Governo Draghi e Recovery plan, più soldi a scuola e ricerca: ecco cosa cambierà

Governo Draghi e Recovery plan, più soldi a scuola e ricerca: ecco cosa cambierà
di Andrea Bassi
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Sabato 6 Febbraio 2021, 06:41 - Ultimo aggiornamento: 11:56

Le consultazioni vanno avanti. A tutte le delegazioni Mario Draghi ripete gli stessi concetti espressi non appena ricevuto l'incarico dal Capo dello Stato Sergio Mattarella. Bisogna attrezzarsi il prima possibile per uscire dalla pandemia vaccinando la popolazione. È il primo passo per un «solido» rilancio del Paese. Ma soprattutto c'è da preparare il Recovery plan da inviare in breve tempo all'Europa. Il piano di ripresa e resilienza, ha spiegato Draghi alle delegazioni dei partiti, dovrà avere più investimenti e meno bonus. L'obiettivo centrale sarà portare al massimo dei giri il motore italiano della crescita. I 209 miliardi, insomma, dovranno andare in quella che il presidente incaricato del consiglio ha definito «spesa buona», per contrapporla alla «spesa cattiva», quella corrente che non serve a costruire il futuro e nemmeno a garantire gli investitori sulla sostenibilità del debito pubblico. Ma qual è questa spesa buona che ha in testa Draghi? Innanzitutto quella per il «capitale umano». Uno degli obiettivi strategici del suo gabinetto, sarà quello di aumentare i lavoratori a produttività medio-alta. Sono i più formati, i più qualificati, quelli più ricercati dalle aziende e che hanno redditi migliori. Si tratta di investimenti a lunghissimo termine perché partono dalla scuola. Istruzione e giovani, insomma, sono i due principali investimenti produttivi da compiere. Serviranno risorse per ridurre l'abbandono scolastico, per aumentare il numero dei laureati, soprattutto di quelli che scelgono materie scientifiche.

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Molto si dovrà investire anche in ricerca, e rafforzare le connessioni tra le Università e il mondo delle imprese.

Il mercato del lavoro andrà riformato per favorire l'incontro tra la domanda e l'offerta. Del resto che l'investimento in istruzione fosse quello con i moltiplicatori più alti, cioè in gradi di restituire con gli interessi i soldi investiti, era chiaro anche al governo Conte. Nelle tabelle del Recovery si riconosceva che un euro speso in istruzione ne avrebbe restituiti ben 2,2 nel lungo periodo. Meglio persino di programmi come Transizione 4.0 per le imprese.

 


LE MEDIAZIONI
Servirà ovviamente una mediazione con i partiti che entreranno a far parte della maggioranza. Il Movimento Cinque Stelle, per esempio, è dilaniato dal possibile sostegno a Draghi. La riforma del mercato del lavoro potrebbe impattare sul reddito di cittadinanza che, però, difficilmente potrà essere completamente smantellato dal nuovo esecutivo. Più probabile che si scelga di dividere chiaramente la parte di sussidio alla povertà dalle politiche attive del lavoro. Un discorso analogo vale anche per Quota 100.


IL MECCANISMO
È di certo una di quelle spese che Draghi annovera tra le improduttive. Ma se la Lega dovesse dare il suo appoggio sarebbe difficile archiviarla. Il prepensionamento con 62 anni di età scade quest'anno. Il governo Conte stava valutando di prorogarlo, anche sulla base di alcuni dati. L'allungamento di un anno di Quota 100 costerebbe 400 milioni nel 2022, per poi salire a 1,8 miliardi. Ma dall'altro lato ci sono anche 500-700 milioni di risparmi annui determinati dalle minori adesioni allo scivolo. Almeno fino al 2020, perché dallo scorso mese di gennaio, probabilmente in vista della possibile fine della misura, c'è stata un'impennata di richieste (13 mila in 30 giorni).
C'è poi il capitolo degli investimenti infrastrutturali per i quali il principale ostacolo sono le lentezze burocratiche. Su questo dovrebbe incidere la struttura di governance del Recovery. Difficile che Draghi voglia affidarsi a supermanager esterni come ipotizzato da Conte. Più probabile che si scelga un altro modello, sulla scia di quello francese dove l'attuazione è demandata al ministero dell'Economia, o magari ridando lustro al Cipe, il Comitato per la programmazione economica presieduto direttamente dal presidente del Consiglio e guidato da un sottosegretario alla presidenza che potrebbe diventare, in questo caso, una sorta di ministro del Recovery. Sulle formule si vedrà. Quello che è certo che molti bonus spariranno dal piano italiano. Probabilmente anche i 4,6 miliardi del cashback così caro a Giuseppe Conte.

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