Pirelli, l'ombra di Pechino: gestione italiana a rischio. Il governo valuta il Golden Power

Sottratta al socio Camfin anche la nomina dell’ad. Tutte le leve strategiche in mano al Partito Comunista

Pirelli, l'ombra di Pechino: gestione italiana a rischio. Il governo valuta il Golden Power
Pirelli, l'ombra di Pechino: gestione italiana a rischio. Il governo valuta il Golden Power
di Osvaldo De Paolini
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Domenica 4 Giugno 2023, 10:11

La prudenza con la quale il premier Giorgia Meloni ha di recente affrontato il tema del Memorandum tra Italia e Cina sulla cosiddetta “Via della Seta”, è segno della grande delicatezza che circonda il dossier. Ma mentre sul piano politico c’è ancora tempo per un dibattito risolutivo - sebbene ieri da Washington il ministro Adolfo Urso abbia già precisato la posizione italiana - da qualche settimana il dipartimento Golden Power di Palazzo Chigi è alle prese con un caso la cui soluzione non può attendere, perché riguarda il futuro di una delle più grandi realtà industriali del Paese: il gruppo Pirelli

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Ricavi per 6,6 miliardi, utile di 436 milioni, 31.300 dipendenti, 18 stabilimenti in 12 Paesi, 4,6 miliardi il valore di Borsa, la società guidata da Marco Tronchetti Provera e controllata dal 2015 insieme al gruppo di Stato cinese Sinochem, sta correndo un grave rischio: l’isolamento nei mercati occidentali a causa del brusco cambio di rotta del socio cinese che, contrariamente al patto originario che prevedeva il mantenimento dell’italianità ad ogni livello aziendale, ora ne vorrebbe piegare le strategie «richiamando esplicitamente la linea dettata dal 20° Congresso Nazionale del Partito Comunista con una evidente eterodirezione da parte di quest’ultimo».

IL DIKTAT DEL 20° CONGRESSO

Dalla messe di documenti depositati presso il Golden Power e che il Messaggero ha potuto consultare, emerge senz’ombra di dubbio la richiesta di Pechino affinché tutte le unità aziendali del gruppo adottino «linee guida del 20° Congresso in materia di lavoro e talenti professionali, volte ad aumentare il livello di controllo politico e la composizione dei quadri dirigenziali». Inoltre, questione non meno inquietante, viene sollecitata l’integrazione dei sistemi informatici delle controllate Pirelli in Cina con i sistemi di Sinochem per consentire la condivisione simultanea delle informazioni: chiaro l’intento di appropriarsi delle sofisticate tecnologie che hanno portato Pirelli sulla vetta dell’innovazione a livello mondiale. Addirittura viene richiesto, con la stessa logica di dare esecuzione alle linee guida del Partito guidato da Xi Jinping, che tutti gli incontri istituzionali vengano organizzati secondo le direttive della Sasac, l’autorità governativa di supervisione delle aziende si Stato.
Uno stravolgimento totale delle intese originarie che prevedevano appunto la ferrea tutela dell’italianità e la continuità del management.

Al punto che nel nuovo patto, in vigore da metà maggio ma ora congelato dal dipartimento Golden Power in attesa di chiarimenti, è pressoché azzerato il diritto per Camfin, la finanziaria che fa capo a Tronchetti firmataria insieme a Sinochem degli accordi, di indicare i nuovi amministratori delegati, tradendo in modo plateale lo spirito della partnership oltre ad alimentare le perplessità del mercato nella prospettiva che il prossimo capo azienda sia indicato dal socio cinese.

Dalla documentazione consultata emerge inoltre che in questi anni i rappresentanti di Sinochem hanno spesso avanzato richieste legate all’attività gestionale della società che – alla luce della normativa in vigore - esulano anche dal normale esercizio delle prerogative del socio di controllo.

UN CASO NON ISOLATO

Una escalation che però non sorprende, visto che la tensione fra Cina e Occidente in questi anni è aumentata progressivamente dando vita a nuovi equilibri geopolitici di pari passo con l’aggressività di Pechino, dove il peso crescente degli esponenti del Partito Comunista è stato notato non solo sulle società di Stato ma anche sulle aziende straniere acquisite: il caso Pirelli è tutt’altro che isolato. Del resto, diversi governi europei sono già intervenuti per tutelare gli asset nazionali e per frenare la strategia espansionistica di Pechino. In Gran Bretagna a fine 2022 Downing Street ha per esempio imposto alla cinese Nexperia la cessione della quota dell’86% detenuta nella società di semiconduttori Newport Wafer. In Germania il governo ha deciso di arginare al 24,99% dal 35% iniziale la presenza di Cosco nella Container Terminal Tollerort. In Italia nel 2021 è stata bloccata l’acquisizione del 70% della società di semiconduttori LPE da parte della Shenzen Investment; poco dopo è stato vietato l’acquisto da parte di Syngenta (gruppo Sinochem) di Verisem, società attiva nelle sementi e negli ortaggi. Quanto allo stop alle trattative fra Cnh Industrial e la cinese Faw Jiefang per la cessione di una divisione di Iveco, è bastata la moral suasion del nostro governo.

Per non dire dei danni che sono già stati procurati al gruppo italiano dalla presenza nel capitale dell’azionista cinese. Per esempio, negli Stati Uniti da qualche tempo è soggetto a dazi rafforzati che superano il 76% per i prodotti importati dalla Cina e che hanno obbligato Pirelli a interrompere ogni flusso commerciale con gli Usa dalla Cina. Secondo la ricostruzione agli atti ricevuti dal Golden Power - presso il quale in settimana si terranno due decisive audizioni sul caso - il top management della società italiana aveva fatto presente all’azionista cinese i rischi connessi a questa anomala situazione proponendo di trovare delle soluzioni. Anche perché un ulteriore inasprimento delle tensioni con la Cina potrebbe indurre l’Unione europea e altri Paesi vicini alle posizioni americane, come Giappone, Corea del Sud e Australia (in gran parte serviti dalla produzione degli stabilimenti cinesi di Pirelli), ad attivare analoghe sanzioni che penalizzerebbero profondamente la società italiana. Tra l’altro, il fatto che Sinochem sia qualificata da Washington come “Chinese Military Company” oltre a procurare a Pirelli danni sul trading, potrebbe avere quale conseguenza l’eliminazione del titolo dai portafogli di alcuni grandi investitori americani. 

Per tutte queste ragioni Camfin, preoccupata dal quadro sanzionatorio internazionale, durante la rinegoziazione del patto firmato nel maggio 2022 ha più volte chiesto a Cnrc (la società titolare delle azioni controllata da Sinochem) di prevedere una clausola per ribilanciare gli equilibri di governance al fine di evitare eventuali impatti sul valore di Pirelli. Richiesta però respinta da Cnrc, che su mandato del Partito non si è mossa di un millimetro. 

PRONTA LA RETE DI ALLEATI

E dire che da un punto di vista economico le soddisfazioni non sono mancate per l’azionista cinese: basti ricordare che avendo investito 1,6 miliardi al momento dell’ingresso nel capitale Pirelli nel 2015, un paio d’anni dopo ha ricollocato sul mercato il 20% incassando 1,2 miliardi mantenendo però una quota del 37% a dimostrazione della validità dell’azienda. Sicché, qualora si dovesse elaborare una diversa combinazione azionaria attorno a Camfin (che oggi conta sul 14,1%), magari rinegoziando la partecipazione di Sinochem in omaggio allo spirito originario - cosa però assai improbabile visto l’irrigidimento di Pechino - non sarebbe difficile attivare la rete di alleati del gruppo per costruire un nuovo blocco di comando a prevalenza italiana. Ciò, sempre che gli uffici del Golden Power non decidano diversamente.

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