Ungaretti, Bo e la loro “stagione salentina”

Ungaretti, Bo e la loro “stagione salentina”
di Antonio Lucio GIANNONE
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Sabato 28 Maggio 2022, 05:00

Carlo Bo considerava Giuseppe Ungaretti il più grande poeta italiano del Novecento e lo seguì costantemente per oltre sessant’anni dedicandogli numerosi saggi e articoli. I due si conobbero nella prima metà degli anni Trenta a Firenze, allora capitale indiscussa della cultura letteraria del nostro paese. Ungaretti era già ritenuto un maestro della poesia italiana, mentre Bo si stava facendo conoscere come uno degli esponenti più in vista della giovane critica. Nel 1937 era uscito sulla rivista “Frontespizio” il suo scritto “Letteratura come vita” che è considerato una sorta di manifesto dell’ermetismo. Era inevitabile quindi questo incontro destinato a durare tutta una vita.

Due volumi in un cofanetto

Il rapporto Ungaretti-Bo viene ora attentamente ricostruito e documentato nei due volumetti contenuti in un cofanetto, dal titolo “Ungaretti, un poeta da vivere” (Fondazione Carlo e Marise Bo, Raffaelli editore), a cura di Eleonora Conti. Il primo tomo contiene ventotto scritti del critico ligure sul poeta che vanno dal 1939 al 2001. Il secondo, che ha una prefazione di Carlo Ossola, contiene le lettere tra i due, dediche di Ungaretti a Bo sui suoi libri e riproduzioni fotografiche di alcuni articoli.

La curatrice, nella sua Introduzione, chiarisce bene alcuni motivi che accomunavano i due fin dall’inizio: da un lato la passione per i grandi poeti francesi e la lezione del simbolismo, dall’altro la predilezione per Leopardi. Ma soprattutto Bo vedeva in Ungaretti “l’incarnazione stessa della poesia”, la sua “dimora” vivente, come egli stesso scrisse in un saggio. Le sue preferenze andavano verso certi testi che dimostravano la “sofferta religiosità” del poeta, in particolare gli “Inni del Sentimento del tempo” e la raccolta “Il Dolore”. Ungaretti, per il critico, era al tempo stesso un “rivoluzionario” e un “classico” perché con il suo primo libro, “L’Allegria”, aveva proceduto a un radicale rinnovamento del linguaggio poetico, mentre col secondo, Sentimento del tempo, aveva recuperato in forma moderna la più illustre tradizione lirica italiana, da Petrarca a Leopardi.

Quel disaccordo sul nome di Quasimodo

Conti, però, nella sua disamina non si limita agli aspetti puramente letterari di questo rapporto, ma affronta anche quelli umani. Ad esempio, in occasione del Premio Napoli nel 1959 ci fu una frizione tra i due perché Bo, presidente della giuria, propose il nome di Salvatore Quasimodo come vincitore, facendo irritare Ungaretti. Ma l’anno dopo a questi venne assegnato il Premio Montefeltro che gli fece scrivere “Urbino vale più di Stoccolma”, con allusione al Premio Nobel vinto l’anno prima dal rivale.

Presso l’Università urbinate, di cui Bo è stato a lungo rettore, nel 1979 si svolse pure un memorabile Convegno che resta una tappa fondamentale negli studi sul poeta.

La "stagione salentina"

Ma dal carteggio emergono anche personaggi e luoghi legati alla Puglia, tanto da far parlare la curatrice di una “stagione salentina” dei due letterati. Un breve biglietto autografo, inviato da Parma nel dicembre del ’42, è firmato, ad esempio, oltre che da Bo, dal magliese Oreste Macrì e dal tarantino Giacinto Spagnoletti i quali si complimentano con Ungaretti per la nomina ad Accademico d’Italia. Il 14 maggio 1947 invece il poeta invia a Bo una cartolina illustrata da Taranto col panorama della città e la firma anche di Spagnoletti e della moglie Piera, su cui scrive queste poche parole: “Aria di mare e saluti”. Ungaretti si era recato nella città ionica su invito di Antonio Rizzo, direttore del settimanale “La Voce del Popolo” per tenere una conferenza alla Società Dante Alighieri, ma anche per un primo contatto in vista del nascente Premio Taranto. Della sezione letterario del premio, da lui giudicato “il più bel premio d’Italia”, Ungaretti dal 1949 al 1952 fu presidente della giuria, della quale faceva parte anche Bo.

La conferenza su Leopardi a Lecce

Giacinto Spagnoletti, che lo ospitava a casa sua, il giorno dopo lo portò a Lecce a tenere un’altra conferenza presso il Circolo cittadino. Qui lo aspettavano intellettuali, come Cesare Massa, poeti come Vittorio Pagano e persone comuni che andarono ad ascoltare il discorso di due ore su Giacomo Leopardi. Ungaretti fu ospitato in casa dello scultore Antonio D’Andrea e gli amici lo seguirono anche lì. In pratica tutta la notte Pagano, Spagnoletti e gli altri rimasero nella sua camera a farlo parlare di Leopardi, Manzoni e di poesia. Di questa memorabile giornata leccese restano una foto scattata in Piazza Sant’Oronzo e un resoconto entusiasta di Pagano apparso sul settimanale “Libera Voce”.

Ma Ungaretti in quegli anni era in contatto anche con altri letterati salentini, come Vittorio Bodini, che nel 1947 era in Spagna dove in un articolo a lui dedicato tradusse per la prima volta alcune sue poesie, e Girolamo Comi che lo invitò a collaborare alla rivista “L’Albero”.

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