Identità politica cercasi per la sinistra sconfitta, il libro di Cannavò

Identità politica cercasi per la sinistra sconfitta, il libro di Cannavò
di Francesco FISTETTI
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Lunedì 5 Giugno 2023, 05:05 - Ultimo aggiornamento: 06:45
La netta affermazione, in queste elezioni comunali, del centrodestra a trazione FdI, unitamente alla débâcle di Pd e M5S per essere pienamente compresa, va collocata nell’attuale trend dell’ascesa dell’estrema destra in Europa e nel mondo, che abbiamo segnalato su queste colonne l’11 maggio scorso discutendo il saggio di Alain Caillé, “Extrême droite et autoritarisme partout, pourquoi?”. Il successo crescente della destra e il declino progressivo della sinistra sono due facce della stessa medaglia di quel processo frastagliato e contraddittorio che chiamiamo globalizzazione, caratterizzato dal predominio incontrastato del capitalismo finanziario con tutte le conseguenze che ne derivano in termini di competizione feroce tra gli Stati per il controllo delle risorse del pianeta, il cui sbocco ineluttabile è la guerra, di aggravamento delle diseguaglianze sociali e di distruzione della natura.
Ma per andare al di là delle polemiche del giorno sui risultati di questa tornata amministrativa estremamente deludenti per il Pd al punto da scatenare un tiro al bersaglio contro la neo segretaria Schlein da parte di alcune componenti interne, conviene assumere una prospettiva più distaccata e interrogarsi su che cos’è la sinistra italiana e, più radicalmente, se c’è ancora una sinistra in Europa e nel nostro Paese e di che tipo.
Per cominciare a rispondere a queste domande, davvero prezioso è il libro di Salvatore Cannavò, “Si fa presto a dire sinistra. Tre anime in cerca di identità”, poiché per la prima volta viene compiuta una ricognizione delle tormentate vicende della sinistra italiana successive allo scioglimento del Pci ad opera di Achille Occhetto non come una sequela di meri fatti di cronaca, ma alla luce di una griglia interpretativa ben precisa che ha il pregio di coniugare ricostruzione storica e teoria politica. L’ipotesi che Cannavò mette alla prova è quella dell’esistenza di almeno tre sinistre che hanno attraversato la storia italiana dopo il 1989 e il crollo del “socialismo reale”, volta a volta sovrapponendosi e spesso confliggendo aspramente l’una con l’altra. La prima è la sinistra riformista e liberale, la seconda quella democratico-sociale, la terza è quella “socialisteggiante”. Non ci sono linee di demarcazione molto nette tra queste aree o costellazioni ideologico-politiche che spesso hanno convissuto e scontrato all’interno delle stesse formazioni politiche come il Pd e il M5Stelle e perfino negli stessi raggruppamenti della sinistra sociale e anticapitalistica. La sinistra liberale e riformista è quella che, dopo il diluvio del 1989, accetta come certezze incrollabili i princìpi del libero mercato, della centralità dell’impresa e della bontà intrinseca della globalizzazione economica. 
Se dovessi fare il nome di un economista appartenente al Pci che più si è prodigato per far nascere il Partito Democratico con una forte impronta di questo tipo, liberale e liberista, è stato Michele Salvati. Proprio questa cultura ha prevalso dopo la svolta occhettiana della Bolognina per approdare al partito della nazione di Renzi. L’intenzione di Occhetto era quella con il cambio del nome di spostare il Pci su posizioni socialdemocratiche. Ma il vero nodo storico-politico, che Cannavò manca di focalizzare, è che Occhetto non solo non ebbe il coraggio di porre a tema la trasformazione socialdemocratica del vecchio Pci, ma soprattutto non comprese la crisi profonda della socialdemocrazia europea, che proprio in quel momento stava abbandonando il compromesso keynesiano dello Stato sociale e ripiegando con Blair della “terza via”, teorizzata da Giddens, e, poi, con Clinton dell’“Ulivo mondiale”, propugnata da Prodi e D’Alema, verso l’adesione incondizionata ai dogmi del liberismo. 
Che D’Alema nel 2022 abbia eufemisticamente giudicato una “grossa svista” questo slittamento ideologico-politico, solennemente celebrato nel convegno fiorentino del 1999 sul “riformismo nel XXI secolo” cui parteciparono Blair, Clinton, Jospin, Schroeder, cambia poco alla sostanza della questione. Vale a dire, la sfida epocale a cui né Occhetto né tanto meno i suoi successori – Veltroni del Lingotto nel 2007 che spiana la strada a Renzi del partito della nazione e del primato dell’impresa con il Job Act – riescono a tener testa, è quella di una ridefinizione o di una radicalizzazione della tradizione socialdemocratica europea. Compresa la grande eredità culturale e politica di Antonio Gramsci che viene totalmente dimenticata. Tanto più che, come ha ricordato Luciano Canfora in un libro recente (“La metamorfosi”, Laterza 2021), era stato Togliatti nel secondo dopoguerra, specie dopo i fatti di Ungheria del 1956, a scegliere la socialdemocrazia come “prospettiva strategica” (la via nazionale al socialismo). Questo significa che, al di sotto delle divergenze apparenti che hanno dilaniato la storia del Pd, vi è stata una continuità di fondo tra centrodestra e centrosinistra nella lunga catena delle controriforme che hanno smantellato le tutele del mercato del lavoro e trasferito sempre più ricchezza ai redditi più alti: dal pacchetto Treu del 1997 alla riforma Biagi con il governo Berlusconi nel 2002 fino a quella delle pensioni della Fornero con il governo Monti. 
I cosiddetti governi tecnici delle “larghe intese”, che culminano nel governo Draghi, sono storia troppo recente per non rendersi conto che il populismo di sinistra del M5Stelle, con tutti i suoi limiti culturali e politici, ha svolto un ruolo di supplenza soprattutto di quella sinistra democratico-sociale e “socialisteggiante” che era il vecchio Pci. Una volta che Schlein è diventata segretaria del Pd, Cannavò solleva giustamente l’interrogativo se per caso tra Pd e M5Stelle si aprirà una concorrenza per occupare lo spazio di una “sinistra democratica”o “socialisteggiante”. Ma non è certo questa la strada di una “sinistra possibile” capace di immaginare la transizione verso una società post-neoliberale. C’è una lunga marcia che la sinistra europea e mondiale, non solo italiana, dovrà percorrere, e un grande lavoro da svolgere in termini di analisi e di riorganizzazione, se vuole ritrovare le ragioni della sua esistenza storica. 
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