Quella "Settimana" che dura da 90 anni

Quella "Settimana" che dura da 90 anni
di Raffaele ARAGONA
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Mercoledì 19 Gennaio 2022, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 10:11

Era il 1932 quando l’aristocratico sardo ingegner Giorgio Sisini, conte di Sant’Andrea, dette inizio a una pubblicazione che ancor oggi non mostra segni di stanchezza. Innamoratosi dell’austriaca Idel Breitenfeld, divenuta poi sua moglie, Sisini si imbatté nel periodico “Das Rätsel” e decise di “tradurlo” nella “Settimana Enigmistica”, ben intuendo il successo che avrebbe riscosso: domani la rivista uscirà con un numero speciale per il compimento dei 90 anni.

L’invenzione delle “parole incrociate” era del 1913, quando il giornalista di Liverpool Arthur Wynne pubblicò il suo primo schema sulle pagine del “Fun”, supplemento domenicale del “New York World”. La novità raggiunse l’Europa. Se in Francia il gioco interessò scrittori come Tristan Bernard e Robert Scipion, in Italia destò l’attenzione di Emilio Cecchi, Ferdinando Palazzi e Valentino Bompiani, cui si deve la denominazione “cruciverba”. Nel febbraio del 1925 “La Domenica del Corriere” presentò un primo esempio di “Indovinello di parole incrociato” e, a Napoli, “Il Mattino Illustrato” di Antonio Scarfoglio, figlio del fondatore Edoardo, nel numero 48 del 1927, cominciò ad accogliere le “parole in croce”.

Il 23 gennaio 1932 inizia l'avventura

Qualche anno dopo, il 23 gennaio 1932, uscì il primo numero di “La Settimana” con una copertina che ricalcava quella del “Das Rätsel”, con la medesima immagine dell’attrice messicana Lupe Vélez; la prima dei personaggi che ancor oggi vi si avvicendano settimanalmente ruotando negli angoli dello schema, con l’alternanza di un volto maschile e di uno femminile, e con i colori della testata (rosso, blu e verde) in successione ordinata.

Non passò molto tempo e si moltiplicarono i tentativi di imitazione del settimanale italiano, primo nel genere anche per diffusione e qualità, il quale deve soltanto farsi perdonare l’indicazione di “parole crociate” in luogo di quella corretta di “parole incrociate”; e anche l’uso improprio dell’aggettivo “enigmistica” causa dell’equivoco, ormai consolidato in Italia, per cui il termine non rinvia più all’originario significato di “enigma”. Il successo del nuovo passatempo suscitò le reazioni degli enigmisti cosiddetti “classici” trincerati nelle loro posizioni e un illustre avvocato napoletano, Beniamino Foschini, compose l’anagramma “Parole incrociate? = Cielo per carità, no!”. 

Strumento di diffusione nozionistica

In tempi più recenti Guido Almansi non esitò a sostenere che le parole incrociate «promuovono lo status quo linguistico e culturale». In verità, non si può sostenere che esse facciano cultura, ma è pur avventato ritenerle responsabili di guasti linguistici. Alla “Settimana Enigmistica” resta incontestato il merito di aver contribuito a una sorta di acculturazione, sia pure nozionistica, ma comunque istruttiva; le sue pagine, per altro, contengono anche rubriche varie di curiosità e di informazione, senza riferimenti a fatti politici o a elementi sociali nei quali possa ravvisarsi implicito giudizio morale.

Alla morte di Giorgio Sisini (1972) la direzione della rivista passò a Raoul de Giusti e, dopo qualche anno, al nipote dell’ingegnere, Francesco Baggi Sisini, che la regge ancor oggi insieme con Alessandro Bartezzaghi. Sì, Bartezzaghi, fratello di Stefano Bartezzaghi, semiologo, giornalista e scrittore. Il Bartezzaghi più conosciuto dai lettori della “Settimana” è, però, Piero Bartezzaghi (1933-1989), padre dei due e autore del cruciverba di pagina 41, seguitissimo dai lettori che per oltre trent’anni si sono appassionati a quel diabolico “schema libero”; Piero vi mostrava una continua ricerca di nuove combinazioni per la grande “piazza centrale” e l’adozione di espressioni nuove, di frasi di più parole e di vocaboli stranieri.

Tutto ciò sempre con un attento equilibrio delle caselle bianche e nere, limitate queste nel numero e ben posizionate.

Anche i “rebus” hanno trovato terreno fertile nella “Settimana”, passando dalla semplice successione di immagini sconnesse a una scena unitaria e verosimile; la loro modalità si è via via evoluta grazie al dinamismo suggerito dal disegno, ad esempio, con la novità del “rebus stereoscopico” che necessita di due o più vignette per mostrare il succedersi dell’azione da rilevare.

Milioni di persone sostano per sette giorni nelle pagine della “Settimana”, giocando, ma anche nutrendosi di una sorta di cultura su un periodico “conservatore”: le sue linee essenziali non sono cambiate in tutti questi anni. Rare le innovazioni, come la discreta introduzione del colore e qualche piccola concessione all’attualità. Un giornale “immobile”, insensibile al passare del tempo, tanto che ogni numero è pronto con molto anticipo; se non fosse per il numero impresso in cima a sua ogni pagina, sarebbe forse impossibile riconoscerne la data, presentandosi sempre come qualcosa fuori del tempo, quasi come avverte Paolo Conte nella sua canzone “Sotto le stelle del jazz”: «Duemila enigmi nel jazz,/ ah, non si capisce il motivo/ nel tempo fatto di attimi/ e settimane enigmistiche…».

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