19 aprile 1921, squadristi all'assalto e Taviano si ritrova fascista

19 aprile 1921, squadristi all'assalto e Taviano si ritrova fascista
di Remigio MORELLI
6 Minuti di Lettura
Martedì 20 Aprile 2021, 09:57 - Ultimo aggiornamento: 29 Giugno, 08:29

Il 19 aprile 1921, alle 8.30, mentre la gran parte dei contadini sono nei campi, circa 500 squadristi di Taviano e dei paesi vicini in divisa, armati di manganelli, pistole e pugnali, si concentrano in piazza S.Martino. Uno squillo di tromba e si schierano in fila. Alla testa del corteo l'avvocato Oronzo Portaccio insieme a un gruppo di ex combattenti, arditi e sottufficiali. Cantando La Disperata, l'inno dei legionari di Fiume, sventolando gagliardetti e tricolori, il corteo si avvia verso piazza municipio. Qui giunti, i dimostranti estraggono i pugnali al grido di a noi!. Alcuni di essi irrompono nel palazzo comunale, fanno sgomberare armi alla mano gli impiegati e il segretario, si fanno consegnare le chiavi del portone e le affidano al commissario di polizia. I locali carabinieri, al comando del maresciallo Boccuzzi, osservano senza intervenire: anzi, ai 30 militari che giungeranno di rinforzo da Gallipoli nelle prime ore del pomeriggio, sarà affidato dal sottoprefetto di Gallipoli il compito esclusivo di vigilare affinché «leghisti e socialisti non diano seguito ad atti di reazione inconsulta». La stessa mattina, con un telegramma, l'avvocato Portaccio informa il prefetto: «Questo Fascio d'ordine, non intendendo sopportare oltre il regime bolscevico di questi amministratori comunali, ha occupato il palazzo comunale».

L'amministrazione di Gallipoli

Cadeva così cento anni fa, il 19 aprile del '21, sotto la violenza squadristica, l'unica amministrazione socialista del circondario di Gallipoli nel primo dopoguerra guidata dall'avvocato Rodolfo d'Ambrosio e si insediava quella amministrazione «che fu la prima fascista del Regno d'Italia», come ricorderà Achille Starace in un'adunata a Gallipoli nel dicembre 1925, rievocando l'impresa dei camerati tavianesi e come riportò il Corriere delle Puglie del 29 ottobre 1922: «Taviano, nel capo di Leuca, è stato il primo comune d'Italia conquistato dai fascisti dopo aver cacciato l'amministrazione socialista che governava il paese e a sindaco si ha l'avv.O.Portaccio, segretario politico provinciale della Federazione fascista».

Il fascio di Taviano, costituito il 10 aprile 1921 con l'adesione di quasi tutti i proprietari terrieri, è tra i più rilevanti della provincia per attivismo e consistenza numerica: circa 300 aderenti su una popolazione di 4.500 abitanti, guidati da un direttorio di 37 squadristi (Lecce ne contava solo 82 nel '21), in gran parte arditi ed ex combattenti, capeggiati dal trentaduenne avvocato Portaccio, esponente di punta del fascio salentino, e presieduta dall'avvocato Alessandro Scategni, ex sindaco e rappresentante dell'ala moderata dell'establishment cittadino, a riprova dell'articolata composizione del blocco d'ordine che si raccoglieva intorno al partito fascista.

La composizione sociale degli aderenti riflette il connotato classico del fascismo agrario del sud, ispirato e finanziato dal notabilato locale come reazione al movimento contadino e socialista, molto forte in Taviano.
Nel febbraio 1920, il nucleo storico dei socialisti aveva riaperto la sezione del partito. In agosto, era stata ricostituita la Lega di miglioramento, fondata da D'Ambrosio nel 1902, a cui l'adesione di massa di oltre mille contadini conferiva una forza contrattuale determinante all'interno della commissione comunale di avviamento al lavoro e nella definizione delle assunzioni e dei salari. Ma l'elemento scatenante della reazione padronale fu la schiacciante vittoria elettorale dei socialisti nelle elezioni amministrative del 3 ottobre 1920: la lista del Psi, capeggiata da Rodolfo d'Ambrosio, aveva portato in consiglio comunale 16 consiglieri su 20. Una sconfitta inaspettata e umiliante per la vecchia classe dirigente e i vecchi notabili, sempre più insofferenti dell'acceso rivendicazionismo salariale dell'organizzazione bracciantile sostenuta e ispirata dal governo cittadino.

La vittoria socialista venne vissuta come un vulnus intollerabile, una svolta epocale nel secolare ordine sociale, un radicale ribaltamento dei ruoli tra ceto dominante e classi subalterne, un'anomalia inaccettabile che doveva essere sradicata con ogni mezzo. L'irruzione del movimento fascista sulla scena politica del dopoguerra offriva la sponda ideologica e l'avallo morale al revanchismo dei ceti dominanti. Lo scontro politico, acuito anche dall'aperta ostilità personale e professionale verso il sindaco dall'emergente Oronzo Portaccio, «assai inferiore a lui per intelligenza e per cultura generale e giuridica», come annotava il sottoprefetto di Gallipoli in un rapporto al prefetto del settembre 1921, andrà assumendo connotati sempre più violenti.

La reazione agraria si dispiega nel boicottaggio dei decreti sul lavoro, dei concordati, degli accordi sottoscritti in sede di commissione.

Più subdolamente, nel tentativo di erosione del consenso della Lega con il rifiuto dell'ingaggio per gli aderenti e la promessa di lavoro e concessioni di colonia per chi se ne distacchi. Un'autentica provocazione, destinata ad alimentare una tensione sociale permanente. La Lega richiama i lavoratori all'unità di classe: accade spesso che i braccianti assunti, rifiutino l'ingaggio loro assegnato per solidarietà con gli esclusi. La risposta alle agitazioni, che si susseguono per tutto l'inverno, è la progressiva riduzione dell'offerta di lavoro, fino alla serrata decisa dai proprietari terrieri dopo il massiccio sciopero del 14 aprile.

La tensione sociale, altissima sul terreno sindacale, registra una drammatica accelerazione sul terreno politico amministrativo, in conseguenza dell'iniziativa moralizzatrice del sindaco. Così D'Ambrosio riassumerà il clima di quei mesi in una successiva memoria del 1946: «Fui chiamato per instaurare ordine e moralità negli uffici pubblici. Riuscì allora, a fatica, ad imprimere un andamento di onestà e di ordine nel caos della gestione annonaria e repressi le ladrerie che vi si compivano. Riuscì a controllare con rigore la distribuzione, i prezzi, i quantitativi e resi quella gestione attiva da fortemente passiva che era. La piccola folla dei profittatori recalcitrava e si agitava. E nacque il fascio. Subito prese posizione contro la mia amministrazione».

L'epilogo è fatale. L'assalto al comune, le dimissioni del sindaco e della giunta estorte con le minacce fisiche, le lettere minatorie, l'inerzia dei poteri pubblici nella difesa della legalità costituzionale, offrono allo storico l'oggettiva percezione documentale di un'impresa programmata e praticata con cura, decisa dall'alto con calcolata determinazione.

Nei giorni successivi la reazione armata si dispiega violenta. Come era avvenuto un anno prima a Nardò dopo la fiammata della Repubblica neritina', il paese è in balìa dell'azione criminale delle bande squadristiche, nella complice inerzia delle forze dell'ordine. La sede della lega viene devastata. Molti contadini, aderenti alla lega, vengono attaccati e colpiti. Gaetano Mondatore viene percosso a sangue; Pantaleo Padula è ridotto in fin di vita a colpi di randello con le costole e il cranio fracassati. Sparano a Rocco Bonatesta colpendolo a un piede; Giovanni Serra, consigliere comunale socialista, è colpito al fianco da un proiettile nei pressi dell'Immacolata mentre rientrava a casa la sera; Carlo Scarcella viene massacrato di botte. I giovani Adolfo De Mitri e Antonio Sansò, che si rifiutano di inchinarsi al gagliardetto, vengono percossi a sangue. Il 23 aprile una squadra di fascisti organizza l'assalto alla casa del sindaco D'Ambrosio e solo grazie all'intervento tempestivo dei contadini, accorsi a presidiarla, si eviterà il peggio. La sera del 1° maggio l'on.Mario Assennato dovrà parlare al chiuso perché la piazza gli verrà preclusa per motivi di ordine pubblico.

Il 12 luglio, verso sera, un gruppo di contadini tenta di reagire alle aggressioni. Guidati da Salvatore Trisolino, dai fratelli Borrega, Giorgio Previtero, Emilio Parlati e Cosimo Esposito, armati di randelli, avanzano dal corso Vittorio Emanuele verso piazza S. Martino, dove si trova la sede del fascio. Qui giunti, tentano l'assalto. È un'azione disperata e sterile: i fascisti, ben armati, hanno il sopravvento. Emilio Parlati è colpito da un colpo di pistola alla schiena. Molti i feriti da percosse. Quasi tutti verranno arrestati e tradotti nel carcere di Lecce. Nel processo-farsa del 1922, anche D'Ambrosio verrà processato perché accusato, incolpevole, si essere il mandante dell'impresa. Bisognerà aspettare il 1945 per ottenere una revisione del processo e la piena assoluzione degli imputati.

Con i capi in prigione, un cupo sentimento di sconfitta e di paura prende il posto della esaltazione dei mesi precedenti. La Lega cessa di esistere. Le elezioni amministrative dell'ottobre 1921 si svolgono in un clima di intimidazione e di ricatto. L'astensione supera il 40% dell'elettorato, suggellando la disfatta del movimento contadino. Il listone che accoglie in blocco gli esponenti vecchi e nuovi della borghesia agraria e professionistica cittadina, stravince le elezioni.

Il 23 dicembre 1921, Oronzo Portaccio è eletto sindaco. A Taviano il fascismo comincia un anno prima della marcia su Roma.
 

© RIPRODUZIONE RISERVATA