Russia, effetto sanzioni: Pechino non basta, per l'Orso russo tempi grami in vista

Le misure adottate dai Pesi occidentali stanno producendo effetti negativi

Russia, effetto sanzioni: Pechino non basta, per l'Orso russo tempi grami in vista
di Gianni Bessi
5 Minuti di Lettura
Mercoledì 5 Aprile 2023, 12:49 - Ultimo aggiornamento: 6 Aprile, 09:44

Le entrate russe per la vendita di petrolio e gas si sono quasi dimezzate a febbraio, dopo il varo delle restrizioni occidentali su greggio e prodotti petroliferi.

Inoltre l’export di gas verso l’Europa è diminuito in maniera considerevole: in un anno i proventi da greggio sono calati del 48% mentre quelli da gas del 42%. È pur vero che oggi Mosca vende, soprattutto petrolio, a Cina e India, ma i prezzi non sono certo quelli che pagavano i Paesi europei. L’agenzia Reuters ha battuto pochi giorni fa una dichiarazione del ministro russo dell’energia Nikolay Shulginov, nella quale anticipava che nel 2023 la produzione di petrolio e gas dovrebbe diminuire in maniera consistente a causa delle restrizioni occidentali e del venir meno dei clienti europei. Petrolio e gas sono da sempre le principali voci d’esportazione della Russia: nel 2022 è stata il secondo esportatore mondiale di greggio dopo l’Arabia con 535 milioni di tonnellate, e il primo di gas con 184,4 miliardi di metri cubi.

CANDIDA AMMISSIONE

La candida ammissione del ministro Shulginov suggerisce una considerazione: nonostante le perplessità e, in qualche caso, anche le critiche, le misure adottate dai Paesi occidentali stanno producendo effetti concreti sull’economia russa. Al punto che Mosca sta offrendo anche i suoi idrocarburi a prezzi molto scontati. Se tutto ciò si configurerà come un elemento destabilizzante costringendo Vladimir Putin a rivedere le proprie strategie – economica ma soprattutto militare – è presto per dirlo. Ma i segnali di sofferenza stanno cominciando a insinuarsi nelle stanze del Cremlino. Anche perché la Russia si trova a combattere, proprio per l’efficacia delle sanzioni, un’altra guerra: quella con l’inflazione. Le stime indicano che nel 2022 il rincaro di beni e servizi è aumentato drasticamente, sfiorando il 14%, con il tasso di cambio tra rublo ed euro che ha raggiunto la proporzione di 80 a 1. E la stessa dinamica vale nei confronti del dollaro. In linea puramente teorica, la perdita di valore del rublo, mentre da una parte mette in ginocchio il potere d’acquisto dei cittadini, dall’altra dovrebbe favorire l’export, ma non è così proprio a causa delle sanzioni. Del resto, le previsioni per il 2023 sono inequivocabili: rispetto al 2022 le importazioni aumenteranno del 3,3% mentre le esportazioni caleranno del 9,1%. Il quadro è aggravato dalla situazione dei conti pubblici, entrati in sofferenza con l’enorme spesa per sostenere le attività belliche. Le riserve “fisiche” e monetarie si stanno erodendo lentamente e il sostegno del Dragone cinese diventa sempre più decisivo.

Per quanto tempo reggerà l’Orso Russo?  E per quanto ancora i suoi sostenitori attuali, a cominciare dalla Cina, lo potranno sostenere?

LA PREDIZIONE DI NABIULLINA

Se si vuole dare credito all’ultima uscita di Putin, con l’ammissione che le sanzioni stanno pesando sull’economia, i tempi si starebbero accorciando. Del resto, pochi mesi fa Elvira Nabiullina, dal giugno 2013 governatrice della Banca centrale della Federazione Russa, aveva posto il problema degli effetti nel medio periodo di tale criticità. Insomma, come ha sottolineato il Wall Street Journal pochi giorni fa – in un articolo a firma di Evan Gershkovich, che poi è stato arrestato per spionaggio – il ricatto energetico di Putin non solo è fallito ma i cittadini ne stanno toccando con mano gli effetti negativi. Contemporaneamente il mercato globale del Gnl continua a registrare una crescita costante, come sostiene l’ultimo report di Bruegel, divenendo così ancora più “liquido”. In conclusione, l’ultima nota dolente per la Russia potrebbe essere che la “soluzione alternativa”, lo spostamento delle esportazioni verso la Cina, potrebbe non sortire i frutti sperati, perché il mercato cinese dell’oil&gas potrebbe rivelarsi non altrettanto remunerativo dell’europeo. Ciò, nonostante il record di forniture stabilito nel 2022 grazie al gasdotto Power Siberia con 15,5 miliardi di metri cubi (nel 2021 erano stati 10,39 miliardi di metri cubi). Gazprom – come riporta l’agenzia Energia Oltre – si aspetta di raggiungere nei prossimi anni un volume di esportazioni di 48 miliardi di metri cubi di gas l’anno dopo il potenziamento del gasdotto. L’obiettivo più ambizioso sarebbe raggiungere 100 miliardi di metri cubi all’anno, comunque ancora distanti dagli oltre 155 miliardi che acquistava l’Europa. Il completamento del gigantesco progetto da 2.200 chilometri di tubi che dal giacimento Chayandinskoye (e, in futuro, da quello di Kovykta, sempre in Siberia) arriverebbe in Cina transitando dalla Mongolia è indubbiamente ambizioso ma i tempi di realizzazione, che non sono certi, potrebbero trovare ostacolo nelle sanzioni stesse. Senza infine dimenticare anche la politica molto accorta di differenziazione degli approvvigionamenti che il Dragone ha in materia di forniture energetiche. In conclusione, di là delle impettite esortazioni di Putin dalla Sala di San Giorgio del Cremlino, per l’Orso russo si prospettano tempi grami.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

© RIPRODUZIONE RISERVATA