La quota dello Stato/Così si rischia di favorire i soliti furbi

La quota dello Stato/Così si rischia di favorire i soliti furbi
La quota dello Stato/Così si rischia di favorire i soliti furbi
di Osvaldo De Paolini
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Lunedì 6 Aprile 2020, 00:18 - Ultimo aggiornamento: 29 Novembre, 12:26

Il governo sta varando un provvedimento che somiglia al celebre “helicopter money” della famosa provocazione lanciata dall’economista Milton Friedman. Si intende accordare una garanzia al 100% alle banche sulle linee di credito che erogheranno alle imprese, anche se solo fino ad un importo di 800 mila euro. 
Ma ciò significa che lo Stato si accollerà completamente il rischio che quel prestito possa non essere restituito. L’azzardo morale è dietro l’angolo. E potrebbe essere, in tempi di crisi profonda come quelli attuali, più comune di quanto si possa immaginare. 

Ci sono aziende e imprenditori che sono entrati già decotti nella crisi economica determinata dal coronavirus. Imprese prossime a diventare quelle che le banche definiscono “non performing”, vale a dire incapaci di restituire i prestiti. Affidare denari a queste realtà equivale ad avere la certezza quasi matematica che spariranno e il conto finale toccherà allo Stato pagarlo. Dunque ai contribuenti. In modi che in questo momento è persino difficile immaginare, vista la difficoltà economica che anche questi ultimi hanno nell’ottemperare ai loro obblighi tributari. Già si parla di prestiti più o meno forzosi allo Stato, o di altri prelievi dalla ricchezza dei cittadini. La verità è che il bilancio dello Stato non è nelle condizioni di sostenere perdite elevate sulle garanzie prestate. Tanto è vero che la gestazione del decreto per fornire liquidità alle imprese si è impantanato per diversi giorni proprio sul livello della garanzia pubblica da fornire alle banche. 

I ministri del Movimento Cinque Stelle, spinti soprattutto dal titolare dello Sviluppo Economico, hanno fatto di tutto perché la garanzia pubblica fosse fissata al 100%. Le strutture del ministero dell’Economia, e lo stesso ministro Roberto Gualtieri, hanno provato a disinnescare in tutti i modi quella che ritenevano, e ritengono, una mina piazzata sotto i conti pubblici. Ma la decisione arrivata in zona cesarini da parte della Commissione europea di permettere agli Stati la garanzia completa dei prestiti, ha spezzato le ultime resistenze del Tesoro. L’auspicio è che qualche paletto riesca a inserirlo nella versione finale del provvedimento. 

Per esempio, dare la possibilità al Fondo centrale - deputato a fornire le garanzie - di effettuare una valutazione la più seria possibile sull’impresa richiedente. Naturalmente meglio sarebbe che a effettuare l’esame delle aziende richiedenti siano le banche, le quali posseggono strumenti più adatti per stimare il merito di credito: per questo sarebbe assai più logico che lo Stato si incaricasse di garantire il 90% del credito lasciando alla banca il rischio sul 10% restante.

Difficile prevedere l’entità dei denari che le aziende chiederanno al sistema, si è parlato di somme complessive oscillanti fra 200 e 300 miliardi.

Cifre da far tremare i polsi anche in situazioni normali, sarebbe perciò auspicabile che il governo decidesse di tenere fuori dalla misura straordinaria almeno le imprese “unlikely to pay”, quelle che - come abbiamo spiegato - molto probabilmente non restituiranno quanto preso a prestito. In caso contrario, quella che è nata come operazione cruciale di sostegno a un’economia in caduta libera diverrebbe il presupposto per arricchire ulteriormente i soliti furbi a spese del contribuente.

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