Carne, il nuovo piano Ue fa infuriare gli allevatori

Carne, il nuovo piano Ue fa infuriare gli allevatori
Carne, il nuovo piano Ue fa infuriare gli allevatori
di Carlo Ottaviano
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Domenica 4 Aprile 2021, 16:18 - Ultimo aggiornamento: 5 Aprile, 10:38

Se fosse una invenzione ludica sarebbe un rompicapo impossibile da sbrogliare. Ma purtroppo non lo è. Qui in gioco c'è il futuro: da una parte la sostenibilità ambientale europea e dall'altro il settore economico legato agli allevamenti di bestiame che vale 170 miliardi di euro e occupa quattro milioni di persone nell'Ue. Nella sola Italia il giro d'affari è di 40 miliardi di euro e gli addetti sono 520 mila: 250 mila nei campi, 270 mila nelle aziende di trasformazione alimentare (senza calcolare i derivati non alimentari: pelletteria, biomedicale, cosmesi e detergenza, pet food, fertilizzanti organici, biomasse per l'energia rinnovabile). Non è quindi la solita lite vegetariani vs onnivori, ma qualcosa di ben più complesso che sta per esplodere. In giugno il Parlamento Europeo sarà infatti chiamato ad approvare il piano strategico Farm to Fork (dal produttore al consumatore) destinato a stravolgere in modo strutturale la produzione del cibo.

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GLI OSTACOLI

Giustamente ambizioso l'obiettivo del Green Deal della Commissione Von der Leyen: l'Europa aspira a diventare entro il 2050 il primo continente a impatto climatico zero e per riuscirci la strategia F2F impone sistemi alimentari sostenibili e sani per le persone e il pianeta.
Il piano prevede la limitazione dell'uso dei fertilizzanti, l'incremento dell'agricoltura biologica, un minor consumo di carne. Un ciclone rischia così di abbattersi sul settore della carne, tanto da aver spinto le maggiori associazioni della filiera zootecnica a cancellare anni di concorrenza.

I produttori di Belgio, Italia, Francia, Spagna, Germania, Portogallo e Polonia riuniti sotto il cappello dell'European Livestock Voice - sostengono che all'interno del piano europeo alcuni paradossi si tramutano di fatto in ostacoli alla transizione green. Capofila sono gli italiani dell'Associazione Carni Sostenibili. «Con la Germania spiega il presidente Giuseppe Pulina siamo il Paese più avanzato nel promuovere la zootecnia circolare e la sostenibilità energetica. Con la produzione di gas da allevamenti, possiamo alimentare 500 mila smart elettriche con una percorrenza annuale di 20 mila chilometri ciascuna».

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Gli allevatori non si considerano responsabili dei cambiamenti climatici. «I dati sostiene Pulina - dimostrano che dagli allevamenti europei arriva solo il 7,2% di tutte le emissioni, già oggi la metà della media mondiale che è del 14,5%. Non sarebbe paradossale ridurre la produzione ed essere poi costretti ad importare carne da altri paesi meno efficienti e che impattano di più sull'ambiente?». Incoerente, secondo European Livestock Voice, è il contemporaneo obiettivo entro il 2030 di ridurre l'uso dei fertilizzanti del 20% e aumentare le produzioni biologiche del 25%. «Ma per eliminare i fertilizzanti chimici precisa Pulina - è necessario il bestiame, il cui letame permette di fertilizzare naturalmente il suolo».

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L'Associazione Carni Sostenibili giudica come un pregiudizio anche l'accusa secondo cui gli allevamenti sottraggono terreno per l'alimentazione umana. «Negli ultimi 60 anni sostiene Pulina - il suolo utilizzato per l'allevamento e il pascolo in Europa è rimasto costante mentre la popolazione è cresciuta di 125 milioni di individui. Inoltre, il terreno coperto da foreste è cresciuto di 8,5 milioni di ettari. Vuol dire che il settore zootecnico ha aumentato la sua efficienza produttiva, senza utilizzare maggiore superfice». Gli animali aggiungono gli allevatori - sono per natura complementari alla nostra vita perché l'86% della loro dieta si basa su parti vegetali non digeribili dall'uomo, come erba, fieno e residui colturali. Insomma, gli allevatori condividono l'obiettivo di costruire un sistema alimentare sostenibile che tuteli l'ambiente e il benessere degli animali, ma vogliono avere voce. «Come tutti i grandi organismi afferma Pulina i tempi di risposta dell'Ue sono lenti, ma crediamo che il nostro messaggio di questi giorni sia forte e chiaro».

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