Visti da (molto) vicino/ Winspeare e Celeste
Insieme per Miracolo, in Grazia di Dio

Edoardo Winspeare e Celeste Casciaro
Edoardo Winspeare e Celeste Casciaro
di Rosario TORNESELLO
7 Minuti di Lettura
Sabato 5 Aprile 2014, 12:06 - Ultimo aggiornamento: 13 Aprile, 19:21
Laura in cucina. Prepara una torta. Ha deciso che la far, l ad armeggiare tra ciotole e mestoli. Edoardo fuori, fa altro. Maniche di camicia, guanti di lattice. L'assenza e la pioggia producono erbacce, lungo il marciapiede e i basoli prima dell’inevitabile asfalto, davanti casa. Ripulisce tutto e sorride. A Corsano non ci arrivi per caso. Se lo fai, puoi anche restarci. Calce sui muri, il sole rimbalza ovunque. Una strada tira dritta verso il mare: spacca la piazza, supera il frantoio ipogeo e va. Tutte le altre si inseguono, ricamando trame. È facile perdersi, volendo, quando il bianco stordisce. Buongiorno. Celeste dov’è?



Questa casa è il Salento. Intonaci chiari, volte a stella. I mobili epoche sovrapposte. Un secolo e mezzo di storia intrecciata nelle stanze, riannodata sui muri. Le sedie del tavolo da pranzo una diversa dall'altra, non per scelta, non per convinzione. È condivisione, questa. Celeste ha i colori del sud, la bellezza del sud. I tempi del sud. Ha movenze placide, esplosioni vulcaniche. Sorrisi aperti, contagiosi. E lacrime, che affiorano quando ripensa il dolore, quando parla d'amore. Le trattiene serrando le labbra prima che arrivino al mento, saltando sul petto. Ha ragione Saviano. Difficile trovare volti così intensi nel cinema messo in posa e srotolato sul red carpet. Ma oggi non c'è alcun ciak da far schioccare, nessuna scena da interpretare in questo non luogo, non tempo, non spazio, in questo altrove che sono i ricordi e che incanta Sangiorgi. E lei non è un'attrice, vero. È una donna. Quando recita mette in scena se stessa. «Non mi chiameranno gli altri. Perché dovrebbero? Ho l’accento di questi posti. Non ho fatto scuole, nessuno studio per reggere la macchina da presa. È stato ed è tutto molto casuale. Perciò va bene. Ed è bello così». È figlia di contadini. Lei stessa lo è stata. Come Edoardo è figlio di nobili. E lui stesso lo è. La regalità è semplicità. Entra, toglie i guanti. Ha il sorriso che disarma, spianato sotto i baffi. Cosa mangiamo oggi? Lo chiede a sua moglie. Le prime volte era un disastro: lui tornava dalla spesa con stecche di cioccolato e yogurt. Ora porta l’occorrente per un pranzo completo. In un caso o nell’altro, gli tocca.



La condivisione, dunque. «Ci sono sedie dei miei genitori, altre mie. E sedie che nel vicinato ci scambiamo quando si hanno ospiti. Non sempre ritornano quelle giuste». Qui la convivialità fa la differenza. Echi di don Tonino, che riposa a due passi. Edoardo lo adora. È religioso, cattolico, praticante. Come lo sceneggiatore del film, Valenti («Alessandro è un genio», racconta lei. «Lo vedi e ti sembra strampalato. Ma ha una profondità rara, forse unica»). Gli incontri non avvengono per caso. Edoardo e il sacerdote si sono conosciuti da quelle parti. Il piccolo e il giovane parroco, poi vescovo, tra poco beato. All’epoca il ragazzo abitava a Depressa, nel castello di famiglia, prima di salpare per il mondo a imparare il cinema, lui innamorato di Fellini, Altman, Kubrick. A rafforzare le lingue. A casa ne parlano cinque. Se serve, però, declina una parola secondo i dialetti che corrono da Leuca a Lecce. Sorprendente. Talvolta gli capita come al monaco poliglotta del Nome della Rosa: mischia gli idiomi. Ma lui fa anche di più: confonde i film. Gli è successo in conferenza stampa di citare per sua una pellicola di altri. Celeste, seduta in prima fila, l’ha corretto: no, non è tua. Il genio ammette stravaganze; ma lei non è la regola, è la bellezza geometrica. Metti bene la camicia, si vedono le mutande, per dire. Piegarsi in due a tagliare erbacce può giocare simpatici scherzi. Arriva un caffè. La torta di Laura ancora non si vede. In compenso, si avverte il tramestio. Ci sono buone speranze.



La prima volta si sono visti a Tricase. Inutile cercare un tempo, una data, un anno. Lui ha età indefinita («è vero: guardo le sue foto e non riesco a dargli un’epoca: lui è sempre uguale, sempre lo stesso stile, gli stessi colori; solo ora che ha tagliato il pizzetto riesco a orientarmi»). Lei, più semplicemente, un’età non ce l’ha. Tricase, allora. Celeste lavorava in un negozio di calzature. Tre vetrate sulla strada. Impossibile passare inosservati. Edoardo girava uno dei suoi primi film. «Un tipo buffo, biondo, la faccia rossa sotto il sole. Divertente». La corteggiò in modo discreto. Anzi no, l’espressione non rende l’idea. Ne fu incuriosito, ecco. Meglio. «Sarà venuto cinque o sei volte a provare lo stesso paio di scarpe, sempre più grandi del suo numero. Curioso, vero? Alla fine le ha prese». E probabilmente mai messe. Tutto lì, niente di più. Celeste aveva una famiglia, due figli. Laura, ora 24 anni, e Andrea, poco più di 13. Poi il matrimonio appassisce. Lei con i piccoli rientra a casa, questa, sulla piazza di Corsano, dai suoi. Ricordi. Se guardi in alto puoi sempre sperare che le lacrime non tracimino oltre le ciglia. Deve essere stato doloroso.



Erano in dieci in quella casa, una volta. Celeste, sei fratelli, i genitori, il nonno. Si risale nel tempo: l’ha costruita il papà del papà del papà. Fine ‘800. Le stanze intorno al cortile centrale. Il patio dove tutto converge. La storia quotidiana in piccoli gesti. Ora sono in cinque. Lei, lui, i figli di lei e la piccola di casa: Arcangela, la loro bimba, quattro anni. Giochi, lavagnette, tutto dice del trambusto che riesce a creare. E del colore che dà. Cinque in casa. Più chi entra e chi esce, e cioè tanti, con sedie e senza sedie. «Edoardo ti cambia la vita. Ha questo potere. Lo vedo quando incontra i ragazzi nelle scuole. Ripercorro quel che è successo a noi. È entrato nelle nostre esistenze in punta di piedi, un passo dopo l’altro. Con discrezione e garbo. Un fiore. Un cioccolatino. Mai invadente, mai esagerato. È lui che insegna a me l’umiltà. La semplicità. Con la dolcezza, le sue cifre distintive. Un uomo d’altri tempi. I miei fratelli stravedono per lui. E anche Laura e Andrea, quando manchiamo, è di lui che avvertono l’assenza». La ragazza è estetista e truccatrice; spera di lavorare nel cinema, ma non più di tanto. Un primo film appena sfornato, con loro, mamma e papà acquisito, e nessun grillo per la testa: «Al mondo dei lustrini però preferisce il suo ambiente di vita. Molto più vero, autentico». Il piccolo va ancora a scuola. «Vive la sua età. Gli ho chiesto cosa hanno detto gli amici, se hanno visto il film, come lo giudicano. Lui alza le spalle e mi liquida in due battute: sì, bello».



Edoardo l’ha conquistata sul set del “Miracolo”, 2003. Riprese a Taranto, zona porto. «La prima volta che è venuto a prendermi non volevo andarci. Sto bene, mi dicevo, ho la mia vita, cos’è questa storia di fare l’attrice in un film? Lui mi attendeva fuori in auto, io indugiavo in casa. Fu mio fratello a spingermi fuori». Provvidenziale. Durante le riprese, l’esplosione dell’amore. Senza più vetrate da superare, scarpe da provare. Senza più scuse, ostacoli. La vita tornata a scorrere nelle vene. La femminilità rifiorita. Donna, compagna, moglie, madre. Ci sono incontri che valgono un’esistenza. Vero, si vede. Deve essere come una magia, un incantesimo: tornano i colori, i profumi. La musica. Tutto assieme. All’improvviso. Celeste porta le mani al volto. Quelle di gioia, almeno, sono lacrime in libera uscita.



Celeste è Celeste Casciaro. Edoardo è Edoardo Winspeare. Vivono a Corsano da quando sono una famiglia. Nessun castello. Solo una casa, pulita, vissuta. Il mare è alla fine di quella strada, a Funnuvojere. Mondanità ridotta all’essenziale. «Amiamo stare qui. Ci riempie. E qui accogliamo i nostri amici, i nostri parenti». Lui regista e lei protagonista di un film che è già fenomeno, al di là dei commenti entusiasti, lusinghieri, pressoché unanimi da Roberto Saviano a Giuliano Sangiorgi e tutti gli altri, compresi i critici. In grazia di Dio. «È il suo film più bello, perché ha potuto lavorare liberamente senza grandi etichette alle spalle, solo la Banca Popolare Pugliese a finanziare un lavoro fatto in economia tutto qui, con operatori e tecnici salentini. Ci sono professionalità ormai di primo livello. La Rai è arrivata dopo la partecipazione al Festival di Berlino, e questo ha evitato imposizioni dall’alto nella scelta del cast. Ho visto tutti i suoi lavori: questa è l’opera che più lo rappresenta». Lei, invece, è la sorpresa. «Celeste è fantastica», dice lui posando le borse della spesa. Niente cioccolato, niente yogurt. Il posto contempla altro, a pranzo e a cena. Quando è ora si mangia, se in cucina fanno spazio. Laura è Laura Licchetta. Nel film e nella vita è la figlia di Celeste. Si assomigliano, molto. Un manifesto dietro l’angolo di casa la immortala con la madre e rinvia al cinema più vicino. Qui, intanto, niente dolce. E ancora non se ne avverte il profumo. Ma a Corsano non è che ci arrivi per caso. E se vai puoi anche restarci. Una fetta di vita. O una fetta di torta.







Visti da (molto) vicino: 22esima puntata.

Negli incontri precedenti:

- Paolo Perrone

- Dario Stefàno

- Roberta Vinci

- Massimo Ferrarese

- Elenonora Sergio

- Mario Buffa

- Antonio Conte

- Giuliano Sangiorgi

- monsignor Filippo Santoro

- Fabio Novembre

- Flavia Pennetta

- Maurizio Buccarella

- Emma Marrone

- Ennio Capasa

- Giancarlo De Cataldo

- Vincenzo Zara

- Albano Carrisi

- Teresa Bellanova

- Ferzan Ozpetek

- Andrea Ascalone

- Giuseppe Acierno
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