Violenza, gli agenti in Francia a lezione di ascolto dalla vittime per imparare ad aiutarle

Violenza, gli agenti in Francia a lezione di ascolto dalla vittime per imparare ad aiutarle
di Francesca Pierantozzi
5 Minuti di Lettura
Martedì 17 Agosto 2021, 20:22

Insegnare ai poliziotti a «dire la parola giusta al momento giusto», mandarli a scuola per imparare a leggere tra le righe e affrontare i silenzi di chi trova la forza di andare a denunciare un padre, un compagno, un amante. Aiutarli a combattere lo scetticismo e l'indifferenza che si installano «quando una donna denuncia e poi decide di cancellare tutto, non una, ma due, tre anche dieci volte».
La polizia francese non può permettere che quello che è successo a Chahinez si ripeta, e ha deciso di agire.

Chahinez Daoud è andata per l'ultima volta in commissariato il 15 marzo 2021. All'agente dietro la scrivania aveva raccontato che l'ex marito Mounir Butaa, padre dei suoi tre figli, continuava a minacciarla anche dal carcere, dove stava scontando una pena di un anno e mezzo per le violenze e le minacce. Lui le scriveva sms per dirle che l'avrebbe ammazzata. L'agente di turno aveva scritto, aveva compilato i parametri e trasmesso alla procura. La denuncia però non ebbe nessun seguito e il 5 maggio Chahinez è stata bruciata viva dall'ex marito. Prima le ha sparato, poi l'ha trascinata in mezzo alla strada davanti alla loro casa a Marignac, sui Pirenei, e le ha dato fuoco.
AMMISSIONI
Quell'ultimo agente a cui Chahinez aveva chiesto aiuto di sicuro non avrebbe dovuto stare dietro quella scrivania, né avrebbe dovuto essere lui a trascrivere le sue parole e decidere se e come allertare la procura. Lo ha ammesso la gerarchia, il ministro Gérard Darmanin e lo ha riconosciuto anche un'ispezione interna, che pochi giorni fa ha ammesso «disfunzionamenti gravi».
Il poliziotto a cui Chahinez aveva affidato la sua ultima denuncia, era stato condannato un mese prima dal tribunale di Bordeaux per violenze contro la moglie.

La condanna a otto mesi di carcere con la condizionale non era stata iscritta sulla fedina penale; lui aveva riconosciuto i fatti, aveva accettato di essere curato per la sua dipendenza dall'alcool.

Doveva passare davanti alla commissione disciplinare, ma in attesa era rimasto lì. A prendere le denunce. Nessuno può dire se le cose sarebbero andare diversamente se ad ascoltare Chahinez ci fosse stata un'altra persona. L'avvocata di Chahinez ha espresso «enorme indignazione», «commozione», denunciato, per l'ennesima volta, la totale mancanza «di una cultura specifica per la protezione delle donne vittime di violenza» e ha chiesto, sempre per l'ennesima volta, la «creazione di una procura speciale». Questa volta la polizia francese ha ascoltato.
Quello del poliziotto condannato per violenze coniugali che raccoglie le denunce di donne vittime di violenze coniugali è un caso estremo, tragico e quasi grottesco, ma le difficoltà di far andare avanti e velocemente una denuncia per violenze intra-familiari è reale. Alla direzione centrale per la formazione della polizia nazionale a Parigi è così entrato in vigore un corso per gli agenti che vogliono imparare ad ascoltare e capire le donne che osano bussare alla porta di un commissariato.
La formazione dura tre giorni, in cattedra ci sono esperti: una magistrata, la vicedirettrice ai diritti delle donne e all'uguaglianza della prefettura dell'Ilde-de-France, una psicologa e una rappresentante di un' associazione.


Tra i prof c'è Sophie Lascombes, acrobata e membra del Collettivo femminista contro lo stupro. Anni di esperienza l'hanno resa esperta e agli agenti insegna, «a decifrare i silenzi o reazioni in apparenza insignificanti». A volte anni di violenze, botte, minacce esplodono a causa di un episodio secondario. Prendere una denuncia per violenze coniugali non è come trascrivere una denuncia per furto.
Lascombes racconta la storia di una donna che ha subito per anni violenze fisiche dal marito, fino a quando lui ha strappato l'ultima foto che lei aveva di sua madre. È stato quel gesto che l'ha spinta ad andare a denunciare. Ed è quello che gli agenti devono imparare a vedere: l'abisso indicibile dietro parole che dicono altro. «In quel caso la foto strappata era la goccia che ha fatto traboccare il vaso.

E gli agenti devono imparare anche a vedere la goccia».
Le domande degli agenti (spesso con anni di servizio alle spalle) rivelano quanto siano disarmati. «Alcune vittime non piangono nemmeno: è normale?», chiedono. Altri ammettono la paura dell'assuefazione, il rischio di banalizzare fatti gravi o che avranno conseguenze drammatiche: «i drammi si accavallano e finiscono per assomigliarsi».
PRIORITÀ
Imparare a valutare però non basta dicono tutti, se mancano i mezzi. «Quindici giorni fa ha raccontato a Le Monde uno degli agenti presenti al corso non avevamo nemmeno un mezzo per poter andare a interrogare un sospetto che si trovava a qualche centinaio di chilometri dal nostro commissariato». «Ci vogliono tempo e mezzi conferma Sophie Lascombes Gli agenti devono essere formati alla nozione di psico-trauma. E non devono mai dimenticare una cosa: l'aggressore non ha che un progetto, continuare.

Si fermerà soltanto se viene fermato». Il ministro dell'Interno Darmanin ha snocciolato cifre che associazioni e addetti ai lavori bollano come ancora del tutto insufficienti: solo 5400 agenti sono formati ad affrontare le violenze, 276 brigate di protezione delle famiglie sul territorio, duemila funzionari hanno seguito stage specifici. Il ministro ha assicurato che il trattamento delle denunce per violenze diventerà prioritario e saranno trattate prima di quelle per furto, scippo e droga, sul modello di quanto già fatto per i reati di terrorismo.

© RIPRODUZIONE RISERVATA