Agricoltura in crisi: dalla carne alle olive in gioco un export che vale 60 miliardi

Agricoltura in crisi: dalla carne alle olive in gioco un export che vale 60 miliardi
di Carlo Ottaviano
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Mercoledì 7 Settembre 2022, 14:06 - Ultimo aggiornamento: 24 Febbraio, 07:26

Come ti muovi, il grido d’allarme è generale.

Perché, schiacciate dall’impennata dei costi, sono a rischio di chiusura centinaia di aziende agroalimentari. Dice Francesco Mutti, industriale di conserve di pomodoro e presidente di Centromarca (200 aziende del largo consumo): «Il settore del pomodoro è uno di quelli maggiormente esposti perché ha un picco di lavorazione in soli due mesi estivi, proprio nell’occhio del ciclone della corsa dei prezzi dell’energia. Costo che due anni fa incideva per l’1,5% sul conto economico, l’anno scorso per il 5 e adesso siamo al 20%». Aggiunge Antonio Forlini, presidente di Unaitalia, l’associazione degli allevatori di polli e galline: «Negli ultimi dodici mesi le nostre imprese hanno visto decuplicare i costi dell’energia e del cibo degli animali. Un’ulteriore impennata c’è stata nelle ultime settimane». Ribadisce Anna Cane, presidente degli oleari di Assitol: «I costi sono quintuplicati e la raccolta di olive, ormai imminente, sarà di scarica, quindi con una produzione inferiore, e dovrà scontare mesi di clima estremo: prima il caldo desertico a partire da maggio, poi una serie di nubifragi in agosto. Si parla tanto di sostenibilità, che però non è solo ambientale, ma è anche sociale ed economica».

LE CIFRE

Vogliamo continuare? Del settore della pasta parla Marco De Matteis (stabilimenti in Campania e Umbria): «Le nostre sono industrie energivore, i macchinari rimangono accesi sette giorni su sette, h24. Rispetto a settembre del 2021, l’elettricità ci costa il 500% in più al netto del credito di imposta. Ancora prima dell’esplosione della guerra in Ucraina, abbiamo dovuto affrontare aumenti del 100% sul grano, la nostra principale materia prima, e aumenti del 700% sui noli marittimi. La bolletta energetica è arrivata ormai al 25% dei ricavi». «Siamo i migliori produttori di pasta al mondo – aggiunge – ma non gli unici. Fatichiamo a spiegare ai nostri distributori esteri perché dobbiamo aumentare il prezzo, quando un pastificio turco paga l’energia un quinto di quello che paghiamo noi, uno spagnolo un quarto e negli Stati Uniti nemmeno conoscono il problema». Fermiamoci qui, con la sintesi generale che offre Massimiliano Giansanti, presidente di Confagricoltura: «L’aumento delle materie ha messo in crisi gli agricoltori come mai prima: senza contare siccità, temporali e gelate che hanno già fatto perdere agli agricoltori 7 miliardi.

Oggi produrre cibo è spesso un lavoro in perdita». Non a caso nel secondo trimestre l’agricoltura (insieme alla pesca) è l’unico settore che registra un calo dell’1% a fronte di una crescita dell’1,1% del Pil.  A rischio è davvero la sopravvivenza delle aziende. L’ufficio studi di Confagricoltura vede addirittura aggravata la situazione rispetto all’ultima stima di aprile di Crea: oltre un’azienda agricola su dieci non riesce a far fronte alle spese necessarie per la produzione.

LE INSOLVENZE

 E per alcuni comparti (seminativi, ortofloricoltura, allevamenti di “granivori”) la percentuale di rischio di insolvenza è ben superiore alla media nazionale del 13%. Addirittura per la cerealicoltura quasi un’azienda su tre non riuscirebbe a far fronte agli aumenti dei costi. «Per le nostre imprese agricole e industriali che valgono 60 miliardi di export – precisa Luigi Scordamaglia, presidente di Filiera Italia – non si parla più di erosione dei margini ma di possibile stop alla produzione». A ridurne le capacità produttive ci sono altre velenose ricadute del caro energia, come la chiusura delle fabbriche di fertilizzanti che dipendono doppiamente dal gas, necessario per alimentare il processo produttivo e allo stesso tempo materia prima per la produzione. «I fertilizzanti – ricorda preoccupato Giovanni Toffoli, presidente di Assofertilizzanti – sono alla base della produzione agricola, e quindi nel giro di pochi mesi rischiamo un ridimensionamento della produzione agroalimentare, un nuovo rialzo dei prezzi e dell’inflazione, un massiccio ricorso alle importazioni e, soprattutto, un impatto diretto sul bilancio delle famiglie». Famiglie che con l’inflazione tornata ai livelli degli anni Ottanta stanno già pagando caro il conto della spesa. Significativa, la settimana scorsa, la presa di posizione congiunta dei due massimi antagonisti nel settore del latte – l’italiana Granarolo e la francese Lactalis – che temono di dover vendere un litro a 2 euro. «In questo drammatico frangente – hanno dichiarato gli ad Gianpiero Calzolari e Giovanni Pomella – abbiamo messo da parte le rivalità di mercato e abbiamo unito il nostro appello al mondo politico per ribadire la necessità di intervenire subito». Non sono, quindi, solo i costi dell’energia a rincorrersi, ma anche gli allarmi degli imprenditori che invece delle promesse da campagna elettorale vorrebbero provvedimenti immediati.

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