Olimpiadi, Italian brand: le Azzurre ambasciatrici di stile

Olimpiadi, Italian brand: le Azzurre ambasciatrici di stile
di Alessandra Camilletti
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Mercoledì 21 Luglio 2021, 11:57 - Ultimo aggiornamento: 28 Settembre, 20:18

Italian style. Italian brand. Alla vetrina delle Olimpiadi sì, ma anche e soprattutto nel lavoro di ogni giorno. Già, perché le azzurre campionesse lo sono anche di immagine. Italian ambassador. Seguitissime. Federica Pellegrini, divina in acqua e fuori: oltre un milione e 300mila follower su Instagram. Dalla piscina agli amati bouledogue francesi, fa tendenza anche quando sorride infilata nel salvagente a forma di fenicottero rosa. Un’icona. Bebe Vio, campionessa di fioretto paralimpico e di sorriso, ha un milione di “seguaci”. Paola Egonu, pallavolista della Nazionale, verso 160mila: porterà la bandiera olimpica all’apertura dei Giochi. Simona Quadarella, nuotatrice, 118mila. Letizia Paternoster, ciclista: 209mila. La tennista Camila Giorgi conta oltre 393mila follower e un proprio brand di moda. Gaia Sabbatini, mezzofondista, 231mila. E fisico scolpito dall’impegno quotidiano. Già, perché lo sport è sfida, ma prima di tutto cura di sé, disciplina, salute. E ancora, Larissa Iapichino: non sarà a Tokyo causa infortunio, ma è già punto di riferimento in pedana e fuori. Oltre 66mila follower.

I VALORI

 Le azzurre trasmettono empowerment. Sicurezza, capacità di prestazioni. Diventano esempi. E testimonial richiestissime, dall’abbigliamento tecnico alla moda, dal settore energetico al food. Dunque, italian brand. «Assolutamente sì. Chiaramente se parliamo di atlete, la performance è il vero driver. Ma io adoro vedere anche come esprimono la loro femminilità in gara. Una pettinatura e un particolare tatuaggio ti raccontano la loro personalità», sottolinea Anna Ferrino, ad di Ferrino&Co (società da 150 anni specializzata nelle attrezzature da montagna) e prima donna alla guida di Assosport, l’associazione della sport industry italiana aderente a Confindustria: 120 aziende per 300 brand, 9.300 addetti. Il fatturato aggregato degli associati è 5 miliardi di euro. Filiera di qualità, fatta di ricerca, riconosciuta a livello internazionale. Ai Mondiali di sci di Cortina, 24 delle 39 medaglie assegnate sono state conquistate da atleti che indossavano attrezzature o abbigliamento delle aziende associate. Spiega Marco Del Checcolo, fondatore di Dmtc sport, agenzia che dal 2009 lavora sull’immagine delle atlete: «Possiamo parlare di italian brand e possiamo aggiungere che non è una novità di questa Olimpiade. Tradizionalmente le atlete danno un grande beneficio al medagliere dell’Italia, sono competitive, si confrontano col mondo senza paura e spesso regalano storie uniche». Prestazioni sportive e stile. «I look nelle gare importanti sono estremamente ricercati – spiega Anna Ferrino – E quest’estate più che mai, con lo stile di vita più casual a cui il Covid ci ha avvicinato, vediamo il fashion entrare negli oggetti di uso sportivo.

Sempre di più realizziamo quanto lo sport sia un mondo di benessere, legato alle passioni. Anche i brand amano dialogare con i propri consumatori attraverso linguaggi che evocano libertà e tempo libero. Valori positivi». Ulteriore risvolto. «L’atleta è fondamentale nel processo di ricerca e sviluppo: si lavora a quattro mani cercando di ottenere certi obiettivi e con test sul campo. L’auspicio è che le nostre atlete possano essere fonte di ispirazione per le donne».

Qual è il riflesso diretto? «Lo sport si muove per aumentare il numero delle praticanti donne – spiega Ferrino – E sappiamo tutti quanto le donne influenzino le scelte di acquisto. È un risvolto della stessa medaglia dell’occupazione: se in Italia si riuscisse a incrementare in modo sufficiente il tasso di occupazione femminile, il Pil ne beneficerebbe. La sport industry è molto concentrata su questo. Dieci anni fa la progettazione era quasi unisex. Oggi le aziende progettano linee donna con grandissima attenzione allo stile e in alcuni casi al glamour, mantenendo sempre la funzione, e con l’attenzione all’ergonomia». Campionesse simbolo di successo e veicolo di stile italiano. «Con il tempo sempre di più – sottolinea Del Checcolo – In primis per l’atleta conta la performance, a cui strettamente si lega la sua immagine. Nel momento in cui si cresce di livello entrano poi in ballo altri due fattori. Il primo è l’aspetto: un corpo atletico è un corpo bello e l’uso dei social consente alle atlete di raccontarsi soprattutto per il loro mestiere. Il secondo fattore è il life style, uno stile di vita commerciabile: mettici la performance, aggiungici una continuità sui risultati e il posizionamento positivo diventa ricercato anche dalle aziende». Possibile calcolarne il volano? «Innanzitutto c’è un ritorno emotivo: sono l’orgoglio del nostro Paese. Un altro elemento non secondario è il fatto che queste atlete sono espressione contagiosa di avviamento alla pratica sportiva».

Parità salariale e maternità: sono aumentate le tutele a fronte di un’immagine più forte? «La situazione sta cambiando ma non a una velocità al passo coi tempi – spiega Del Checcolo – Il gap esiste e ci sono state atlete che si sono espresse perché venga colmato velocemente. Non è successo. È un paradosso: si fa festa attorno alle atlete che vincono e un attimo dopo ci si dimentica del valore estrinseco che c’è in una donna di sport, che coniuga aspetti personali, famiglia, magari un figlio». Che messaggio arriverà dalle azzurre di Tokyo? «Penso un messaggio di gioia, che vale anche se sul podio sali sul secondo gradino o sul terzo. Ti confronti con il mondo e la medaglia di bronzo è magari un’incredibile vittoria europea se hai davanti una cinese e una americana. Io spero sempre che per il Paese la narrazione sia questa».

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