Trasporto aereo, è la crisi più lunga: la politica ora dovrebbe farsi da parte

Trasporto aereo, è la crisi più lunga: la politica ora dovrebbe farsi da parte
di Andrea Giuricin
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Mercoledì 2 Dicembre 2020, 16:18 - Ultimo aggiornamento: 12 Maggio, 15:33

Il trasporto aereo italiano sta vivendo il suo momento di crisi più duro di sempre a causa degli effetti indotti dalla pandemia, e quest’anno vedrà il numero di passeggeri ridursi dai 161 milioni del 2019 a meno di 50 milioni.

Un livello che non si registrava dai tempi dell’introduzione della liberalizzazione del mercato europeo: era il 1997 e quell’anno, l’ultimo del periodo “chiuso”, il mercato domestico contò circa 53 milioni di passeggeri. Tra l’altro, mentre all’inizio dell’estate si pensava che la ripresa dei voli-vacanze fosse di buon auspicio per il ripristino dei flussi, il secondo lockdown non solo ha interrotto il processo di recupero, ma ha reso ancor più disastroso il crollo previsto per fine anno, visto che nell’ultimo trimestre il traffico è in pratica pari a zero. Naturalmente il problema non è solo in capo all’Italia, è il trasporto aereo mondiale che sta rischiando grosso, dato che le aspettative delle maggiori compagnie prevedono che solamente nel 2024 si tornerà ai livelli di traffico del 2019. Per tale ragione è interessante interrogarsi su quale possa essere il futuro di ITA, perché se è vero che i 3 miliardi di euro messi sul tavolo dal governo non sono pochi, potrebbero non bastare a trasformare un business, che finora ha deluso, in una attività che, oltre a servire un Paese particolarmente “lungo” come il nostro, diventi anche capace di produrre profitto da destinare alla crescita.

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IL COSTO DEI PARTITI

Bisogna dunque evitare gli errori del passato.

Uno sopra tutti: il fatto che sia tornata a essere la compagnia di bandiera non autorizza i partiti a interferire come hanno fatto nel passato, anche se ciò non sarà facile visto che nel consiglio di amministrazione di Ita figurano molti esponenti dei partiti di governo. La loro presenza nel cda è il contrario di ciò che dovrebbe essere, perché è giunto il momento che anche nelle partecipate dello Stato le relazioni industriali seguano finalmente il percorso di una normale azienda destinata a produrre bilanci in attivo. Una replica di quanto accadde alla fine di aprile 2017, quando il voto dei dipendenti impedì l’avvio del nuovo piano industriale rendendo ancora più complicato un già difficile salvataggio, sarebbe inaccettabile di fronte a tante risorse messe in campo a spese dei contribuenti. Ma quando di mezzo c’è l’interesse dei partiti e il rischio di perdere consensi, anche il più energico degli amministratori può finire in angolo. Il rapporto “particolare” tra partiti, sindacati e dipendenti instauratosi nella vecchia Alitalia è stato alla base di molti degli errori commessi dalla compagnia aerea negli ultimi decenni. Nessuno intende negare la necessità che tra azienda e dipendenti, di qualunque categoria, si instauri una dialettica che tenga conto delle istanze che salgono dal basso; sono i privilegi “fuori bilancio” benedetti dai partiti e sostenuti con denari pubblici che risultano inaccettabili a chi paga regolarmente le sue brave tasse e accetta suo malgrado di correre i rischi connaturati alle crisi cicliche dell’economia. Quel che è certo è che il mercato aereo post-pandemia sarà estremamente sfidante e non ci sarà posto per compagnie che non riescono a liberarsi dai lacci politico-sindacali. Ecco perché i 3 miliardi destinati a Ita, pur essendo una cifra ingentissima, potrebbero non bastare: va messo in conto anche il costo della politica. 

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