Spread da record, poi chiude a 284. Guerra M5S-Lega anche sull'Iva

Spread a 290 punti, Borse europee deboli
Spread a 290 punti, Borse europee deboli
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Mercoledì 15 Maggio 2019, 10:30 - Ultimo aggiornamento: 16 Maggio, 07:26

Lo spread si avvicina a quota 300 e rende ancora più difficile «l'impresa» di evitare l'aumento a fine anno dell'Iva. A dieci giorni dal voto, i mercati non sembrano più reggere la pressione di una campagna elettorale dai toni esplosivi. E avvertono il governo che dopo il 27 maggio i nodi verranno al pettine. Lo fanno con un «nervosismo» che il ministro Giovanni Tria definisce «ingiustificato». «Non preoccupatevi», dice il premier Giuseppe Conte agli investitori. Matteo Salvini, incalzato da Luigi Di Maio che lo accusa di aver provocato la tempesta, scrolla le spalle e tira dritto. Ma Giancarlo Giorgetti evoca il rischio che lo spread, dopo il voto, «condizioni» le scelte della politica.

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Più dello spread, che chiude a 284, a preoccupare i partiti sembra essere una frase pronunciata in mattinata dal presidente del Consiglio. «Non sarà un'impresa facile», ammette Conte, evitare che a fine anno scattino 23 mld di clausole Iva. Vuol dire trovare le risorse per mettere in piedi, a ottobre, una manovra da circa quaranta miliardi. Conte aggiunge subito che per evitarlo si sta lavorando a una «profonda» spending review e a «potenziare» la lotta alla evasione fiscale. Ma in campagna elettorale i partiti di maggioranza non si possono permettere neanche di insinuare il dubbio che l'accisa scatti. «L'Iva non aumenterà neanche di un cent», dice Salvini, che scarta senza appello anche l'idea di aumenti selettivi.

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E Conte precisa: «Non c'è nessun dubbio che eviteremo l'innalzamento dell'Iva. È la campagna elettorale a far salire lo spread ma noi andremo avanti 4 anni, tenendo i conti in ordine». «State attenti alle parole», è l'appello di Vincenzo Boccia a nome di Confindustria. Ma Salvini, che si dice per nulla «preoccupato», ribadisce che il rapporto deficit/pil è pronto a sforarlo, eccome. «Viene prima il lavoro che i vincoli», dice il vicepremier leghista. Giorgetti frena affermando che si può sforare ma «dipende per fare cosa». Di Maio coglie la palla al balzo per accusare di «irresponsabilità» Salvini: proprio per tutelare i cittadini bisogna «garantire stabilità», dice. E qui si torna sul ring della campagna elettorale. Perché, mentre si prepara il braccio di ferro in Consiglio dei ministri sul decreto sicurezza, è sulle misure economiche che si sfidano i due partiti di maggioranza. La Lega, che qualche giorno fa in una riunione ha deciso di lanciare la controffensiva proprio sui temi economici, presenta un ricco pacchetto di emendamenti al decreto crescita, dalle detrazioni per le badanti all'Imu.

Di Maio risponde annunciando 500 milioni per i Comuni. Si battaglia ancora sulla famiglia: il leader M5s fa sapere che è pronto a sostenere le proposte del minisro leghista Lorenzo Fontana, in nome dell'unità del governo, ma fonti parlamentari M5s fanno sapere che quel pacchetto rischia di essere inammissibile. La giornata si era aperta con un invito di Salvini a Di Maio ad abbassare i toni ed andare avanti insieme. Ma la campagna elettorale, che vede il leader della Lega alle prese con le proteste contro di lui e con inchieste come quella dell'Espresso sull'uso di soldi del gruppo al Senato per la sua campagna social, prende subito il sopravvento. I partiti ammettono i timori che lo spread cresca ancora, rendendo il dopo europee assai difficile. Ma ora si guarda solo al voto.

Perché, lo dice Giorgetti: «Quando il popolo si esprime è giusto dargli retta: dirà chi fa bene e chi fa male e di questo se ne dovrà tenere conto». Determinerà non solo una eventuale crisi di governo, ma anche chi 'comanderà' di lì in poi, quali politiche prevarranno. E qui si torna alle scelte economiche. Perché su quel terreno i nodi verranno al pettine: dalla flat tax alla Tav, fino al salario minimo, arriverà il tempo delle decisioni. E allora, se non ci si parlerà e sarà ancora stallo, il governo potrebbe traballare. È chiaro fin d'ora, dice Nicola Zingaretti, che «l'unica soluzione è il voto». «Penso che Salvini sia quasi recuperato: lascerà il M5s», scommette Silvio Berlusconi.

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