Visti da (molto) vicino/ Ferzan Ozpetek
Così l'amicizia viene seduti a tavola

Visti da (molto) vicino/ Ferzan Ozpetek Così l'amicizia viene seduti a tavola
di Rosario TORNESELLO
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Domenica 16 Marzo 2014, 19:32 - Ultimo aggiornamento: 18 Marzo, 12:00
E poi... e poi Filippo. Per dire. Perch a volte basta un dettaglio o poco pi per capire, inquadrare. Gi, ecco: inquadrare. Mare, citt, chiuso, aperto, interno notte, esterno giorno, piano sequenza... Un barocco intenso, il Salento come lo vorresti. Altra storia. Comunque: ciak, si gira, azione. Filippo, che si presenta e lui da solo è già un film intero, minuscolo com’è, senza età, concentrato nella sua essenza, arrivato in bicicletta a proporsi sul set. Ho le stesse iniziali di Federico Fellini, dice, e ho anche lavorato con lui. Chissà. Vivo a Lecce, spiega. Avrà un suo tempo, un suo spazio. All’incrocio delle due dimensioni, lui. Personaggio di suo, piuttosto surreale. Al regista sta simpatico. Alla troupe anche. Lo adottano. E lui si fa adottare. Qui si fa così. Non è un segreto, no: è “il” segreto. Cestino nella pausa pranzo, come gli attori veri, come le star. Come tutti, perché tutti qui sono uguali, solo con dieta differenziata. E alla fine Filippo entra in scena, vestito di bianco. Una scena struggente, spettrale. Un sogno. Per dire della famiglia e della familiarità. Perché sì...



Oppure loro, ecco. Kasia, Francesco, l’altro Filippo, Elena, Paola, Carolina e via elencando: il cast diventa amalgama solo se tu gli dai un’anima, lo plasmi oltre le professionalità, gli individualismi. Al di là dei caratteri di ciascuno. Uno sguardo, un sorriso. Una battuta. Non dire, non fare, non baciare. Ma immaginare. Come lui, sentire la scena come la sente il regista, vederla come lui. Farla come lui. Una parte non va interpretata; va vissuta. Punto. Francesco ingrassa, Kasia dimagrisce. Uno è rimpinzato a dovere perché il personaggio invecchia e mette su pancia. Sono lasagne, piatti di pasta, molto burro e tanto parmigiano. Sono rustici, ogni pomeriggio di rigore. E birre, infine, ma di sera, perché gonfiano e il giorno dopo sul set le rotondità risaltano. Allacciate le cinture, fosse facile quando il giro vita cresce tanto, così in fretta. Scherzi da copione. Un mese per stravolgersi e deformarsi. L’altra, all’opposto, dimagrisce perché lei nel film si ammala e appassisce. A stecchetto, chiusa in albergo al Risorgimento e guai se volteggiano pasticciotti. Tutti gli altri a tirar tardi d’estate dopo le riprese, in spiaggia, aperitivi e gavettoni. Lei no. Al riparo come Paola, nella sceneggiatura la sua magra magrissima compagna di stanza in ospedale, costretta a ignorare il gelato al pistacchio per finire pelle e ossa. E la sera poi tutti a cena. Quelli che possono, certo. Grandi tavolate e poi...



Ferzan, ad esempio. Lui si dice un dilettante. Ma in senso buono: i registi di professione svolgono un ruolo e vanno avanti; lui ci mette l’anima e perciò ne soffre: quando l’empatia salta, la simpatia ne risente. Piccoli inciampi che sono mine vaganti, servono a rimettere le cose a posto. L’altra volta litigò col protagonista: troppe lagne per il taglio dei capelli, dieci giorni di riprese sospese per l’impossibilità pratica - causa sfuriata - di plasmare l’attore, carpirgli l’anima, ridisegnarne il volto. Guardarlo in faccia. Un’impresa spiegare la sintonia. Ma così è. Lui così è. La sua famiglia è lo staff con cui gira l’Italia; sono gli attori che ruotano intorno ai suoi film; le comparse che sceglie sul posto. Difficile che pianti radici in un luogo; sono i luoghi, le persone, a piantarle in lui. Prendi Lecce. Cittadinanza onoraria con cerimonia in aula consiliare. E una casa che cerca qui, in centro ma non necessariamente. Ferzan alla fine è un’idea: lo trovi nella convivialità delle cene; lo valuti nell’accoglienza verso Filippo che ha le stesse iniziali di...



«L’immagine che ho di lui è quella di una tavolata: si sta tutti assieme, piatti colmi, forchettate e via a parlar di diete. Ferzan è una casa grande per accogliere le persone che lo circondano. A Roma ti riceve nella sua ampia cucina. Il tavolo al centro. Perché è quello il suo modo di stare assieme. Così intenso ed evidente da marcare tutte le sue opere. Come la pioggia, che lava, rimuove e purifica». Barbara De Matteis fonde vita e finzione cinematografica. Con Ozpetek due film e una progressione di carriera: nel primo cameriera in un bar, nel secondo cassiera e proprietaria. Nella realtà va più o meno così: il bar è suo. O meglio, di famiglia. La Cotognata Leccese ha un anno in più dell’Unità d’Italia. Era di altri, dei Cesano. Il padre di Barbara, Oronzo, ha iniziato a lavorarci che aveva 10 anni, ora ne ha 71 e quel bar lo ha rilevato quarantaquattro anni fa. Lavorano tutti lì, tranne un fratello che s’è messo in proprio. E lì Barbara ha conosciuto il regista. «Avevo fatto i provini per la sua prima pellicola girata a Lecce. Preferirono una figura più robusta. Poi un giorno lui viene a pranzo qui da noi con la troupe. Gli faccio i complimenti. Qualcuno fa una battuta sul casting e gli dico com’è andata. Lui mi sorride e promette: vedrai che qualcosa riuscirò a farti fare. S’è dimostrato di parola: compaio in una scena girata all’interno di questo bar». Legarsi alle persone, mantenere gli impegni. Non certo dettagli. Anzi, semmai...



L’amicizia. Tra loro è cresciuta col tempo. Il secondo film ne è la riprova. Barbara è arrivata sul set dopo aver finito “in grazia di Dio” le riprese con Edoardo Winspeare, giù a Leuca. Altra storia, altro legame: una collaborazione iniziata nel 2002 con “Sangue vivo”, cresciuta con “Galantuomini” e approdata, prima dell’ultimo lavoro, al cortometraggio per Louis Vuitton, “Le noces de papier”, premiato nel 2010 al Festival di Cannes e preferito ai mostri sacri del cinema internazionale. Da vedere. Chiusa parentesi. «Per il film di Ozpetek truccatori e costumisti hanno dovuto lavorare molto su di me per creare un personaggio più maturo rispetto alla mia età. E nel corso delle riprese, giorno dopo giorno, ho visto il regista modellare a fondo i suoi personaggi. Un esempio? A Kasia, prova dopo prova, è riuscito a tracciare la curva esatta del sorriso che lui aveva in mente per lei nella scena in cui Antonio consegna a Elena l’anello di fidanzamento. Voleva un’espressione speciale. E c’è riuscito». Emozioni. E poi...



Lacrime. «Lei che piange in piazza Mazzini dopo la diagnosi dello specialista; loro che fanno l’amore nel letto d’ospedale. Alla prima, quando finalmente ho visto il film finito e montato, mi sono ritrovata col volto solcato dal mascara che colava lungo le guance. Ho dovuto rivederlo un’altra volta. E poi ancora un’altra, perché gli amici mi chiamano e vogliono andare al cinema e pretendono che sia io ad accompagnarli. Così mi armo di fazzoletti e vado». Fontanelle a parte, Barbara di suo ha sguardo radioso e occhi che sorridono di luce propria. Narcisa il giusto («un giorno è venuto a trovarci un fotografo turco che lavora anche per Vogue e anziché dedicarsi ai protagonisti era affascinato da me, dal trucco, dalle acconciature... Ferzan ha visto le foto e s’è messo a ridere: ma hai immortalato più lei che le attrici famose?). Lei, in bilico tra la passione per il suo lavoro e il lavoro per la sua passione. Rimangono ricordi: la concentrazione della Smutniak, l’impegno di Arca, le premure della Ricci, la simpatia della Minaccioni. E con i ricordi le amicizie nate e cresciute tra un ciak e l’altro. Il film qui è pretesto: il risultato finale ognuno può vederlo...



Ferzan, però. «Lui si vede proiettato qui: considera Lecce la sua casa», racconta la giovane attrice. La città e il Salento non sono solo un set ideale, ma significano anche tanto riposo e relax. I suoi amici più intimi, Maricla, Silvana, Elisabetta, Sandro, Vito, Antonio, Gianni, Carlo. Il suo mare, Punta della Suina o L’ultima spiaggia. I suoi piaceri a tavola, dai ciciri e tria fino alla torta pasticciotto tutto incluso, anche il vino, tranne i crostacei, cui è allergico. I suoi luoghi dove alloggiare, al Risorgimento o a Montelauro. In attesa di prendere casa. Grande, la vuole grande, proprio per questa sua idea della vita. Che è apertura, compagnia, condivisione. Che è passione. «A me - sorride Barbara - ricorda mio padre: caldo, autentico. Può anche sclerare, ma subito dopo ritorna delizioso. Ecco: Ferzan è un tipo schietto, vero, leale. È carino sempre, ma ti fa capire quando qualcosa non va. E poi ha questa sua idea dell’uguaglianza che fa la differenza: a noi donne, alla fine delle riprese, lo stesso regalo, davvero bello, ma con dedica personalizzata. È fatto così: ci tiene e te lo fa capire in mille modi». Permaloso quanto basta. Scaramantico per ragioni di servizio (dice niente Saturno contro?). E oltremodo attento alla linea. Meglio non dirlo a Ferzan, il nostro amico vicino di casa. Ha rifatto il trucco a Lecce, lanciandola come diva da maxischermo. Per come lui vede la città, per come la pensa e la ritrae, potrebbe pure assurgere a sindaco onorario. Ma anche qui, meglio non dirlo...





Diciannovesima puntata - negli incontri precedenti:

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- Giuliano Sangiorgi

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- Fabio Novembre

- Flavia Pennetta

- Maurizio Buccarella

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