La guerra del metano: doppio aggiotaggio o prove di dirigismo?

La guerra del metano: doppio aggiotaggio o prove di dirigismo?
di Gianni Bessi
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Mercoledì 2 Novembre 2022, 11:55 - Ultimo aggiornamento: 24 Febbraio, 22:38

Il susseguirsi delle proposte relative all’introduzione del price cap sul gas così come si vanno precisando, con le varianti inserite dal recente Consiglio europeo anche con creatività fraseologica – non ultimo il “price cap a corridoio dinamico” che riporta alla mente il cavallo di battaglia del Conte Mascetti, “la supercazzola prematurata” – comincia a insospettire anche perché nell’aria si respira quel sentore di zolfo che precede l’arrivo del diavolo, che in questo caso, prendendo a spunto un recente romanzo sul mondo della finanza, non è altro che la formazione delle teorie economiche su aspettative che si realizzano in base a condizionamenti e percezioni del mercato rappresentato dall’insieme di operatori che subiscono (letteralmente) le informazioni e utilizzano regole e standard che ne determinano le scelte.

Ciò in un contesto dove le teorie dell’economia e della finanza comportamentale si fondono riguardo ai processi decisionali, perché è dalla loro combinazione che nascono le tendenze. Questo trascinarsi del dibattito e dei parziali o totali rinvii sul tetto al prezzo del gas è ormai diventato una specie di gioco di “mando e rimando”. Allo stato è difficile dire se sia voluto o meno, ma di gioco si tratta: le regole tengono conto sì delle esigenze dei partecipanti, ma anche di chi influenza gli scambi dall’esterno, come Vladimir Putin, che non a caso si affida alle teorie comportamentali e alla conoscenza degli standard che presiedono al mercato. Si prenda uno per tutti il caso del Title Transfer Facility della Borsa di Amsterdam, più noto come TTF-gas. Ebbene, la prova che la speculazione che opera su quell’indice è fortemente influenzata dal ping pong di dichiarazioni “autorevoli” – cioè credibili per l’autorevolezza di chi le diffonde (e Putin come capo di uno Stato è autorevole per definizione) – è nelle ampie oscillazioni che lo deprimono o lo esaltano (con differenze anche di più del 20% nella stessa giornata) ogni volta che una fonte autorevole diffonde un’informazione sensibile, appunto detta “price sensitive”. Sicché, quando Putin minaccia di tagliare le forniture di gas ai paesi ostili alla sua politica di aggressione, poco importa se ciò avverrà: alla speculazione basta la notizia che ciò potrebbe accadere e dunque si comporta di conseguenza, acquistando grandi quantità di gas in previsione della penuria d’offerta, facendo così volare il prezzo.

IL BALLETTO TEDESCO

 Del pari, quando la Germania sembra aderire alla proposta sul price cap pronta però a negarlo qualche ora dopo supportata dall’incrollabile «nee» olandese, ai fini dell’informazione al mercato non fa nulla di diverso da ciò che fa Putin.

Ma anche lo spiraglio che si apre a Bruxelles (c’è sempre uno spiraglio che si apre) o la lettera dei 15 Paesi che chiedono con tono imperativo l’introduzione del price cap incidono sul trend di mercato, provocando in Borsa un calo del prezzo. Persino il compromesso sul “fratello minore” del price cap immaginato da Mario Draghi – sulla falsariga del celebre «whatever it takes» – segnala una volontà di compiere il gran passo senza però un vero seguito, alimentando così un saliscendi del prezzo a beneficio soltanto della speculazione. Insomma, un mando e rimando lungo sette mesi che comunque ha già prodotto un risultato: dai massimi attorno a 350 euro di agosto, il prezzo del gas attualmente oscilla tra 100 e 120 euro senza che alcuna iniziativa sul price cap sia stata realmente assunta. Naturalmente questo ping pong di “informazioni” – che sotto una certa lente somiglia tanto a una doppia operazione di aggiotaggio – non è la sola ragione, perché al raffreddamento del prezzo hanno contribuito la lunghissima estate di San Martino, che si è prolungata per tutto ottobre, e il completamento tempestivo degli stoccaggi. Per non dire dell’effetto moral suasion su imprese e cittadini, grazie al quale l’Europa negli ultimi due mesi ha ridotto i consumi del 15% rispetto alla media dei 5 anni precedenti.

INCUBO ORWELLIANO

 C’è poi il fatto che il price cap sul prezzo del gas da non pochi è visto come un sopruso, il ritorno di un incubo orwelliano con lo Stato che decide sulla vita privata dei cittadini e sull’economia. Sicuramente l’idea colpisce al cuore chiunque sia di fede liberista, che intende la misura come un’intromissione nel libero incontro tra domanda e offerta e che quindi ha un impatto su tutti i passaggi della vita quotidiana. Del resto è una vicenda che oggettivamente mette in discussione certezze, minando la più elementare regola del mercato. Al punto che sorge il dubbio che il confronto sull’introduzione del price cap venga tirato in lungo al solo scopo di dimostrare una volontà funzionale al raffreddamento del prezzo che però non sarà mai finalizzata; o quantomeno lo sarà in un modo così poco significativo da non violare nella sostanza il principio del libero scambio. In altre parole, il tetto al prezzo del gas sarebbe una grande narrazione – ovviamente non ci sono prove tangibili – concepita dai governi europei affinché i “popoli e le genti”, e quindi i mercati, si convincano del suo imminente arrivo. Così da contrapporsi, usando la stessa arma della propaganda, alle azioni minacciate da Putin.

LA LEZIONE DI ANDREATTA

 Ma dare credito comporta dare fiducia e quindi il liberismo che si propone come faro di una metafisica dell’economia moderna, non può sopportare altre credenze se non quella propria di una teocrazia economicista. Allora è giusto domandarsi se qualcosa di profondo non stia cambiando. Sicché proprio il price cap – o la sua natura simbolica – sembra inserirsi in una partita più grande: quella della ripresa delle politiche economiche pubbliche, a cominciare da quella di fare più “debito buono”, come lo ha chiamato Draghi in versione keynesiana, che ricorda tanto la lezione appresa alla scuola di uno dei suoi maestri: Beniamino Andreatta. Alcuni, forse esagerando, lo chiamano dirigismo. Due fronti, quello intrinsecamente liberista e quello sovranista, si affrontano l’un contro l’altro armati, con un obiettivo per il mondo occidentale che è ancora tutto da decifrare e la cui direzione scopriremo solo vivendo.

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