Gli “arnesi” dell’uomo vissuto 129mila anni fa

Gli “arnesi” dell’uomo vissuto 129mila anni fa
di Giuseppe TARANTINO
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Giovedì 28 Ottobre 2021, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 08:50

Ecco come nascevano gli strumenti di uso quotidiano degli abitanti preistorici, cacciatori e raccoglitori, di Porto Selvaggio. Uno studio del Museo della Preistoria di Nardò sui manufatti di Grotta Torre dell’Alto è stato pubblicato dalla prestigiosa rivista accademica in lingua inglese “Journal of Quaternary Science” svela i materiali e le tecniche utilizzate oltre 129mila anni fa.

Si tratta dei primi risultati dello studio condotto dal team del Museo della Preistoria di Nardò, composto dalla direttrice del Museo, Filomena Ranaldo e da Dario Massafra e Keiko Kitagawa, su concessione della Soprintendenza di Lecce e Brindisi e con il supporto del Comune di Nardò e di “Nomos - Servizi per la Cultura del Patrimonio”, e rientra in un più ampio progetto volto a ricostruire le dinamiche evolutive del paesaggio e le strategie organizzative dei gruppi umani sul territorio tra il Pleistocene e l’inizio dell’Olocene.

Lo studio (disponibile al link https://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1002/jqs.3378) riguarda i manufatti ritrovati nella Grotta Torre dell’Alto riferibili alle più antiche frequentazioni dell’area da parte dell’uomo, probabilmente precedenti la fase climaticamente calda (interglaciale) iniziata circa 129 mila anni fa.

Oggetti di uso quotidiano

Dopo l’inquadramento fatto dal professore Edoardo Borzatti von Löwenstern, che negli anni ’70 del secolo scorso ha diretto le ricerche archeologiche nel sito, parte dei reperti sono stati studiati dalla professoressa Enza Spinapolice (Sapienza Università di Roma). I nuovi dati evidenziano la diffusione di tradizioni tecniche che applicavano metodi di produzione specifici per ricavare una variabilità di strumenti piuttosto spessi e poco allungati, punte, ma anche lame e schegge corte di minore spessore; tutti oggetti di uso quotidiano che trovavano applicazione nello svolgimento delle attività domestiche (lavorazione del legno, macellazione, ecc.) o nel reperimento delle risorse sul territorio (caccia). Per costruire gli strumenti venivano utilizzate sia risorse litiche locali, ancora oggi reperibili lungo la costa neretina, che risorse non locali, ciottoli di diverse dimensioni che – si è ipotizzato – fossero provenienti dall’area ionica compresa tra Taranto e il Bradano.

Per verificare questa ipotesi sono state nel frattempo avviate analisi archeometriche con la collaborazione del gruppo di ricerca del professore Giacomo Eramo del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università degli Studi di Bari e i risultati preliminari sono stati recentemente presentati nella tesi di Specializzazione del dottore Vincenzo Stasolla e al “13th International Symposium on Knappable Materials” a Tarragona, in Spagna, pochi giorni fa.

Cacciatori e raccoglitori abitavano questa parte della Puglia

Grazie a questi primi risultati è inoltre possibile dettagliare meglio, sia diacronicamente che nello spazio (ad esempio a Grotta “Mario Bernardini”), i mutamenti nelle tradizioni tecniche e negli obiettivi perseguiti dai primi gruppi di cacciatori-raccoglitori in questa parte della Puglia.

L’insieme di queste informazioni, integrato da quelle provenienti dagli studi tecno-funzionale e archeozoologico in corso, da nuovi dati sui paleo-ambienti e dall’aggiornamento del quadro crono-stratigrafico, consente di avanzare ipotesi anche sul sistema sociale e sull’organizzazione all’interno e fuori dal sito.

«Accogliamo con orgoglio la pubblicazione su un’autorevole rivista scientifica del lavoro svolto dal Museo - sottolinea con soddisfazione l’assessore ai Musei Giulia Puglia - non solo perché amplia le conoscenze sulla storia del territorio neritino e pugliese, ma perché conferma l’efficacia di un modello di gestione del patrimonio naturale e culturale che connette ricerca e valorizzazione rimettendo al centro il ruolo del territorio nella programmazione delle attività».

«Attraverso l’istituzione del Museo della Preistoria - continua - il comune, all’interno del quadro previsto dal Ministero della Cultura, ha voluto dotarsi di uno strumento che, operando in stretta sinergia con l’Ente di Gestione del parco e in dialogo con la comunità e con altri soggetti pubblici e privati impegnati nella ricerca scientifica di diversi ambiti disciplinari, perseguisse un modello di sviluppo sostenibile da un punto di vista ambientale, sociale ed economico. E tra gli artefici di tutto questo c’è anche Mino Natalizio, che mi ha preceduto nella gestione della delega ai musei e che sento di ringraziare sinceramente per l’ottimo lavoro che ha svolto».

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