Padoan: «Pronte misure per rilanciare l’impresa»

Il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan
Il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan
di Osvaldo De Paolini
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Domenica 18 Maggio 2014, 19:09 - Ultimo aggiornamento: 19:59
Ministro Pier Carlo Padoan, una settimana fa lei non escludeva sorprese positive sul fronte del Pil italiano. Il primo trimestre, con l’indicatore tornato sotto lo zero, si è però rivelato una sorpresa negativa. Dobbiamo dunque rivedere tutte le previsioni?

«Ma no, un rallentamento dello 0,1% non cambia il quadro generale. A maggior ragione se si tratta di un fenomeno ampio visto che, ad esclusione della Germania, un po’ tutti i paesi europei segnalano debolezza. Dobbiamo semplicemente prendere atto che l’uscita dalla grande recessione è molto faticosa».



Ma anche le esportazioni non vanno bene. E stanno ormai calando da almeno tre mesi.

«Sono una voce dello stesso fenomeno, che segnala un’economia globale più debole. Dobbiamo però considerare che all’interno del fenomeno, quantomeno per l’Italia, vi sono aspetti positivi. Per esempio, la produzione industriale sta migliorando, sia pure a macchia di leopardo. In fase di miglioramento è anche la fiducia dei consumatori».



Sta quindi dicendo che non vi siete sbagliati?

«Come tutti, abbiamo commesso un errore nella stima di un dato parziale, ma lo scenario complessivo resta immutato».



Però non rassicura vedere lo spread impennarsi così velocemente fino a toccare quota 180 in una sola mattina.

«Ne convengo, ma giovedì scorso i mercati hanno reagito malamente soprattutto in relazione a rumor sconsiderati che ipotizzavano una tassa retroattiva sui titoli sovrani di un paese europeo, che taluni avevano individuato nella Grecia, con ricadute anche sull’Italia. Non abbiamo esitato a smentire. Del resto, già venerdì l’allarme era rientrato».



Nondimeno, non possiamo essere certi che, in assenza di segnali concreti, lo stato di grazia sul fronte dello spread regga a lungo. Lei stesso in qualche occasione si è detto preoccupato che a fine anno si debba di nuovo fare i conti con questo problema. Per quale motivo?

«Perché guardo a ciò che accade negli Stati Uniti. Penso infatti che, conclusa la fase di tapering che da mesi vede la Fed ridurre la velocità di acquisto dei titoli del Tesoro americano, non resterà che mettere mano ai tassi se si vuole tenere sotto controllo l’inflazione. E con tassi più elevati negli Stati Uniti, l’enorme massa di liquidità oggi in circolazione verrà probabilmente meno, generando maggiori difficoltà nel collocamento dei titoli europei».



Titoli sovrani e azioni societarie, suppongo. E ciò per l’Italia potrebbe essere un problema serio, visti i collocamenti che anche il Tesoro ha in previsione. E’ per questo che venerdì scorso il Consiglio dei ministri ha approvato con gran celerità il collocamento in Borsa del 40% di Poste e il 49% di Enav?

«Abbiamo un programma vasto di proposte da veicolare al mercato. Enav e Poste sono le prime due operazioni di un elenco non breve. Altre ce ne saranno entro la fine dell’anno».



Oltre a quella di Fincantieri, riuscirete a perfezionare anche l’offerta di Sace?

«Probabilmente sì. Ma il cronoprogramma non prevede solo società per azioni. Abbiamo in fase avanzata di studio il collocamento di una parte del patrimonio immobiliare dello Stato. E nel quadro delle privatizzazioni, un ruolo non marginale l’avranno le municipalizzate».



Vi siete dati un traguardo: ricavare da queste vendite almeno lo 0,7% del Pil ogni anno da qui al 2017. Ci riuscirete?

«Se l’euforia dei mercati reggerà e se i grandi investitori, con i quali abbiamo già un dialogo aperto, apprezzeranno le nostre proposte, vorremmo riuscire a fare persino meglio».



A proposito di investitori internazionali, avete registrato arretramenti dopo le scosse provocate dalle iniziative giudiziarie tornate sulle prime pagine dei giornali?

«Nessun arretramento. La risposta del governo è stata pronta ed efficace su tutti i fronti. Questo ha senza dubbio aiutato».



Le assemblee degli azionisti di Eni e Finmeccanica hanno bocciato la proposta del governo di introdurre nei loro statuti nuovi e più rigidi criteri di onorabilità per la nomina degli amministratori in società controllate dal Tesoro. Non vi fa riflettere questa opposizione? Potrebbero verificarsi altre bocciature.

«Intanto non si può parlare di bocciatura, semmai di mancata approvazione a causa del quorum molto elevato richiesto per tali modifiche statutarie. In secondo luogo, non abbiamo fatto altro che dare seguito, e continueremo a farlo, a una direttiva del precedente governo».



Anche se a opporsi sono quegli stessi investitori internazionali cui chiedete di partecipare alle privatizzazioni? Francamente non vedo che cosa possiate insegnare loro quanto a governance aziendali o rispetto dei diritti delle minoranze.

«Comprendo la sua obiezione, ma l’Italia vanta diversità che vanno regolate in modo particolare. Abbiamo comportamenti individuali meno rigorosi che altrove, per questo si è pensato a cautele che magari altrove non sono necessarie. Anche perché abbiamo una giustizia assai lenta e quindi costosa».



Converrà tuttavia che introdurre a carico delle società industriali paletti persino più rigidi rispetto a quelli imposti per le banche è operazione quantomeno curiosa. Le sembra coerente espellere dall’azienda l’amministratore rinviato a giudizio, quando un banchiere può restare alla guida del suo istituto fino a sentenza di condanna? Non sarebbe meglio uniformare i criteri di esclusione?

«Non siamo né ciechi né sordi. Per ora posso solo rispondere: ogni cosa a suo tempo. E comunque, il fatto di rientrare nella fattispecie non implica in automatico la revoca dell’amministratore rinviato a giudizio: l’assemblea dei soci può sempre confermarlo, se ritiene».



Squadra che vince non si cambia, si diceva un tempo. Invece voi avete cambiato tutto sul fronte delle nomine. Le sembra prudente?

«Intanto, non tutte le squadre erano vincenti. In ogni caso, anche nel calcio a volte si sacrificano i campioni per allevarne di nuovi a costi meno onerosi. E comunque, obiettivo primo era un cambio radicale. Non era facile, ma ci siamo riusciti».



Il Consiglio dei ministri di venerdì scorso aveva all’ordine del giorno anche la nomina del nuovo direttore generale del Demanio e di quello dell’Agenzia delle entrate. Perché non è accaduto?

«Molto presto completeremo la tornata di nomine».



Tra una settimana si svolgeranno le elezioni europee. E’ alta la probabilità che gli euroscettici riscuotano un successo condizionante. In quel caso i mercati reagiranno con grande nervosismo. Siete pronti a fronteggiarli?

«Considerando una disoccupazione cresciuta al 12%, che nel caso dei giovani tocca picchi molto più alti, è assai probabile che le elezioni di domenica diano voce al malcontento diffuso. I mercati ne prenderanno atto, ma la sola risposta a mio avviso efficace non sta nella difesa della trincea bensì in un’azione di governo più incisiva. Si tratta di scegliere tra vivacchiare o riformare. Noi abbiamo scelto la seconda opzione, e faremo di tutto perché l’Europa che uscirà dalle urne imprima una svolta alla politica economica finalizzata anzitutto al sostegno alla crescita».



Saldo totale dei debiti pregressi della Pubblica amministrazione e 80 euro di minori tasse in busta paga: molti dubitano che possano bastare a imprimere velocità al volano. E le riforme, quand’anche fossero realizzate in tempi brevi, faranno sentire il loro effetto solo più avanti. Come pensate di sostenere la crescita?

«Con altre misure di effetto immediato. Per esempio, insieme agli altri ministeri economici abbiamo in preparazione un pacchetto di provvedimenti finanziari destinati alle imprese. Arriverà entro poche settimane».



Può essere più esplicito sui contenuti?

«Agiremo sul lato degli investimenti ma anche su quello della riduzione dei costi: l’obiettivo è imprimere forza alla crescita e aumentare la competitività delle nostre aziende».



Resta il grave problema del debito, che ormai ha superato 2.100 miliardi. Quando smetterà di crescere? Per invertire la rotta, di sicuro non basteranno i 10 o 20 miliardi ricavati attraverso le dismissioni. E, visti gli 80 miliardi di interessi passivi che ogni anno gravano sul bilancio dello Stato, nemmeno il pur cospicuo surplus primario riuscirà nell’impresa.

«Tutte le storie di successo hanno quale protagonista la crescita, più è robusta e più problemi possono essere risolti. Il caso del debito italiano non è diverso. Dobbiamo continuare a lavorare nella direzione della crescita e vedrà che alla fine supereremo anche i rigori imposti dal fiscal compact».



Beppe Grillo sostiene che il governo avrebbe intenzione di togliere la detrazione per il coniuge a carico, vanificando di fatto il bonus di 80 euro per le famiglie monoreddito. Risponde al vero?

«Assolutamente no. Al contrario, vogliamo promuovere l’occupazione femminile conservando la detrazione per le donne che ora sono a carico del coniuge ma cercano lavoro».



Lucrezia Reichlin, che taluni avevano candidato alla guida dell’Economia prima del suo arrivo, suggerisce una via più diretta: soprattutto nel caso italiano, sostiene, varrebbe la pena di immaginare una ristrutturazione radicale del debito. Una sorta di default pilotato in accordo con le autorità di Bruxelles. Condivide?

«Non è mia abitudine fare polemiche. Mi limito a osservare che mi sembra una proposta del tutto fuori luogo, impraticabile e soprattutto pericolosa».