Donald Trump, quando era alla Casa Bianca, lo chiamava il “Club del 2%”, per porre l’accento sul suo ristretto numero di iscritti.
E in effetti al 2021 solo otto Paesi della Nato facevano parte di questo circolo, in virtù di una spesa militare pari, appunto, al 2% dei loro rispettivi Pil nazionali. Ora anche l’Italia, come annunciato dal ministro della Difesa Guido Crosetto, aspira a ottenere in tempi celeri, possibilmente entro il 2025, la tessera di socio del club. Serve una fiche da 10 miliardi di euro per traguardare l’obiettivo, considerato che lo scorso anno la spesa militare si è fermata da noi sotto la soglia dei 26 miliardi. Ma se da una parte arriva l’eco delle esplosioni di Kiev, dall’altro è forte il richiamo della transizione energetica, che i rincari delle bollette hanno accentuato oltre misura anche tra le mura domestiche, dove la guerra si combatte pure a colpi di interruttori. E così gli italiani si dividono, tant’è che stando a un sondaggio di Swg per Greenpeace più della metà sarebbe contrario a incrementare le risorse per armi ed esercito e riterrebbe più opportuno investire maggiormente nelle fonti rinnovabili.
IN EUROPA
Eppure anche la Danimarca, dove non è che brulichino i guerrafondai, dopo aver visto i tank di Mosca scorrazzare in Ucraina ha deciso di portare la spesa militare al 2%, nel 2033.
GLI OBIETTIVI
Londra infatti punta a raggiungere il 2.5% entro il 2030: rispetto a Liz Truss, che ambiva al 3%, l’attuale inquilino di Downing Street, Rishi Sunak, ha abbassato la mira (ma non di molto). Sempre stando all’istituto con base a Stoccolma, nel 2021 la crescita della vendita di armi e servizi a carattere militare forniti dalle 100 maggiori industrie ha toccato un fatturato record di 592 miliardi di dollari, in aumento dell’1,9% rispetto al 2020. Più della metà delle vendite mondiali è riconducibile a società statunitensi: gli Usa contano una quarantina di aziende nella top 100, che nel 2021 hanno registrato un totale di 299 miliardi di dollari di fatturato, ha rilevato il Sipri. Il totale delle vendite di armi delle 27 aziende europee nella top 100 è aumentato invece del 4,2%, per un fatturato superiore a 123 miliardi di dollari. Tra le aziende del Vecchio Continente figurano anche le italiane Leonardo e Fincantieri. Leonardo occupa il 12° posto in classifica (superata Airbus) ed è quindi la prima rappresentante europea con vendite di armi pari a 13,87 miliardi di dollari, in crescita nel 2021 di 2,71 miliardi sul 2020. Le vendite di armi e servizi militari rappresentano oltre l’80% del giro d’affari della holding. Per Fincantieri (tra le prime cinquanta aziende del settore) ammontano a 3 miliardi di dollari i proventi derivanti dalla vendita di armi (circa il 36% delle vendite totali). L’americana Lockheed Martin (60,3 miliardi di fatturato) è leader di questa speciale classifica, mentre tra le europee spicca in alto la britannica Bae Systems.