Smart working addio: fine dell'euforia adesso si torna in ufficio. Con tutti i benefit

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di Marco Barbieri
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Giovedì 3 Giugno 2021, 06:00 - Ultimo aggiornamento: 15:50

L'euforia sembra archiviata. Questo è certo. Più difficile dare misurazioni coincidenti. Si passa dal 78% dei lavoratori italiani che «vuole tornare in ufficio appena possibile» (secondo il Randstad Workmonitor, l’indagine semestrale sul mondo del lavoro di Randstad) al 40% che si dichiara contento «all’ipotesi di tornare a lavorare tutti i giorni in presenza» (secondo il report compilato dalla Fondazione dei Consulenti del lavoro).

MISTICA ED ÉLITE

«Intorno al presunto smart working – sostiene Luca Pesenti dell’Università Cattolica – si è creata quasi una mistica. Tutti potranno lavorare da qualunque posto. Ci sono state le suggestioni dei borghi più belli d’Italia che si candidano a residenze professionali. Si lavora dalla spiaggia (quando sarà il momento) così come dalla baita in montagna (connessione Internet permettendo). Tutto vero? Io credo che dovremo ridimensionare aspettative e prospettive. Di certo un cambiamento radicale ci sarà, ma lo smart working avrà una componente elitaria, quando il distanziamento sarà finito». A dire il vero anche i grandi player del web, Google in testa, scommettono sul ritorno dei lavoratori in azienda e investono su nuovi immobili, contraddicendo coloro che vorrebbero spazi aziendali ridotti. Più facile immaginare che nascano soluzioni ibride. Alcune aziende in Italia hanno già siglato accordi sindacali in questo senso – da Bayer a Vodafone – segnando la “rivoluzione del cartellino”, cioè cancellando definitivamente l’obbligo di “timbrare” la presenza. Ma non siamo approdati nel mondo dell’utopia del “nuovo” lavoro, come a volte preconizzava uno dei più convinti apostoli dello smart working, Domenico De Masi. «Lo smart working chiama in causa il tema della misurazione del complessivo apporto professionale di ciascuno – commenta Giovanni Scansani, consulente d’impresa, esperto di welfare aziendale – Quest’ultimo non potrà che essere sostenuto dallo sviluppo delle competenze e delle capability delle persone, il che ci dice che nello smart working il solo controllo delle performance è una condizione necessaria, ma non sufficiente. Il salto concettuale da fare è quello di andare oltre e di saper misurare anche la crescita del “capitale” espresso da ogni lavoratore. In assenza di ciò ben difficilmente potranno riconoscersi quegli spazi di autonomia sempre rivendicati dai sostenitori dello smart working, ma che rischiano, in assenza di tali premesse, di essere solo mitologici». STRESS E DISAGI Sono numerosi gli occupati che segnalano i disagi e le controindicazioni, a partire dalla dilatazione dei tempi di lavoro, che nella nuova logica spazio-temporale, finiscono per sovrapporsi a quelli domestici e privati: a lamentarsene il 53,1% di chi lavora da casa (indagine dei Consulenti del Lavoro). Il venire meno della presenza come “misuratore” del lavoro poi, se da un lato porta inevitabilmente a una maggior concentrazione sui risultati, dall’altro aumenta stress ed ansia da prestazione, assieme al carico di lavoro (49,7%). Circa il 50% segnala il peggioramento del clima in azienda, l’indebolimento delle relazioni di lavoro; il 47% si sente marginalizzato rispetto alle dinamiche delle organizzazioni, mentre il 40% circa inizia a segnalare vera e propria disaffezione verso il lavoro. Circa un terzo (33%), infine, dichiara che il lavoro a distanza sta penalizzando la propria carriera e la crescita professionale. Di certo lo smart working ha rischiato di minare uno degli istituti di welfare più apprezzati dai lavoratori: il buono pasto. Il neopresidente di Anseb (l’associazione che raccoglie i principali emettitori), Matteo Orlandini, dichiara che «il mercato dei buoni pasto ha subito una contrazione tra il 30% e il 35%. Di questa contrazione, una parte ha riguardato i lavoratori in cassa integrazione o con attività sospese (il 15%); un secondo filone sono state le imprese che pre-Covid elargivano i buoni pasto con una scelta unilaterale e hanno deciso di sospenderli durante il periodo pandemico (il 10%)».

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