Calano i matrimoni tra banche. Probabilmente a causa della “paralisi” indotta da quella sorta di tempesta perfetta che ha colpito un po’ tutta l’economia mondiale, nel 2022 le fusioni-acquisizioni in Europa su base annua sono diminuite del 16,3% e a livello globale del 19,6%.
Quanto all’Italia, nonostante dal 2013 siano stati realizzati 750 deal per un controvalore di circa 130 miliardi, pari al 21% del M&A dello stesso periodo (Rapporto Kpmg), la febbre per il risiko resta alta, alimentata dalla speculazione borsistica: da giugno 2022 a lunedì 30 gennaio l’indice Ftse Italia Banks è salito del 24,6%, trainato da Unicredit (+46%), Banco Bpm (+23,8%) e nonostante il -85% di Mps. Ma sul risiko influiscono anche gli appetiti incrociati e le velleità accreditate a Unicredit di dover fare il colpo grosso, dopo l’aggancio mancato con Mps, per accorciare le distanze da Intesa Sanpaolo. Peraltro, entro la fascia medio-piccola degli istituti il consolidamento viene sollecitato dalla stessa Banca d’Italia per mettere in sicurezza una decina di intermediari (quasi tutte banche popolari), con un patrimonio indebolito da crediti dubbi e governance inadeguate.
PRESSING DEL GOVERNO
Anche il governo spinge verso il consolidamento, con il premier Giorgia Meloni che si è espressa per la creazione di un terzo polo bancario, scenario che chiama in causa soprattutto Banco Bpm, terzo istituto italiano dopo Intesa e Unicredit, e Mps perché attorno alla sua privatizzazione potrebbero aprirsi nuovi giochi, considerando le ambizioni del suo ad Luigi Lovaglio. «Il consolidamento dovrà coinvolgere Mps che è un pivot del sistema bancario e un patrimonio per il Paese», ha detto in un’intervista recente, dove lascia intendere di ambire a un ruolo nella business combination, che è anche quanto hanno percepito nelle interlocuzioni alcuni banchieri e di cui il governo è a conoscenza. Tant’è che, dopo l’aumento di capitale da 2,5 miliardi, Lovaglio non esita ad annunciare di voler anticipare il raggiungimento dei target già nel 2023 per accelerare il risanamento. Per questo sembra che il banchiere lucano, cresciuto in Unicredit, abbia in animo di provare un futuro stand alone nel quale, invece di un partner bancario che acquisti la maggioranza, in accordo con Bce e Dg Comp e Mef (azionista al 64%), potrebbe avvenire, nella prima parte del 2024, un collocamento privato di una quota del 35-40% presso investitori istituzionali, attratti dalla performance che l’istituto potrebbe realizzare.
SNODO CRUCIALE
Questa comunque è una delle prospettive perché se grandi manovre avverranno, tutti gli osservatori e i diretti interessati le collocano dopo la stagione dei rinnovi di alcune governance a cavallo di aprile. Si tratta di Banco Bpm, appunto Mps, un terzo del cda della Popolare di Sondrio, tra cui l’ad Mario Alberto Pedranzini, Mediobanca con tutte le possibili conseguenze sulla ex galassia del nord.
SITUAZIONE FLUIDA
A loro volta i soci veronesi Calzedonia (1,5%) e Dario Tommasi (1%) potrebbero presentare una loro lista per i sindaci. È una situazione fluida che potrebbe creare disagio al vertice, sebbene la leadership di Castagna sia indiscutibilmente solida. In ogni caso, con il nuovo cda Bpm potrebbe aprire il dossier Mps e, sul piano interno, sistemare le intese con Agricole in Agos, dove ha una opzione put per cedere ai francesi il 38% entro metà 2023, anche se certamente verrà prorogata al 2024 e mettere a regime l’alleanza nelle assicurazioni. Quanto a Mps, la nuova governance non dovrebbe cambiare molto, dove comunque è previsto l’arrivo di un nuovo presidente dopo la rinuncia di Patrizia Grieco anche per diversità di vedute con Lovaglio. Al suo posto il Mef dovrebbe scegliere una figura legata al territorio. E a Sondrio quasi scontata la conferma di Pedranzini che gode del sostegno di Unipol, azionista con il 9%, che ha rinnovato la partnership distributiva di cinque anni estesa a Bper e, in questo orizzonte, si dovrebbe collocare la fusione fra le due banche. Infine nuovo cda a fine ottobre per Mediobanca, dove i giochi devono ancora iniziare.
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