Da Silicon Valley Bank a Credit Suisse, fuga dai depositi al tempo dei social

Banche "digitali", le piattaforme principali responsabili della diffusione del panico

Santa Clara, California, 13 marzo: i clienti in fila alla Silicon Valley Bank per cercare di ritirare i propri fondi dalla banca
Santa Clara, California, 13 marzo: i clienti in fila alla Silicon Valley Bank per cercare di ritirare i propri fondi dalla banca
di Giacomo Andreoli
5 Minuti di Lettura
Mercoledì 7 Giugno 2023, 10:57 - Ultimo aggiornamento: 8 Giugno, 07:45

«Corri in banca, prendi i tuoi soldi e scappa! Le banche americane sono nei guai».

Sono le 13.29 del 12 marzo e si è appena diffusa la notizia della chiusura di Signature Bank, appena 48 ore dopo il crac di Silicon Valley Bank. A lanciare l’allarme sulle banche regionali statunitensi, con questo tweet, è Kim Dotcom, imprenditore tedesco fondatore del colosso dello streaming illegale Megaupload. In poche ore il cinguettio viene rilanciato 4mila volte e fa 2,5 milioni di visualizzazioni. È l’inizio di 36 ore di panico, in cui si verifica un inedito cortocircuito che coinvolge social media, siti web e sportelli virtuali, come mai si era visto prima. Già nelle prime ore migliaia di persone, come ricostruisce il Wall Street Journal, vengono inondate di messaggi su Slack, Whatsapp, Twitter, Reddit e perfino via e-mail. Partono da giornali e profili social con una certa credibilità sul web, ma anche da centinaia di bot automatici e fabbricatori di fake news, arrivando a parlare di un crollo a catena delle banche americane, vista anche la crisi di Silvergate Bank e il declassamento del rating di First Repubblic. Così parte la corsa al ritiro dai conti correnti, che con gli attuali sistemi di mobile banking si può fare in pochi istanti, usando il proprio smartphone.

LA CRISI IN EUROPA

Le quattro banche americane si avviano verso il fallimento, costringendo il governo federale Usa a intervenire per rassicurare creditori e correntisti e la Fed a fare un tardivo mea culpa sull’assenza di regole efficaci sulla liquidità bancaria. Ma intanto la paura sulle piattaforme web si è diffusa anche in Europa e stavolta coinvolge gli azionisti, accelerando la crisi, già in qualche modo prevedibile e per tutt’altre ragioni, di Credit Suisse in Svizzera. Il 15 marzo il prezzo delle azioni della banca crolla del 25%. Il 19 marzo Ubs annuncia il salvataggio con la copertura finanziaria della Banca centrale svizzera e il via libera del governo di Berna. L’intervento pubblico-privato mette al riparo i correntisti, ma ha un costo: gli azionisti subiscono perdite anche superiori al 70% e 17 miliardi di dollari di obbligazioni AT1 vengono cancellati, azzerando il capitale di chi le deteneva. Sembra che il peggio sia finito, ma non è così. Deutsche Bank ha in portafoglio molti titoli subordinati di quel tipo e ne annuncia il riacquisto di una parte con lo scopo di rassicurare sulla sua solidità. Ma gli investitori, spaventati dal clima generale, interpretano male la mossa e il 24 marzo il titolo della banca arriva a perdere fino al 15%, bruciando 1,7 miliardi di euro di capitalizzazione. La crisi rientra solo dopo quattro giorni, con il mercato rassicurato dalla solidità dell’istituto.

LA PERDITA DI FIDUCIA

Ma il danno è fatto e i social si rivelano i principali responsabili della diffusione del panico. Secondo un report di Mediacognition, tra il 9 e il 24 marzo su un campione di 2.055 tra news e messaggi pubblicati su varie piattaforme in Europa e negli Stati Uniti in merito a Svb (di cui 607 da fonti italiane) e su 1.635 informazioni in merito a Credit Suisse (554 partite dall’Italia), l’84% era fortemente negativo. In particolare, secondo gli esperti di comunicazione, a chi li leggeva i testi trasmettevano per il 69% paura, per il 22% tristezza e per il 6% rabbia. Una crisi di fiducia via internet che questa volta ha coinvolto anche le banche centrali, ritenute non in grado di agire preventivamente: in quei giorni solo il 4% delle news che riguardano Fed e Bce esprimono considerazioni positive. Il governatore della Banca centrale francese, Francois Villeroy de Galhau, e il collega olandese, Klaas Knot, entrambi membri del board della Bce, hanno fatto notare che i social media hanno un impatto «eccessivo» sul comportamento di correntisti e azionisti. I movimenti dei depositi, nella loro analisi, diventano in tal modo più rapidi di quanto previsto dalle autorità di vigilanza, mettendo in dubbio l’adeguatezza delle regole sui parametri di liquidità.

PUÒ SUCCEDERE ANCORA?

Insomma, con i social in attività le dinamiche tradizionali nel caso di corsa allo sportello sono profondamente cambiate, con conseguenze difficilmente prevedibili. «È già una realtà – chiarisce Angelo Baglioni, direttore dell’Osservatorio monetario dell’università Cattolica – che i movimenti bancari siano più veloci delle mosse dei banchieri e che si possano verificare corse al ritiro del denaro con un coordinamento sul web, ma per il momento una nuova crisi finanziaria è da escludere». Secondo il collega Andrea Resti, docente di rischi bancari alla Bocconi, bisogna però distinguere tra i casi delle banche regionali Usa e Credit Suisse da una parte e Deutsche Bank dall’altra. Per quanto riguarda le prime, «a ritirare i capitali sono stati per lo più depositanti facoltosi, che si informano da fonti affidabili e non certo solo su Twitter: c’erano problemi strutturali, che i social network hanno solo amplificato». Quanto al colosso tedesco, invece, «è sicuramente un prototipo di quanto di negativo potrebbe accadere in futuro, perché parliamo di un istituto sano: la questione era legata a Credit Suisse e si è risolta rapidamente». Insomma, secondo il docente della Bocconi «siamo di fronte a un mondo inesplorato, ma se i conti di una banca sono in ordine alla fine qualsiasi tempesta web non può farla cadere: una comunicazione ufficiale efficace e tempestiva sui social potrebbe bastare, anche se le piattaforme dovrebbero contenere meglio l’esplosione delle fake news». Nell’Unione europea, conclude Baglioni, «le regole sulla liquidità sono nettamente più efficaci rispetto a quelle americane e permettono per ora di dormire sonni tranquilli. Quanto alle banche italiane, poi, hanno abbastanza riserve e hanno fatto progressi sui crediti deteriorati, anche se le difficoltà dovute al caro-energia potrebbero far aumentare in modo marginale il profilo di rischio». La sfida è lanciata, e probabilmente i due studiosi hanno ragione. Tuttavia nessuno oggi è davvero in grado di misurare la carica dirompente dei social, anche di fronte al più solido degli istituti. Il Vaso di Pandora è aperto.

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