Difesa, Italia candidata al “Club del 2%”: la Nato preme per aumentare i budget degli Stati

Difesa, Italia candidata al “Club del 2%”: la Nato preme per aumentare i budget degli Stati
di Francesco Bisozzi
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Mercoledì 1 Febbraio 2023, 13:11 - Ultimo aggiornamento: 3 Febbraio, 19:31

Donald Trump, quando era alla Casa Bianca, lo chiamava il “Club del 2%”, per porre l’accento sul suo ristretto numero di iscritti.

E in effetti al 2021 solo otto Paesi della Nato facevano parte di questo circolo, in virtù di una spesa militare pari, appunto, al 2% dei loro rispettivi Pil nazionali. Ora anche l’Italia, come annunciato dal ministro della Difesa Guido Crosetto, aspira a ottenere in tempi celeri, possibilmente entro il 2025, la tessera di socio del club. Serve una fiche da 10 miliardi di euro per traguardare l’obiettivo, considerato che lo scorso anno la spesa militare si è fermata da noi sotto la soglia dei 26 miliardi. Ma se da una parte arriva l’eco delle esplosioni di Kiev, dall’altro è forte il richiamo della transizione energetica, che i rincari delle bollette hanno accentuato oltre misura anche tra le mura domestiche, dove la guerra si combatte pure a colpi di interruttori. E così gli italiani si dividono, tant’è che stando a un sondaggio di Swg per Greenpeace più della metà sarebbe contrario a incrementare le risorse per armi ed esercito e riterrebbe più opportuno investire maggiormente nelle fonti rinnovabili.

IN EUROPA

 Eppure anche la Danimarca, dove non è che brulichino i guerrafondai, dopo aver visto i tank di Mosca scorrazzare in Ucraina ha deciso di portare la spesa militare al 2%, nel 2033.

E c’è chi, come Londra, già guarda oltre a questa soglia, di cui poi si parla dal 2014 e che secondo il parere di diversi analisti non sarebbe più adeguata. Se ne discuterà a Bruxelles, dove questo mese i ministri della Difesa dei Paesi membri dell’Alleanza Atlantica si riuniranno per fare il punto sugli aumenti di budget nel settore. Intanto, la spesa militare tricolore risulta da anni in costante aumento: un trend iniziato prima della guerra in Ucraina e che non ha registrato battute di arresto nemmeno in pandemia. Secondo le stime preliminari dell’Osservatorio Mil€x, che prendono spunto dagli ultimi bilanci previsionali della Difesa (ma non solo, perché pure altri dicasteri contribuiscono alla spesa militare), quest’anno verrà superata la soglia dei 26 miliardi di euro: da 25,7 miliardi del 2022 si passerà a 26,5 miliardi. Soprattutto per effetto dei maggiori costi del personale di Esercito, Marina e Aeronautica e dell’acquisto di nuovi armamenti (quasi 700 milioni di euro in più). Per raggiungere il 2% del Pil, come detto, mancano una decina di miliardi di euro. Per avere un ordine di grandezza, la Germania è all’1,4% mentre la Spagna viaggia attorno all’1%. Lo Stockholm International Peace Research Institute (Sipri) fornisce i dati sulle spese militari mondiali ed è una delle fonti più autorevoli nel settore. Nel 2021 la spesa militare complessiva di tutti i Paesi del mondo ha superato la soglia dei 2mila miliardi di dollari annui, per la prima volta dal 1949, ossia da quando l’istituto ha iniziato a misurare questo dato. Più nel dettaglio, rispetto al 2020 la spesa militare globale è cresciuta dello 0,7 per cento nell’anno preso in considerazione, raggiungendo i 2.113 miliardi di dollari, equivalenti al 2,2 per cento del Pil globale. Numeri destinati a crescere ulteriormente sulla scia del conflitto innescato dalla Russia di Vladimir Putin e che, come detto, spingono numerosi esperti a pensare che possa presto nascere un nuovo “club”, ma del 2,5 o addirittura del 3%.

GLI OBIETTIVI

 Londra infatti punta a raggiungere il 2.5% entro il 2030: rispetto a Liz Truss, che ambiva al 3%, l’attuale inquilino di Downing Street, Rishi Sunak, ha abbassato la mira (ma non di molto). Sempre stando all’istituto con base a Stoccolma, nel 2021 la crescita della vendita di armi e servizi a carattere militare forniti dalle 100 maggiori industrie ha toccato un fatturato record di 592 miliardi di dollari, in aumento dell’1,9% rispetto al 2020. Più della metà delle vendite mondiali è riconducibile a società statunitensi: gli Usa contano una quarantina di aziende nella top 100, che nel 2021 hanno registrato un totale di 299 miliardi di dollari di fatturato, ha rilevato il Sipri. Il totale delle vendite di armi delle 27 aziende europee nella top 100 è aumentato invece del 4,2%, per un fatturato superiore a 123 miliardi di dollari. Tra le aziende del Vecchio Continente figurano anche le italiane Leonardo e Fincantieri. Leonardo occupa il 12° posto in classifica (superata Airbus) ed è quindi la prima rappresentante europea con vendite di armi pari a 13,87 miliardi di dollari, in crescita nel 2021 di 2,71 miliardi sul 2020. Le vendite di armi e servizi militari rappresentano oltre l’80% del giro d’affari della holding. Per Fincantieri (tra le prime cinquanta aziende del settore) ammontano a 3 miliardi di dollari i proventi derivanti dalla vendita di armi (circa il 36% delle vendite totali). L’americana Lockheed Martin (60,3 miliardi di fatturato) è leader di questa speciale classifica, mentre tra le europee spicca in alto la britannica Bae Systems. 

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