Effetto Covid, nel Mezzogiorno un milione di lavoratori a rischio

Effetto Covid, nel Mezzogiorno un milione di lavoratori a rischio
di Nando Santonastaso
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Domenica 21 Febbraio 2021, 00:00 - Ultimo aggiornamento: 20:13

La Cgil parla di una “bomba sociale imminente”, la Cgia di Mestre quantifica il pericolo in due milioni di posti a rischio solo tra commercio, servizi alla persona e l’area turismo-tempo libero. I direttori del personale assicurano che almeno il 20% delle aziende prevede di tagliare l’occupazione mentre il Cnel teme che la situazione già adesso critica, con 12 milioni di lavoratori con attività sospesa o ridotta a causa del Covid, peggiorerà certamente, «con una parte dei probabili esuberi che finirà per essere assorbita dall’economia sommersa», storicamente diffusa soprattutto nel Mezzogiorno. 

Ed è proprio qui, nell’area più debole sul piano socio-economico del Paese, che potrebbero scaricarsi le conseguenze peggiori (in rapporto alla popolazione attiva) della fine del blocco dei licenziamenti e dell’eventuale sospensione della Cassa integrazione. Difficile azzardare previsioni numericamente certe, ammesso che ne siano mai esistite, anche perché al Sud le incognite maggiori pesano sulla massa di lavoratori stagionali, autonomi e precari che già adesso, a prescindere cioè dalla scadenza del 31 marzo, rischiano di non vedersi confermare il contratto per il 2021.

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Nel Mezzogiorno, poi, i calcoli, per quanto approssimativi, devono sempre tener conto della scomparsa di circa 500mila posti tra quelli mai recuperati dalle crisi del 2008 e del 2011-13, e gli oltre 150mila della crisi 2020 provocata dalla pandemia. Se si considera tutto questo, e si prendono come indirizzo di valutazione le stime di enti e istituti specializzati, lo tsunami occupazionale che potrebbe investire il Sud, una volta ripristinata la possibilità di licenziare, potrebbe anche raggiungere il milione di lavoratori, molti dei quali con contratto a termine. Quasi uno su 4, in sostanza, dal momento che oggi nel Mezzogiorno la forza lavoro è inferiore ai 6 milioni di persone, meno di quanti erano nel 2014. 

Di questo numero, decisamente impressionante se verrà confermato anche dai fatti, fanno parte anche i lavoratori delle tante aziende industriali e commerciali alle prese con vertenze di incerta soluzione.

Lunghissimo l’elenco. Si va dall’ex Ilva di Taranto, dove addirittura si può profilare il blocco dell’attività produttiva per la maggior parte dei circa 11mila addetti, indotto compreso, alle incognite legate in Campania alla Whirlpool di Napoli, alla Meridbulloni di Castellammare di Stabia, alla Maccaferri di Salerno, alla Jabil di Caserta, oramai approdate n pianta stabile al ministero dello Sviluppo economico dove complessivamente sono 120 i tavoli aperti per circa 160mila lavoratori, un terzo dei quali del Sud. Difficile dare torto a chi, come il segretario generale della Fim Cisl campana Raffaele Apetino, dice che «non c’è più un minuto da perdere da parte del governo».  

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Nella sola Campania, il sindacato calcola che tra i 40mila e i 50mila lavoratori del settore metalmeccanico, soprattutto tra le piccole imprese, dall’automotive al settore ferroviario, all’aerospazio, rischiano di perdere il lavoro. Ma in Sicilia si arriva anche a 75mila, secondo le previsioni della Cgil regionale.

Che sarà un anno difficile per l’occupazione meridionale, per usare un eufemismo, giovani e donne in testa, lo avevano del resto indicato tutti gli abituali osservatori di dinamiche del lavoro. Il checkup Mezzogiorno di Confindustria-Srm aveva previsto per il 2021 e 2022 una ripresa del Mezzogiorno «sensibilmente più debole (rispettivamente +1,2% e +1,4%) rispetto al Centro Nord (+4,5% e +5,3%)». In particolare, sul fronte del lavoro, «la ripresa produttiva registrata nel terzo trimestre 2020 non è riuscita a compensare il calo rispetto allo stesso periodo del 2019, diffuso in tutta la penisola ma particolarmente significativo al Sud (-2,2% ovvero 135 mila occupati in meno), con variazioni negative più consistenti in Calabria (-7,8%) e Sardegna (-7,5%)». Il massiccio ricorso alla Cassa integrazione ha solo compresso la riduzione complessiva degli occupati nel Sud: il ricorso alle varie forme di sostegno al reddito da lavoro nel Mezzogiorno «è stato quasi 8 volte maggiore rispetto allo stesso periodo del 2019».

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Che lo sblocco dei licenziamenti può profilarsi come un autentico boomerang per l’occupazione, specie in alcuni settori come il commercio e quelli degli alloggi e ristorazione, lo documenta anche la Fondazione dei Consulenti del lavoro. Il rischio, scrive nel “Secondo Rapporto di monitoraggio sulla crisi da Covid-19”, «è di perdere circa il 12% dei posti di lavoro, rischio che sale addirittura al 14% nel comparto dei lavoratori autonomi con effetti assai più drastici al Sud. Soprattutto nelle pmi, a livello territoriale, le percentuali ipotizzate mostrano perdite assai più feroci al Mezzogiorno e al Centro, con la stima di oltre un lavoratore su quattro a rischio per il proprio posto di lavoro al Sud. Lo scenario emerge da un sondaggio su un campione di oltre 3mila iscritti all’Ordine, condotto nella prima metà del mese di dicembre, a distanza di due mesi da una precedente rilevazione. Se sul fronte delle pmi la situazione è molto critica, con il venir meno del divieto di licenziamenti per i lavoratori autonomi si profila una Caporetto. Per imprenditori, artigiani, commercianti, professionisti e partite Iva, che in questi mesi hanno pagato il prezzo senza dubbio più elevato della pandemia, i Consulenti stimano che, rispetto all’inizio del 2020, la riduzione media delle attività in proprio si attesterà sul 14,6%. Ma si sale al 20% per i lavoratori autonomi del Mezzogiorno, la percentuale più alta sul piano nazionale. 

Insomma, gli effetti della pandemia sull’economia e sull’occupazione del 2021 saranno diversi nelle varie aree del Paese. Ma «è palese – scrivono i Consulenti del Lavoro - che nel Meridione la crisi in atto si va a sommare a situazioni locali di depressione economica, che caratterizzano alcune zone del Sud. Per ottenere risultati efficaci, capaci di contenere l’emorragia in arrivo di aziende e lavoratori, bisognerebbe intervenire a livello governativo sugli arcinoti problemi esistenti da sempre: in particolare, sulle infrastrutture viarie e ferroviarie, come l’Alta Velocità in Calabria, Puglia e Sicilia, oltre a creare una vera e diffusa cablatura tecnologica dei territori». Con un interrogativo dalla risposta scontata: come sarà possibile realizzare tutto questo entro la fine di marzo? 

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