Settant’anni fa, in questi giorni, l’uomo tocca per la prima volta la cima più alta della Terra. Il 29 maggio 1953, il neozelandese Edmund Hillary e lo sherpa Tenzing Norgay mettono piede sugli 8.848 metri dell’Everest, sventolano l’Union Jack britannico, si abbracciano lanciando urla di gioia.
Il 2 giugno, durante il corteo per l’incoronazione di Elisabetta II, gli altoparlanti gridano la notizia a tre milioni di londinesi festanti. «All this, and Everest too!», «Tutto questo, e anche l’Everest!», titola un quotidiano l’indomani, accanto a una foto della giovane sovrana.
IL SOGNO
Per decenni, la storia della montagna s’intreccia con i giochi di potere dell’Asia. Gli inglesi la misurano nell’Ottocento dall’India, le danno il nome di un loro topografo, poi estendono il loro potere sul Tibet. Il Dalai Lama, nel 1921, autorizza la prima spedizione. Hillary e Tenzing arrivano in cima trentadue anni dopo dal Nepal, e la loro è l’ultima vittoria dell’Impero. Oggi l’Everest, Chomolungma per i tibetani e gli sherpa, è diventato una montagna di soldi. In questi giorni lo tentano 454 alpinisti-clienti di spedizioni commerciali, accompagnati da 650 guide sherpa. Puntano alla cima 96 cinesi, 87 statunitensi, 40 indiani, rappresentanti di altre decine di Paesi. Tra il 1953 e il 2022, 11.341 persone hanno toccato la cima. Uno di loro, lo sherpa Kami Rita, c’è arrivato 26 volte, e ora tenta di migliorare il suo record. Fino a oggi, 310 alpinisti hanno perso la vita sull’Everest. Il sogno, però, costa caro. «Ogni cliente paga tra i 50mila e i 60mila dollari, più il volo e l’abbigliamento d’alta quota. I più ricchi ne pagano 160mila, e hanno più bombole di ossigeno, più sherpa, un campo-base di lusso e una tenda ipobarica per acclimatarsi a casa», spiega Alan Arnette, alpinista e blogger del Colorado e informatissimo cronista dell’Everest.
L’INDUSTRIA
Secondo la Banca Mondiale, l’industria del turismo contribuisce per il 5% al Pil del Nepal. Nel 2019, per il governo di Kathmandu, metà di questa cifra, e quindi 370 milioni di dollari, è arrivata da alpinisti e trekker. Ma l’Everest attira anche chi viene per visitare i templi della Capitale, o la casa natale del Buddha a Lumbini. Le dimensioni del business dell’Everest si sono capite davvero nei momenti di crisi. Il terremoto del 2015 ha ridotto drammaticamente l’afflusso, il lockdown lo ha chiuso per due anni. Kathmandu ha riaperto le frontiere un anno fa, da aprile si può tornare anche in Tibet. «L’anno scorso, per qualche mese, il governo di Pechino ha consentito ai cinesi di visitare il Tibet, e questo ha dato ossigeno all’economia. Ora la riapertura è totale», spiega Navyo Eller, tour-operator di Merano con agenzie a Kathmandu e a Lhasa. Nel 2024, centinaia di alpinisti-clienti saliranno l’Everest da nord, e centinaia di migliaia di turisti cinesi e stranieri tenteranno di fotografarlo da lontano. «Questa montagna è grande, è pericolosa, ma è la vita mia e dei miei figli», spiega Kami Rita, lo sherpa dei record, prima di ripartire verso l’alto.
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