Fabiola Mancone, capo della Scientifica: «Quella volta che mi dissero: meglio se non entri nei Falchi». Ma da allora la Polizia è cambiata

Fabiola Mancone, capo della Scientifica: «Quella volta che mi dissero: meglio se non entri nei Falchi». Ma da allora la Polizia è cambiata
di Camilla Mozzetti
8 Minuti di Lettura
Venerdì 22 Ottobre 2021, 14:58 - Ultimo aggiornamento: 17:36

Quando torna a casa veste «gli abiti della mamma e della compagna». Ha tanto di cui gioire e di carattere non è mai stata una donna incline al pessimismo, tutt'altro. Ma quei volti e le storie che si portano dietro ce le ha tutte davanti, conservate nell'archivio di una memoria che non scomparirà mai. E di quelle storie ne ha fatto tesoro: «Se sei abituato a vedere sempre il meglio e ti ritrovi davanti un infanticidio o un morto crivellato di colpi resti scioccato ma se fai tuo quell'equilibrio che la vita e il lavoro in polizia ti offre e che mischia inevitabilmente meraviglie e tragedie, riesci ad apprezzare le piccole cose: una bottiglia di vino con gli amici, una passeggiata al mare».

Continui a vivere e non essere sopraffatta dalle disgrazie che questo lavoro ti pone davanti. Da dirigente del Gabinetto Interregionale di polizia Scientifica per la Campania e il Molise – il Primo Dirigente della Polizia di Stato Fabiola Mancone, salernitana 53 anni - è stata prima a capo della II Divisione che si occupa della dattiloscopia e delle impronte cosiddette “latenti” fino a ricoprire il ruolo di direttore della I Divisione della polizia Scientifica alla Direzione centrale anticrimine.

Di fatto ha il coordinamento di tutte le articolazioni territoriali di polizia Scientifica con un impegno costante che si muove dalla formazione del personale alle attività operative di video-documentazione dei servizi di ordine pubblico, dall’analisi investigativa della scena del crimine alla gestione delle risorse economiche per garantire la funzionalità delle attività tecnico-scientifiche. E con questo lavoro la Mancone ci è cresciuta, appassionata fin da ragazza di quell'universo fatto di “dettagli”, di ricostruzioni, di “match” da rincorrere e portare a dama nei più diversi contesti. Non c'è generalmente indagine che precluda l'intervento della Scientifica, primo vero avamposto di un'inchiesta. E non c'è caso che vanga risolto - a meno che l'omicida non confessi - senza l'analisi di prove, impronte, tracce. I famosi dettagli che vanno saputi prima cercare poi isolare ed infine analizzare. Più di vent'anni a mettere insieme i pezzi di un puzzle infinito e in mezzo una vita di figlia, di donna e di madre, con tutto quello che di complicato può esserci in questo percorso.

Dottoressa Mancone, lei opera in un contesto che non permette l'errore, ma le è mai capitato di non arrivare a dama nell'analisi delle prove di un caso o compiere uno sbaglio?

«Non mi sono mai ritrovata ad incorrere in un errore di polizia Scientifica che ha deviato le indagini e questo grazie alla professionalità di colleghi con cui ho lavorato per anni a Napoli. Ci sono però casi irrisolti pur con l'intervento della Scientifica. Circa dieci anni fa una prostituta fu ritrovata ammazzata nella propria abitazione. Noi rilevammo le impronte digitali e il Dna del soggetto che con lei aveva bevuto, fatto sesso, che si era ferito nell’atto di ucciderla. Poiché in banca dati non c'era nulla di quest'uomo, ho fornito all'ufficio investigativo un pacchetto di informazioni tanto preciso quanto inutilizzabile. Ma basta che quest'uomo venga segnalato, per qualsiasi motivo, che sarà fermato. E' già successo: sempre anni fa a Caserta evidenziammo sulla scena del crimine un frammento di impronta latente appartenente a un uomo ritenuto l'autore di un omicidio. Qualche anno più tardi a Cagliari quell'uomo fu foto-segnalato per una richiesta di un permesso di soggiorno. Ci fu un confronto dattiloscopico e risultò il match».

Tutto questo per dire che comunque, se non nell'immediato, alla fine il cerchio si chiude.

«Sì, nel corso degli anni poi sono evolute anche le tecniche con cui la Scientifica opera.

L'Afis, ovvero il sistema automatizzato di identificazione delle impronte, è stato implementato con le impronte palmari che in passato non venivano analizzate ma che ci permettono ora di rispolverare tanti casi irrisolti».

Perché proprio la Scientifica? Quando nasce questa storia d'amore?

«Volevo diventare magistrato, mio padre sognava che lavorassi in azienda con lui, poi feci il concorso dopo la laurea in Giurisprudenza e mi ritrovai nell’ affascinante mondo della Polizia di Stato, che subito mi colpì. La passione per la Scientifica nasce al corso per Vice commissario dove presentai la tesina sul sopralluogo di Polizia Scientifica. Di natura sono una persona curiosa, mi colpisce tutto quello che c'è dietro a un'impronta e poi la passione per il sopralluogo, ti senti nel vivo dell'indagine e di supporto a tutti gli uffici investigativi».

C'è un caso su cui ha lavorato che più di altri si porta dentro?

«Purtroppo i casi su cui ha lavorato sono stati tanti ma quelli che mi hanno colpito di più sono quelli con vittime innocenti o bambini e nel corso della mia attività ne ho viste di vittime così. Annalisa Durante, una ragazza uccisa a Forcella mentre scappava da una sparatoria tra clan, uccisa con un colpo di pistola da Salvatore Giuliano (dell’omonimo clan), un caso di infanticidio di due gemelli, oppure il bimbo stuprato da un netturbino sotto un cavalcavia o il primo cadavere che vidi non appena fui assegnata alla Questura di Napoli».

Ecco, come fu quel primo giorno?

«Terminato il corso di formazione per Vice Commissario, il primo incontro sul “campo” con la Scientifica lo feci il 16 agosto 1993. La mia prima assegnazione fu alle Volanti ma nel primo mese, per volere del Questore, feci un'esperienza alla Squadra Mobile e poi alla Digos. Furono giorni di fuoco, presi servizio a Ferragosto, il 16 primo omicidio con un uomo crivellato di colpi nella zona di San Giovanni Barra».

L'effetto?

«Ero curiosa di capire cosa si dovesse fare. Poi sono venuti altri casi: dalla ragazza insospettabile per entrare nell'abitazione di uno spacciatore fingendomi amica della moglie, alle notti trascorse con le Volanti nelle vele di Scampia e insomma... fai un lavoro imprevedibile e a volte pericoloso ma ho avuto la fortuna di avere dei collaboratori preparati, spesso molto più grandi di me, ma che hanno saputo rispettare il mio ruolo dirigente di ufficio insegnandomi molto».

A proposito di ruoli, come si vive dentro la polizia?

«Quando sono arrivata a Napoli ero una giovane funzionaria e per questo sapevo che i miei collaboratori mi avrebbero messo alla prova. Non devi mai esitare o mostrarti al di sotto delle loro aspettative, al tempo stesso fare squadra ed esaltare il ruolo di tutti perché da soli non si va da nessuna parte. Quando avevo 25 anni una notte ci chiamarono per un intervento al quartiere Sanità, un figlio tossicodipendente voleva accoltellare il padre, eravamo in zona e quindi arrivammo quando l'aggressione era ancora in corso. Mi avvicinai al ragazzo che brandiva un coltello e senza preoccuparmi di cosa potesse capitare, ci parlai. Lui mi consegnò l'arma senza posarla a terra, me la diede in mano. Quando dirigevo il commissariato di Montecalvario, nei Quartieri Spagnoli, ho avuto i miei figli e, seppure spesso ero impegnata di sera o di notte in attività di polizia giudiziaria, non mi sono mai risparmiata pur sapendo di sacrificare la mia vita familiare».

Quali sono le regole per stare in strada?

«Essere consapevole dei rischi che affronti e anche rispettare le persone che hai davanti: sono uomini che probabilmente arresterai ma devi lasciare correre provocazioni e aggressioni verbali. Una sera a seguito di varie faide tra clan, durante una perquisizione, trovammo una pistola dietro il battiscopa a casa di un uomo. La madre che abitava nell'appartamento di fronte sullo stesso pianerottolo si scagliò contro di me, nonostante fossi visibilmente in stato di gravidanza: decisi di non arrestarla perché compresi la reazione di una madre verso un figlio».

Come si è coniugato l'essere donna con l'essere poliziotta?

«L'unico episodio che mi ha fatto sentire la differenza di genere risale a 25 anni fa. Ho sempre avuto la passione per le moto, la prima l'ho avuta a 16 anni e così mi proposi per entrare nei “Falchi”. Mi risposero che non era il caso, che ero piccoletta, una donna e che per questi incarichi erano meglio gli uomini. Era la fine degli anni Novanta, dieci anni più tardi una donna è entrata nei “Falchi” quindi sì, ci è voluto tempo ma le condizioni oggi sono molto diverse».

Rimpianti personali?

«Oggi a 53 anni, dico che la mia passione per questo lavoro non è cambiata ed è sempre tanta ma avrei potuto essere più presente con i miei figli che, ad esempio venivano spesso accompagnati dalla baby-sitter alle feste di compleanno o non mi vedevano tra il pubblico nei loro saggi. Fuori da scuola, quando riuscivo ad andarli a prendere, facevo delle gaffe con le altre madri perché non le riconoscevo o non ricordavo i loro nomi; a volte capitava che arrivassi di corsa ai colloqui con i professori o che dovessi saltarli per altri impegni lavorativi andando poi a chiedere appuntamenti fuori orario».

Tornando alla Scientifica, c'è un impegno ingente anche sul fronte dell'ordine pubblico quando ci sono sit-in, proteste, manifestazioni. Immagino avrà seguito quanto è accaduto sabato 9 ottobre nella Capitale e la guerriglia urbana che c'è stata. Come dirigente della Scientifica con quali occhi ha guardato quei fatti?

«Sono dell'idea che il nostro lavoro dev'essere maggiormente apprezzato dalla popolazione, c'è tanta gente che comprende i sacrifici che facciamo, le difficoltà che si hanno nello stare in piazza ma ce n’è altra che focalizza tutta l'attenzione su un solo poliziotto che si scaglia o che aggredisce non considerando la violenza dei facinorosi verso le forze dell’ordine, colpite da insulti, sputi e sassate. Interroghiamoci sul perché alcune persone che hanno preso parte a quella manifestazione hanno circondato un blindato facendolo oscillare a destra e sinistra come si vede dai filmati. Se agiamo non lo facciamo per violare dei diritti ma per tutelarli, agiamo per interrompere delle azioni facinorose, la polizia è vicina a tutti i cittadini ma ogni manifestazione va fatta nel rispetto delle leggi».

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