Effetto Ucraina, sulla tavola alimenti meno abbondanti: costi alle stelle e minore sicurezza

Effetto Ucraina, sulla tavola alimenti meno abbondanti: costi alle stelle e minore sicurezza
di Carlo Ottaviano
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Mercoledì 6 Aprile 2022, 15:20 - Ultimo aggiornamento: 7 Aprile, 08:46

«Non vedo a breve termine un problema di approvvigionamento di materie prime per il nostro Paese».

È rassicurante il ministro delle Politiche agricole Stefano Patuanelli. A condizione, però, di dare una misura al concetto di «breve termine» in un’epoca in cui si naviga a vista: prima i due anni di pandemia, poi l’impennata dei prezzi energetici con le ricadute sul costo dei trasporti e della produzione di fertilizzanti, quindi la guerra in Ucraina e il crollo dell’export dall’Europa dell’Est di cereali e mais, infine il clima con la prolungata siccità e l’improvviso maltempo che ha danneggiato gli alberi da frutto durante la fioritura primaverile, mettendo a serio rischio i raccolti estivi.

RIPERCUSSIONI

Non è facile predire il futuro, anche pensando al prossimo autunno. Comunque, in Italia non mancherà il cibo. Sarà solo meno abbondante. La crisi causerà, invece, carestie altrove e noi subiremo ulteriori aumenti dei prezzi dei prodotti essenziali – cereali per primi – e degli altri di cui siamo dipendenti dall’estero, da dove arriva la metà di quel che mangiamo. Secondo l’Ispi, l’import agricolo italiano è cresciuto del 55% in 10 anni: compriamo il 20% in più di pesce, il 51% in più di frutta fresca e trasformata, il 20% in più di ortaggi e oli. L’ottimismo non è di questa stagione. «La maggior parte delle persone nel mondo occidentale ha scorte per poco più di tre giorni nella propria dispensa e quando si teme un’emergenza questo può far aumentare il loro senso di incertezza e timore sul futuro», afferma Natasha Linhart, ceo di Atlante, società bolognese che opera in quattro continenti e gestisce per importanti catene europee della distribuzione l’acquisto di oltre 1.500 prodotti alimentari. «In più – aggiunge – ora ci troviamo con un livello di inflazione per il cibo che non ha precedenti negli ultimi 40 anni, con prospettive per nulla incoraggianti».

Natasha Linhart, ceo di Atlante

«Ma è meglio guardare nel lungo periodo – afferma Dino Scanavino, presidente di Cia Agricoltori Italiani – e avviare finalmente un puntuale censimento d’emergenza delle scorte a livello comunitario». La preoccupazione maggiore è il rincaro del granturco abitualmente importato dalle zone del conflitto. «Essendo il primo ingrediente della dieta dei capi di bestiame delle nostre stalle – osserva Scanavino – dal mais dipende la tenuta degli allevamenti italiani e la fornitura ucraina è difficilmente sostituibile con quella degli Stati Uniti, vuoi per l’alto costo della logistica, vuoi per il problema degli Ogm, incompatibili con i disciplinari di produzione delle Dop che hanno l’obbligo di approvvigionarsi di carni allevate con mangimi non-Ogm». Dal tema della food-security e della salubrità degli alimenti alle questioni sociali il passo è breve. «L’eventuale autorizzazione europea alle importazioni temporanee di prodotti agricoli in deroga agli standard sui limiti massimi fitosanitari – ha denunciato nel corso di un’audizione alla Camera il consigliere delegato di Filiera Italia, Luigi Scordamaglia – avrebbe come ulteriore effetto di aggravare il cosiddetto food social gap, in cui la parte più povera della popolazione deve anche accettare standard di sicurezza inferiori».

EFFETTO CATENA

In un mondo dove tutto è interconnesso, si deve guardare alle altre aree del mondo che producono ed esportano cibo. Linhart fa l’esempio significativo del Brasile, quarto produttore mondiale di cibo e terzo maggior esportatore, primo produttore mondiale di zucchero e caffè, secondo produttore di semi di soia e carne bovina. «L’anno scorso – ricorda la ceo di Atlante – il presidente Bolsonaro aveva già avvertito di una potenziale crisi alimentare per via del costo dei fertilizzanti. Importa il 90% di quanto ne usa e ora vive una situazione di scarsità gravissima che mette a serio rischio la sua agricoltura». Ragionamento che porta alle questioni geopolitiche: alla Russia maggiore produttore mondiale di fertilizzanti, alla Cina che controllerà presto il 69% del mais mondiale e il 60% del grano globale, ai venti di rivolta nei Paesi africani se dovesse mancare – come si teme – il pane, infine alla domanda su chi vincerà la guerra in corso prescindendo da chi si imporrà sul terreno. Il precario equilibrio del mondo è fatto comunque anche di deviazioni e correzioni perfino per quanto riguarda i consumi alimentari. «Se mancasse il grano tenero – afferma Linhart – potremmo vedere erodere le scorte di grano duro; se sacrifichiamo, come è probabile avverrà in alcune zone italiane, la terra dedicata al pomodoro per piantare mais, avremo meno pomodoro. Se ci mancano i fertilizzanti per coltivare la barbabietola, non avremo zucchero e dovremo sostituire quelle calorie con altri cibi. Se manca l’olio di semi di girasole, consumeremo più palma. Tutto questo crea dei colli di bottiglia». Insomma, il cibo non mancherà ma costerà di più perché il pendolo sta ancora andando nella direzione degli aumenti di costo e dello squilibrio tra offerta e domanda.

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