"Fiordicotone", la vita dopo l’incubo Shoah. Ecco il nuovo romanzo di Paolo Casadio

"Fiordicotone", la vita dopo l’incubo Shoah. Ecco il nuovo romanzo di Paolo Casadio
di Claudia PRESICCE
5 Minuti di Lettura
Venerdì 3 Febbraio 2023, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 17:35

“Perché mai dovrebbero arrestarci?” le chiedeva Omero la sera, nell’intimità del letto, abbracciati l’uno all’altra. “Non c’è una ragione logica al mondo. Rispettiamo tutte quelle leggi idiote” rispondeva Alma… Eppure… Eppure in una gelida mattina di metà dicembre del 1943 a Lugo, adempiendo al dovere che imponevano proprio quelle “idiote” leggi fasciste, due uomini in divisa andarono a prelevare da casa Omero, Alma e la madre di lei. L’unica scampata al viaggio verso il campo di concentramento in Polonia fu Velia, la figlia prontamente nascosta da un passante grazie alla prontezza di Alma.

È l’inizio di un romanzo storico intenso e da leggere tutto d’un fiato dal titolo “Fiordicotone” firmato da Paolo Casadio che verrà presentato oggi - 3 febbraio - e domani - 4 febbraio - tra Lecce e Nardò. Va subito detto che questa storia non racconta l’Italia nazifascista, ma quello che ne restò dopo il 1945. Ricostruisce piuttosto l’avventura di chi da quei campi di morte (che pure sono descritti nelle aberrazioni principali) è tornato e ha cercato le tracce di una vita cancellata. Racconta chi ha cercato di restituire memoria ad un tempo normale raschiato via in pochi minuti dopo la deportazione, annullato come le fotografie e le suppellettili di casa trafugate o bruciate sommariamente, e spesso da amici dei giorni prima. È l’Italia liberata a fare soprattutto da sfondo, i suoi meccanismi farraginosi e pure efficienti, un paese che si rimette in moto nel disordine e nella complessa necessità di rialzarsi grazie ad una rete di umanità troppo poco raccontata. È il paese del secondo dopoguerra, colpito nelle sue certezze e appena risvegliatosi dal ventennio di una dura dittatura terminata con l’infamia del razzismo più odioso: verso il vicino di casa, la maestra, il libraio o il compagno di banco degli anni prima mandati a morire lontano, arrestati senza aver commesso alcuna illegalità.

Storia di un ritorno a casa

Ed è così, in quell’Italia colpita al cuore, che nel giugno del 1945 Alma, donna dalla bellezza salvifica, ritorna da Auschwitz a Lugo di Romagna. È quindi la storia di un ritorno a casa, alla vita, a ciò che resta di un paese distrutto dalla guerra e di una famiglia che viveva felice tra i profumi romagnoli, l’amore e la cultura del rilegatore Omero, di sua moglie Alma la maestra e di una bimba bianchissima di capelli e d’anima di nome Velia. Alma, come tanti, non esce dal campo nei giorni che viene liberato: il “deserto silenzioso” che ha incontrato in quella terra e che la lascia andare via, risparmiata per caso, le resta dentro a lungo. A chi è tornato è rimasto un simile gelo sottopelle, indelebile come il tatuaggio numerico sul braccio. Ed simile è rimasto anche il senso di colpa per avercela fatta, mentre tanti altri, troppi, sono restati lì per sempre. Nell’Italia liberata in cui torna Alma si ritrova guardata con sospetto, il legittimo sospetto di trovarsi di fronte ad una collaborazionista, qualcuno che ha venduto altri per salvarsi la pelle. E c’è dentro tutta la narrazione della difficoltà a reintegrarsi, a ricominciare di un paese intero preso a tradimento dalla storia, trascinato verso la deriva dell’umanità che il fascismo aveva annunciato per anni: tra la violenza di Stato crescente, la strafottenza legalizzata del senso di superiorità dei miserabili, lo squallore della prepotenza. La vita di Alma sembra scomparsa in quei “luoghi di mondi morti”, come li chiama lo scrittore che manifesta una partecipazione linguistica avvolgente, con un ritmo che tiene alta l’attenzione senza mai tracimare nella retorica.

Una storia umana, una grande storia italiana

Il romanzo storico racchiuso in queste pagine è veramente una storia umana, prima che una grande storia italiana. Ricorda molto l’andamento e la tensione emotiva di grandi libri come “La Storia” di Elsa Morante, troppo poco letto e ricordato pur essendo una pietra miliare della letteratura italiana del ‘900. Seguire la storia di Alma è un po’ come seguire quella di Ida della Morante: entrambe sono maestre ed entrambe lotteranno come leonesse per i propri figli, prima di tutto. “Fioridicotone” si sofferma soprattutto sul tempo del ritorno a casa, ad un luogo che non esiste più perché le confische delle case degli ebrei sono state passivamente accettate: altri italiani hanno acquistato beni immobiliari messi in vendita e li hanno poi regolarmente abitati (salvo cause lunghe ecc). Se la strada del ritorno è stata lastricata di difficoltà, ha conosciuto anche solidarietà, gesti che oggi sembrerebbero episodi di un film per bambini: nessuno darebbe oggi da mangiare o ospitalità ad un reduce di guerra trovato a vagare per strada, senza soldi e senza casa.

In quegli anni fu cosa normale, esisteva una rete di trasporti, di accoglienza, di solidarietà, ma questa è un’altra storia.

Tornando ad Alma, senza svelare troppo un’avventura che va letta interamente, sono le sue riflessioni a raccontare come si fa. “Chi torna dall’inferno ha bisogno allo stesso modo di consolazioni abituali e d’illusioni. Ha bisogno di vita spicciola, ripetitiva nel suo domani. Quei ritmi rassicuranti con cui aveva scandito la sua vita con Omero: il caffè domenicale, la spesa al Pavaglione, il pranzo, la lettura. Ogni tanto una cena tra amici. E dopo, con l’arrivo di Velia, la ritualità delle poppate, le passeggiate con la carrozzina…”.

Si può avere paura anche a tornare a casa da un tempo cancellato, dalla brutalità guardata dritta negli occhi di uomini che si divertono a violentarti ogni giorno. Si può avere paura perché la tua bellezza ti ha salvato dalla morte fisica, ma ti ha devastato l’anima. “Troppo forte era il suo pessimistico realismo e si diceva, muta, come il problema non fosse stato il voltar pagina ma l’aprirla. Quel che era successo poteva accadere ancora. Non vedeva alcuna speranza. In questo cupo pessimismo registrava uno dei cambiamenti della sua natura solare. L’unica possibilità era fuggire. Non credeva ai vincitori come non aveva creduto ai vinti. Col tempo si sarebbero confusi tra loro, le metastasi del male riapparse. Sarebbe fuggita da quell’immenso cimitero che era divenuta l’Europa. Con Velia…”.

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