Lungo la Via Francigena/ L'ultima discesa verso Finis Terrae

Lungo la Via Francigena/ L'ultima discesa verso Finis Terrae
di Luigi del PRETE
5 Minuti di Lettura
Mercoledì 18 Ottobre 2017, 13:50 - Ultimo aggiornamento: 13:59
Sono arrivato all’ultima tappa. Oggi mi attendono meno chilometri e posso tenere un passo rilassato. Dopo la quantità di chilometri di ieri avverto qualche fastidio ai piedi. Rallento ogni momento della giornata. Arrivare alla meta non è lo scopo di un cammino. Tanto che quando si è sul punto di arrivare ti assale una certa malinconia. Esco da Tricase attraversando la frazione di Caprarica del Capo oramai un tutt’uno con la stessa Tricase. Passo davanti al castello che conserva l’austerità militare che lo concepì. Proseguo per Tiggiano. Ammiro il palazzo baronale inoltrandomi nello splendido aranceto che custodisce. Il cielo è di un azzurro intenso. A questa tonalità si riferiva Lawrence Durrell precisando che l’azzurro “inizia in quell’arco di cielo compreso tra la Gracia e la Calabria”. Proseguo ancora verso Corsano. Inizio a camminare tagliando per i campi dopo aver attraversato solo centri abitati sinora. I panorami si aprono. La campagna qui continua a tenere un passo antico, sia pure assediata dalla contemporaneità. Si vedono più aree curate e coltivate. Per lo più piccoli appezzamenti condotti evidentemente in proprio. Le chiuse di muretti a secco abbracciano fazzoletti di terra rossa che il sole di oggi fa rilucere. Abbondano le pajare e le lamie. Altrove la furia devastatrice della contemporaneità ne ha cancellate tantissime. Qui invece si ritrova un paesaggio per lo più integro. Si incontrano più contadini ricurvi sulla loro terra a compiere gesti millenari. Il silenzio si fa più intenso. Come più intensi si fanno i profumi, i colori.
Mi fermo a più riprese. Ho il desiderio di assorbire tutta questa pace, farne scorta per i giorni in cui, lo so bene, mi mancherà. Continuo verso Gagliano del Capo. Sempre la stessa quiete profonda. Immota. Prima di entrare a Gagliano si possono scegliere due vie. Proseguire per la litoranea oppure continuare, dopo il paese, attraversando i campi. Scelgo il cammino più vecchio. I pellegrini in passato si tenevano lontani dal mare. Erano zone disabitate, per lo più. Difficili e spesso malariche. Attraverso la bella piazza di Gagliano e tiro dritto per i campi ancora una volta. Ancora la stessa atmosfera rarefatta. Rallento ancora, mi sto avvicinando alla meta. Si apre il mare abbagliante e maestoso all’orizzonte. Proseguendo inizio a vedere più abitazioni. Ad una curva fa capolino il faro di Santa Maria di Leuca. Ci sono. È l’ultima discesa.
La Finisterrae di Puglia. Come la Finis terrae dopo Santiago di Compostela. Confini ultimi entrambi. Dopo si apriva l’ignoto. Per questo qui come in Galizia la preghiera diventava necessità. A Santa Maria di Leuca Grotta Porcinara testimonia di questo sentimento che i luoghi di confine impongono all’anima che si smarrisce. Qui per millenni l’uomo ha invocato il suo Dio. Marinai, pellegrini, mercanti, soldati, religiosi, potenti. Tutti soggiogati dallo stesso sentimento. È il confine, dove si apre l’oltre. L’oltre di ogni uomo. Gli interrogativi ultimi di ogni esistenza si aprono in ognuno, come la vista del mare infinito tutto intorno.
Raggiungo il piazzale del Santuario. Splendido con i suoi archi aperti sul mare. Quasi a contenere questo smarrimento, questa vertigine dell’uomo di ogni tempo e di ogni fede che abbia raggiunto questo luogo.
Mi attende una graditissima sorpresa. Dietro la colonna al centro del piazzale si nasconde un uomo dalla barba bianca che conosco benissimo. È Riccardo Rella. Per tutti noi camminatori un riferimento, un esempio costante. Mi ha chiamato ogni giorno per sapere come andava. Per oltre 14 anni lungo la via mediana, il Cammino Leucadense ha portato in giro centinaia di persone avviandole alla passione del camminare. La sua passione. Che è diventata quella di tanti che grazie a Riccardo hanno scoperto la magìa del viaggio lento. Ha tracciato percorsi e lottato perché le vie Francigene trovassero compimento a Leuca, sollecitando di continuo l’attenzione di tutti sulla questione. A lui ed all’associazione Speleo Trekking Salento si deve il recupero dell’antica Erma, un monumento settecentesco, che era collocata ad un chilometro a Santa Maria di Leuca. Qui i pellegrini provenienti dalle varie vie si davano raduno. Lasciavano un sasso che avevano portato con se dal luogo di provenienza a simboleggiare i propri peccati. Poi proseguivano verso il Santuario. Il monumento era stato smembrato rimosso e danneggiato. Ma grazie al loro impegno è tornato al suo posto. Simbolo di unione e di liberazione dai propri pesi prima della meta ultima. Stesso rituale, per una strana simmetria, lungo il cammino di Santiago, dove alla Cruz de Hierro i pellegrini pietra dopo pietra hanno eretto una specie di collina. Dolori, speranze, peccati e ferite da tutto il mondo.
Abbraccio Riccardo felice per la sorpresa. Il mio piccolo cammino è finito. Ora torneremo ad occuparci della promozione di questo percorso. Siamo in tanti lungo tutta la Puglia. Dal Gargano a Leuca. Ci conosciamo tutti, camminiamo spesso assieme attraverso questa interminabile e variegata regione. Siamo animati dal sogno di far diventare il percorso francigeno da Roma a Leuca una nuova frequentatissima meta di pellegrinaggio.
Il nostro viaggio continua. Come il nostro sogno.
Ora il cammino è davvero chiuso. Mi fermo a guardare il mare. Ricordo il sublime pensiero di José Saramago: «Il viaggio non finisce mai. Solo i viaggiatori finiscono. E anche loro possono prolungarsi in memoria, in ricordo, in narrazione. Quando il viaggiatore si è seduto sulla sabbia della spiaggia e ha detto: “Non c’è altro da vedere”, sapeva che non era vero. Bisogna vedere quel che non si è visto, vedere di nuovo quel che si è già visto, vedere in primavera quel che si è visto in estate, vedere di giorno quel che si è visto di notte, con il sole dove la prima volta pioveva, vedere le messi verdi, il frutto maturo, la pietra che ha cambiato posto, l’ombra che non c’era. Bisogna ritornare sui passi già dati, per ripeterli, e per tracciarvi a fianco nuovi cammini. Bisogna ricominciare il viaggio. Sempre. Il viaggiatore ritorna subito».
 
© RIPRODUZIONE RISERVATA