Lockdown, ira di albergatori e commercianti: «Ora lo Stato deve ripagarci del danno»

Lockdown, ira di albergatori e commercianti: «Ora devono ripagarci del danno»
Lockdown, ira di albergatori e commercianti: «Ora devono ripagarci del danno»
di Roberta Amoruso e Valentina Errante
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Sabato 8 Agosto 2020, 07:09 - Ultimo aggiornamento: 20:15

Il primo comitato è nato in pieno lockdown, si chiama Eolie 20-30, e ha già valutato l'ipotesi di chiedere un risarcimento dei danni allo Stato. Sono albergatori e ristoratori delle isole Eolie, meta turistica gettonatissima che ha accusato il colpo sin dalla primavera quando, per alberghi e ristoranti del Sud, di solito, ma non quest'anno, inizia la stagione calda. E non sono gli unici. L'attenzione delle associazioni di categoria, è in queste ore tutta concentrata sui provvedimenti in rampa di lancio, tra il decreto agosto e la conversione del decreto semplificazioni, ma i nodi restano, perché gli imprenditori del meridione, costretti alla serrata forzata di oltre tre mesi, sanno già che i provvedimenti varati dal governo «Rischiano di essere un'altra occasione persa», come spiegano gli artigiani e i titolari di piccole imprese. Dai ristoranti ai bar, dagli alberghi fino ai commercianti al dettaglio si contano già troppe chiusure definitive. Un bilancio che pesa ancora di più dopo la desecretazione dei verbali del Comitato tecnico scientifico, che conferma quello che già era evidente a tutti, ossia che il basso numero di contagi al Sud rendeva tutt'altro che necessario un lockdown totale.

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IL PUNTO DI PARTENZA
Il Comitato è nato quasi spontaneamente, quando la dichiarazione dello stato di emergenza per decreto ha fatto presagire ad albergatori e ristoratori delle isole più visitate d'Italia che le cose sarebbero cambiate per sempre. Il nome Eolie 20-30 non è casuale. Punta, spiega Fabrizio Famularo, uno dei portavoce, a una programmazione decennale. «Non si può vivere di promesse», commenta. Quando sembrava che non si potesse partire avevano chiesto al governo un fondo emergenziale per le imprese e il passaporto sanitario per gli accessi alle isole minori. Adesso la stagione, in qualche modo, è stata avviata, ma le presenze sono ridotte e la valutazione di una class action contro lo Stato rimane sul tavolo, perché i fondi non ci sono. Le porte sono aperte a tutti gli imprenditori che vogliano aderire all'iniziativa: «Abbiamo perso troppi soldi, ci devono risarcire». La pausa estiva è obbligata, «A settembre ne riparleremo - spiega Famularo - Adesso, qui alle Eolie, ristoratori e albergatori come me, sono tutti impegnati nel recuperare il tempo perduto e far fronte a una crisi assassina. Ma - aggiunge - ho letto ieri che, secondo gli esperti, in alcune regioni come la Sicilia, il lockdown si poteva evitare. Quello che è successo è inspiegabile. Soprattutto a fronte delle conseguenze disastrose. Appena avremo il tempo di discuterne affronteremo la questione da questa nuova prospettiva». In particolare le associazioni degli albergatori aspettano di sedersi al tavolo con il governo per accedere ai fondi promessi al turismo. L'allarme arriva soprattutto dalle piccole imprese. «Una larga parte dei fondi europei andrà ai grandi gruppi e alle multinazionali, mentre alle piccole attività rimarranno solo le briciole» spiega la Comitas, il coordinamento micro-piccole-medie imprese per la tutela e l'assistenza, «è indispensabile introdurre criteri equi e trasparenti nella ripartizione degli aiuti europei». In caso contrario un terzo delle piccole imprese italiane andrà verso il fallimento o alla chiusura entro il 2021, avverte la Comitas. «Ecco perché non c'è più tempo da perdere».

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IL QUADRO
Come già calcolato dal Messaggero, si potevano risparmiare 100 miliardi di Pil, bruciato nel centro-Sud, con un lockdown differenziato. Mentre i posti di lavoro perduti li conteremo solo quando si chiuderà il rubinetto della cig, tra autunno e fine anno, a quanto pare. Dunque, la principale preoccupazione è per lo tsunami che deve ancora venire, per quei provvedimenti che possono salvare almeno le imprese che soffrono, ma che non hanno ancora chiuso la saracinesca per sempre. Così, anche nelle ore in cui si guarda ai decreti che possono salvare il futuro, la rabbia spinge a pensare al risarcimento danni da chiedere allo Stato. Un indennizzo è stato chiesto sin dall'inizio da chi ha chiuso per decreto. Ma di fronte alle risorse ridotte distribuite a fondo perduto, ora le imprese sono pronte a chiedere un indennizzo doppio. In molte regioni il virus ha fatto soltanto una comparsa. E sono proprio questi i territori che pagheranno il prezzo più alto. Il blocco improvviso, inatteso, ha colto impreparate le molte imprese meridionali che non avevano ancora recuperato dall'ultima crisi.
I NUMERI
Il Mezzogiorno aveva ancora 15 punti percentuali di Pil da recuperare rispetto al 2007 (il Centro-Nord circa 7). E farà ancora più fatica a ripartire rispetto al resto del Paese.
D'altra parte, anche le risorse del Recovery Fund rischiano di arrivare fuori tempo massimo per alcune aziende. Quattro micro imprese su 10, che in termini assoluti equivalgono a poco meno di 1,7 milioni di attività, rischiano la chiusura a causa della crisi economica provocata da un'emergenza sanitaria che al Sud non c'era.
 

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