Nell’equilibrio della sanità italiana il ruolo dei Fondi integrativi è ormai irrinunciabile.
Non per sostituire il Sistema sanitario nazionale (Ssn) nelle sue 21 varianti regionali, ma per evitare che le sue prestazioni, sebbene formalmente garantite, risultino inaccessibili. «Il problema delle liste d’attesa causa numerose rinunce a visite specialistiche, soprattutto nel Centro-Sud del Paese, dove il ruolo dei Fondi sanitari integrativi è più limitato». Così Giovanna Gigliotti, ad di UniSalute, che ribadisce una tesi consolidata in linea teorica, ma ancora praticata da una minoranza del Paese. Una minoranza consistente – sono ormai oltre 15,6 milioni gli italiani iscritti ai Fondi – ma pur sempre una minoranza. La spesa sanitaria privata nel 2021 ha superato 41 miliardi di euro, rappresentando più del 24% dell’intera spesa degli italiani per la salute. Ma di questa enorme somma in Italia solo l’11% è intermediata dai Fondi sanitari, l’89% è sostenuta direttamente dalle famiglie: una percentuale lontana dal 58,5% della Francia o dal 71,9% della Gran Bretagna. L’analisi fornita da UniSalute è stata illustrata nel corso di una tavola rotonda – dal titolo “Il ruolo della componente integrativa per l’equilibrio del sistema di welfare italiani” – svoltasi a margine della presentazione del Rapporto 2022 di Welfare Italia, il laboratorio per le nuove politiche sociali nato per iniziativa del Gruppo Unipol e da quattro anni diventato un think tank con la partnership di The European House-Ambrosetti.
LA CRISI DEMOGRAFICA
Quest’anno il focus è stato rappresentato dalla crisi demografica che inevitabilmente finirà per condizionare la qualità (e la quantità) di protezione sociale per gli italiani. Lorenzo Tavazzi, partner e responsabile Area Scenari e Intelligence di Ambrosetti, ha ricordato che «una riduzione dell’1% dei lavoratori determina 2,5 miliardi in meno di contributo al welfare del Paese». Sicché la denatalità, oltre alla crisi economica e alla incipiente recessione, finirà per ridurre non solo il numero degli abitanti in Italia, ma anche il numero dei lavoratori attivi. Meno nati, meno lavoratori, meno Pil, meno risorse da destinare al welfare e quindi anche alla sanità, proprio quando se ne avverte più forte il bisogno. E proprio quando il Ssn mostra i suoi limiti. Evidenziato nel periodo terribile della pandemia. Nel corso della presentazione del Rapporto 2022 di Welfare Italia, Walter Ricciardi ha paventato «l’insostenibilità del sistema salute», snocciolando alcuni numeri: l’Italia ha 5 posti letto ospedalieri ogni mille abitanti, contro i 6 della Francia e gli 8 della Germania. E continua a segnalare un deficit di personale sanitario (non solo medico): «Mancano 53mila infermieri». Un quadro critico della sanità italiana che deve rilanciare l’attenzione sul ruolo del contributo privato alla salute, non per sostituire il Ssn «unico irrinunciabile e universale» come ha ribadito Gigliotti, ma per cercare un nuovo equilibrio – così come per tutti i sistemi di welfare – tra pubblico, privato e privato sociale. Un volano essenziale di sviluppo della sanità integrativa resta affidato alla contrattazione collettiva. Sia quella nazionale, sia quella di secondo livello. Ormai quasi il 60% dei contratti di lavoro prevedono servizi di welfare aziendale, anche se solo il 7,6% di questi propone integrazioni per la salute. Oltre al ruolo dei Fondi c’è molto spazio per crescere. E anche i Fondi hanno bisogno di nuovi sistemi di controllo. Lo ha ribadito il presidente del Cnel, Tiziano Treu: «Nell’orizzonte del welfare, tra Fondi e contratti la sanità va fortissimo.
I TEMI
In questo scenario, il sistema dei Fondi sanitari integrativi è caratterizzato da tre grandi «questioni aperte»: la definizione delle prestazioni integrative; l’identificazione di un sistema di monitoraggio puntuale delle attività dei fondi (oggi rimesso a più enti); la raccolta di dati sulle attività dei fondi. Accanto alle questioni aperte resta tutto il ruolo fondamentale che nel sistema i Fondi svolgono egregiamente a livello di compliance fiscale e di mutualità. «La spesa intermediata dai Fondi ne alimenta significativamente il livello poiché le prestazioni rimborsate devono essere adeguatamente documentate – aggiunge Gigliotti – e i Fondi calmierano i prezzi delle singole prestazioni sanitarie».
L’IMPEGNO DEL GOVERNO
Il sottosegretario al Lavoro, Claudio Durigon, si è impegnato a prendere buona nota delle suggestioni prodotte dal tavolo promosso da UniSalute, ribadendo la volontà di «rafforzare la contrattazione; non mi appartiene la filosofia del salario minimo, ma quella dei contratti». Maurizio Casasco, membro della Commissione Attività produttive della Camera dei deputati – nonché presidente emerito di Confapi – ha insistito sul welfare come «parte del contratto di lavoro. E soprattutto si deve affermare un welfare sanitario che non sia solo cura o rimborso delle cure, ma prevenzione». Quella prevenzione che in tempo di Covid «è stata troppo spesso sacrificata dal Ssn – aggiunge Gigliotti – con gravi conseguenze che toccheremo con mano nei mesi a venire». © RIPRODUZIONE RISERVATA
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