Censis: crisi ha eroso ceto medio, rischio banlieue parigine

Censis: crisi ha eroso ceto medio, rischio banlieue parigine
4 Minuti di Lettura
Venerdì 5 Dicembre 2014, 14:50 - Ultimo aggiornamento: 14:55
Più diseguaglianze, meno integrazione, ceto medio corroso. Sono gli effetti della crisi secondo il Censis che lancia l'allarme banlieue parigine.



L'Italia «ha fatto della coesione sociale un valore e si è spesso ritenuto indenne dai rischi delle banlieue parigine», ma le problematicità ormai incancrenite di alcune zone urbane «non possono essere ridotte ad una semplice eccezione».



Capitale umano dissipato L'Italia è un paese dal capitale umano «inagito» e «dissipato», afferma il Censis nel suo rapporto sulla situazione sociale del Paese 2014, in cui conta quasi 8 milioni di individui non utilizzati: 3 milioni di disoccupati, 1,8 mln di inattivi e 3 milioni di persone che, pur non cercando attivamente un impiego, sarebbero disponibili a lavorare.



Vince il cinismo La crisi economica ha diffuso in Italia «una percezione di vulnerabilità» tale da far ritenere al 60% degli italiani che a chiunque possa capitare di finire in povertà, «come fosse un virus che può contagiare chiunque». La reazione è un «attendismo cinico», per cui non si investe e non si consuma, il contante è considerato una tutela necessaria e prevale la filosofia del «bado solo a me stesso».



Dopo la paura della crisi, è un approccio attendista alla vita che si va imponendo tra gli italiani, scrive il Censis. Si fa strada la convinzione che il picco negativo sia alle spalle. A pensarlo è il 47% della popolazione, il 12% in più rispetto all'anno scorso. Ma a prevalere è ora l'incertezza. «Di conseguenza la gestione dei soldi da parte delle famiglie è fatta di breve e brevissimo periodo. Tra il 2007 e il 2013 tutte le voci delle attività finanziarie delle famiglie sono diminuite, tranne i contanti e i depositi bancari, aumentati in termini reali del 4,9%, arrivando a costituire il 30,9% del totale (erano il 27,3% nel 2007).



A giugno 2014 questa massa finanziaria liquida - sottolinea il Censis - è cresciuta ancora, fino a 1.219 miliardi di euro. Prevale un cash di tutela, con il 45% delle famiglie che destina il proprio risparmio alla copertura da possibili imprevisti, come la perdita del lavoro o la malattia e il 36% che lo finalizza alla voglia di sentirsi con le spalle coperte». La parola d'ordine è: «tenere i soldi vicini per ogni evenienza, pronto cassa». Pensando al futuro il 29% degli italiani prova ansia perchè non ha una rete di protezione, il 29% è inquieto perchè ha un retroterra fragile, il 24% dice di non avere le idee chiare perchè tutto è molto incerto, e solo poco più del 17% dichiara di sentirsi abbastanza sicuro e con le spalle coperte.



«L'attendismo cinico degli italiani - rileva ancora il rapporto - si alimenta anche nella convinzione che in fondo ci sono alcune invarianti nei processi sociali che con la crisi finiscono per patologizzarsi». Per esempio, tra i fattori più importanti per riuscire nella vita il 51% richiama una buona istruzione e il 43% il lavoro duro. Tuttavia, il 29% indica le conoscenze giuste (contro il 19% della Gran Bretagna) e il 20% la provenienza da una famiglia benestante (contro il 5% della Francia).



I giovani Dei circa 4,7 milioni di giovani che vivono per conto proprio, oltre un milione non riesce ad arrivare a fine mese.
Sono 2,4 milioni quelli che ricevono «regolarmente o di tanto in tanto» un aiuto economico dei propri genitori. Il Censis rileva il rischio di «scissione tra il welfare e i giovani» per le difficoltà occupazionali e reddituali incontrate dalle fasce più giovani della popolazione.




Famiglie Le famiglie italiane affrontano la crisi con una nuova vita «a consumo zero»: riducono pranzi e cene fuori casa (62%), risparmiano su cinema e svago (58%), riducono gli spostamenti in auto e moto per non spendere troppo in benzina e modificano le abitudini alimentari (44%). Per il Censis nel 2013, per il secondo anno consecutivo, le spese complessive degli italiani si sono attestate su livelli inferiori a quelli dei primi anni 2000.



Lavoro «Il Jobs act dà centralità al lavoro a tempo indeterminato, confidando che possa incrementare le opportunità di occupazione. Ma considerando la quota dei contratti part time e a tempo determinato sul totale degli occupati nei Paesi europei, si registra una certa correlazione tra la loro diffusione e più alti tassi di occupazione». Il nostro tasso di occupazione nel 2013 è stato del 59,8%, con una quota di part-time pari al 17,9% e con contratti a termine che rappresentano il 13,2% del totale. Paesi con tassi di occupazione molto superiori al nostro, come la Germania (77,1%) o i Paesi Bassi (76,5%) hanno quote di contratti a tempo determinato superiori alla nostra.