi e spessissimo mortali. Se da un lato questo ci terrorizza, dall’altro ne limita la diffusione perché è facile individuare chi è infetto e isolarlo. E la morte della persona malata mina le possibilità di diffusione del microbo. Anche quello della Sars è a suo modo un virus “sciocco”, più incline a danneggiare i colpiti che a usarli come incubatori.

Dunque cosa può aver aiutato il nuovo coronavirus nel nostro Paese? Probabilmente ne sono state sottovalutate le risorse. Convinti che i primi pazienti dovessero arrivare dalla Cina o aver avuto contatti chiari con qualcuno che vi proveniva, abbiamo abbassato la guardia nei casi che sembravano del tutto sconnessi dall’Oriente. Nel frattempo il virus potrebbe aver raggiunto il Nord Italia in modo indiretto, passando silenziosamente da una persona all’altra per poi manifestarsi in chi essendo “insospettabile” ha ricevuto la diagnosi troppo tardi. 

Diversi esperti sono anche convinti che la cancellazione dei voli diretti con la Cina abbia giocato contro di noi, perché ci ha privato dello strumento più semplice per seguire gli arrivi dal Paese al centro dell’infezione. Con il risultato di far giungere viaggiatori dall’Oriente dopo scali in altri luoghi verso i quali non c’era sorveglianza. Una sorta di misura boomerang. Un altro fattore che sicuramente ha aiutato il virus è che il Nord Italia è estremamente interconnesso, al punto che può quasi essere considerato una unica enorme area urbana con diverse centralità. Questa caratteristica ha un grande valore economico. Per un agente infettivo però la presenza di buone connessioni e di molte persone in movimento rappresenta una straordinaria opportunità.
Infine, nella diffusione degli agenti infettivi, non dobbiamo trascurare l’effetto di fenomeni casuali. Per motivi che sfuggono a qualsiasi controllo un portatore cruciale del virus può aver deciso di far tappa in Italia e non, per dire, in Spagna.

La storia delle epidemie dimostra chiaramente che i microbi non conoscono frontiere né fanno distinzioni di gruppo etnico. Quella macchia rossa che segna la presenza del contagio sul nostro territorio non l’avremmo mai voluta vedere, ma probabilmente era inevitabile che apparisse. E ora non resta che fronteggiare il virus lavorando tutti insieme.
 

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