Da una modesta cucina di Merate alla quotazione miliardaria in Piazza Affari.
È la storia di Technoprobe, un gruppo con oltre 2.200 dipendenti distribuiti in 11 paesi e fondato nel 1996 da Giuseppe Crippa, con sede a Cernusco Lombardone, 4mila abitanti in provincia di Lecco che sotto il Ducato di Milano fu dominata dalle famiglie Cernuschi, Panigarola e infine Brivio. È attiva nella progettazione e distribuzione di “probe cards”, cioè schede-sonda posate sui chip per essere testati. Technoprobe è sbarcata il 15 febbraio sull’Euronext Growth, la piattaforma di negoziazione di imprese competitive facendo subito boom: balzo del 12% al debutto, seguito da un 14% il giorno dopo, con una valutazione di 3,5 miliardi che ora si è stabilizzata attorno a 4 miliardi. «È una realtà tecnologica importante, in Italia non abbiamo solo eccellenze nel design e nel lusso, questa è una eccellenza tecnologica», spiega Francesco Spila, head of equity capital market di Mediobanca che con Imi ha gestito il collocamento sul mercato attraverso un’Opvs sul 20% del capitale, per un valore di 713 milioni, di cui 140 milioni rivenienti da aumento di capitale e 570 milioni dalla vendita di azioni da parte dei soci. La società è controllata da T-Plus, finanziaria della famiglia Crippa, motore della crescita condotta dal fondatore e dai figli Cristiano e Roberto.
POCHI MA BUONI
Oggi il gruppo vanta ricavi per 390 milioni, con un Ebitda di 175 milioni (45% di marginalità) e per il 2022 stima 460 milioni di giro d’affari e 210 milioni di margine. La caratteristica principale è che l’intera attività è destinata all’estero: i mercati di riferimento sono Taiwan, Stati Uniti e resto del mondo, con un numero ridottissimo di clienti (una ventina in tutto), come Intel, Stm, Tsmc. Technoprobe nasce nella testa del fondatore intorno agli anni 60’ quando Crippa, classe 1935, attuale presidente onorario, lavora alla Sgs di Agrate, in Brianza, che decide di mandarlo in missione negli Stati Uniti. «L’azienda mi ha dato all’epoca un’importante prova di fiducia - racconta a MoltoEconomia - La missione era di apprendere il processo di realizzazione dei transistor al silicio che erano i primi prodotti al mondo. All’inizio non è stato facile, molte porte chiuse e nessuno mi mostrava nulla, temendo probabilmente che io volessi rubare certe competenze».
LO SHOPPING
«Noi siamo un fornitore di un prodotto che serve per testare i microchip, e qualunque chip di qualunque applicazione va testato. Più il chip è complesso più il test è complesso. Senza questi test, i nostri clienti non possono sapere se il loro prodotto funziona. Siamo di fatto una sorta di monopolio. In Italia facciamo il 2% del fatturato globale, il 98% è tutto estero». Nonostante ciò, l’azienda intende puntare molto sull’Italia. Spiega Felici: «I circa 700 milioni raccolti in Borsa serviranno per acquisire nuove tecnologie da poter integrare nei nostri processi produttivi. A breve – aggiunge – apriremo un nuovo stabilimento ad Osnago, mentre da poco abbiamo inaugurato quello ad Agrate». Technoprobe ha già messo gli occhi su qualche realtà che risponda alle sue esigenze di sviluppo tecnologico? Sul punto il riserbo è massimo. Anche se non è difficile intuire che la ricerca si è già estesa all’estero. L’obiettivo? Sviluppare probe cards di nuova generazione per soddisfare una clientela che mai avrebbe pensato di dover dipendere da un minuscolo aggeggio nato tra un fornello e il frigorifero in una cucina del profondo Nord lombardo.
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