A separarle sono oltre 6 mila chilometri, più una manciata di millenni. Eppure, laggiù, tra le sabbie del deserto di Lut e le alture del Baluchistan, in Iran, l'impressione è di trovarsi davanti a un'altra Pompei. La «Pompei d'Oriente», come la chiamano gli archeologi, perché come nella città romana, anche qui tutto è rimasto immobile, «immortalato» in un'istantanea del tempo. «Conservato non dalla lava, come accadde con l'eruzione del Vesuvio. Ma dalla sabbia del deserto salato di Lut, uno dei più inospitali della terra».
A raccontarlo è Enrico Ascalone, direttore scientifico del Progetto archeologico multidisciplinare internazionale a Shahr-i Sokhta, avviato nel 2016 dal dipartimento di Beni Culturali dell'Università del Salento che lo finanzia con il ministero degli Affari Esteri ed enti privati, e che lavora fianco a fianco con i colleghi della spedizione archeologica diretta da Mansur Sajjadi per l'Iranian Center for Archaeological Research.