2020, il futuro sognato che non è mai arrivato

2020, il futuro sognato che non è mai arrivato
di Stefano CRISTANTE
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Domenica 5 Gennaio 2020, 18:24 - Ultimo aggiornamento: 19:47
La cifra tonda 2020 ha un aspetto fantascientifico, anche se era il 2019 l'anno in cui si svolgeva la vicenda di Blade Runner, forse la più nota universalmente nel campo della fiction sul futuro dopo 2001 Odissea nello spazio, e la più vicina al nostro immaginario (i replicanti, l'ingegneria genetica, il cambiamento climatico, eccetera). Ma già qui cominciano i dubbi: com'è possibile che ci sbagliamo così evidentemente quando immaginiamo il nostro futuro?
Si possono fare molti esempi a riguardo, a partire dal film di Kubrik, uscito nel 1968 insieme al romanzo omonimo di Arthur Clarke, e narrante una storia ambientata nel 1999. Un fine millennio assai diverso da quello che abbiamo conosciuto, perché nella fiction raggiungere Giove era impresa già pianificata e riuscita per l'umanità (mentre per noi dopo l'allunaggio la presenza umana nel sistema solare è sempre stata solo virtuale, per interposto oggetto tecnologico).

Se passiamo a Blade Runner, il 2019 era stato immaginato alla fine degli anni '70 del Novecento dal geniale scrittore Philip Dick e poi rielaborato cinematograficamente da Ridley Scott. Il particolare più azzeccato e che costituisce una sorta di trait d'union tra la nostra società e quell'opera è la presenza di grandi schermi diffusi nella metropoli, e che all'uscita del film (1981) colpì lo sguardo e la mente dello spettatore.
Anche nel nostro mondo gli schermi affollano le strade di grandi città, ma non c'è pubblicità che inviti all'emigrazione nelle colonie extra-mondo, né si vedono in giro automobili volanti, né replicanti.

La Cnn, uno dei principali network americani dell'informazione, ha recentemente scandagliato i propri archivi per far emergere le previsioni che si fecero anni fa sul nostro 2020. In genere, indovini ottimisti hanno immaginato un futuro per ora inavvicinabile al genere umano.

Nel 2004 lo scienziato e divulgatore americano Raymond Kurzweil dichiarò che nel 2020 dei nanorobot inviati nel nostro corpo avrebbero estratto dal cibo ingerito solo i nutrienti precisi di cui necessita il nostro organismo, facendo scomparire di botto una quantità significativa di malattie e di inestetismi.

Nel 2009, il futurologo Pearson prevedeva che nel 2020 avremmo indossato una pelle sintetica capace di registrare e di riprodurre le sensazioni, mentre nel 2006 un'inchiesta promossa dalla Elon University (North Carolina) ne faceva l'anno chiave per la sostituzione del lavoro umano con quello robotico.

Eric Anderson, ingegnere aerospaziale, nel 2009 vedeva per il 2020 viaggi intorno alla Luna disponibili commercialmente, mentre lo scienziato del Mit Marvin Minsky nel 2000 immaginava per il nostro tempo la pratica illegale di massa dell'acquisto al mercato nero di campione genetici per allungarci la vita.
Se poi torniamo più indietro, quando cioè il 2020 era considerato ancora molto lontano, le profezie diventano quasi surreali: nel 1967 il premio Nobel per la chimica Glenn Seaborg dichiarò che nel 2020 ogni umano avrebbe avuto un robot nell'armadio delle scope e, qualche anno prima, nel 1964, un gruppo di esperti convocati dalla Rand Corporation, celebre think tank statunitense, convenne che nel 2020 gli umani avrebbe allevato scimmie come aiuto domestico e come autisti.

Ancora prima, nel 1913, il New York Times pubblicò con grande evidenza un articolo in cui il 2020 era dipinto come l'anno in cui avrebbe trionfato il cibo che equivaleva a un destino terrificante, cioè riso e verdure, con rinuncia perpetua alla carne. Con buona pace di McDonald's e di Fried Kentucky Chicken.

No, non è andata così, non sta andando così. Perché sbagliamo così grossolanamente? Le risposte sono tante, a cominciare dall'insorgere di variabili (fattori di cambiamento) innumerevoli, che si moltiplicano a ogni incedere di complessità, a ogni infittirsi della ragnatela della globalizzazione. Il rimbalzo tra stimoli ed eventi tecnologici, economici, finanziari, eccetera può provocare improvvise cristalizzazioni in qualsiasi area del pianeta, contando sull'effetto di semi-immediato rovesciamento sul resto del mondo. In questo modo misurare il futuro diventa un insieme di piccoli e grandi bivi sull'efficacia di un elemento di cambiamento, senza poter avere molto controllo sul tragitto dell'innovazione.

Per esempio nessuno poteva pensare, a metà degli anni '90, che il telefono cellulare avrebbe comportato una diffusione planetaria nel giro di solo due decenni, e che l'organizzazione collettiva avrebbe risentito in modo così evidente della nuova invenzione, radicalizzatasi nella versione intelligente (smart) della comunicazione telefonica.
Nello stesso tempo, lo sforzo di immaginazione del futuro derivava dalla sensazione senz'altro positiva con cui l'umanità guardava al suo tempo, e ne immaginava sorti nuove e sempre migliori. Tutto era da ancora da scrivere, ma il genere umano aveva la missione di progredire. I dati sul rallentamento dello sviluppo e sull'acuirsi delle disuguaglianze ci ricordano che l'ideologia del progresso ha giocato a vantaggio di chi voleva un potere più concentrato. Queste zone del potere prevedono investimenti giganteschi sul futuro, ma è un futuro di casta, dove il cuore pulsante del progresso, la tecnologia, è profusa in quantità per un pubblico esclusivo. Ma per il resto del mondo, fuori da questi elementi insulari di altissimo livello, la sensazione è l'arresto del progresso e del suo mito.

Se però dovesse avverarsi la presa di coscienza di massa sullo stato del pianeta auspicata da scienziati ed ecologisti, la percezione e il design del futuro prenderebbero la strada di una possibile svolta: non importa che ci spostiamo con macchine volanti o che il nostro comportamento sia regolato da algoritmi. Importa che curiamo la nostra presenza nel mondo, riconquistando un atteggiamento collettivo di mitigazione dei danni provocati dalla nostra modernità alla natura. Abbiamo avuto, nel corso dei decenni, una fantascienza soprattutto tecnologica. L'immaginazione dovrà invece correggere la propria visione secondo uno sforzo sociale ed ecologico, proprio ora che i nostri calendari sembrano dire, con le loro cifre conturbanti, che la nostra esistenza è già nella fantascienza.
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