San Gennaro e il miracolo che tiene viva una città

San Gennaro e il miracolo che tiene viva una città
di Luciano Maria PAOLI
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Mercoledì 14 Aprile 2021, 19:39 - Ultimo aggiornamento: 17 Febbraio, 05:02

Per quanto si possa essere miscredenti, indifferenti o atei senza freni, bisogna sempre fare i conti con san Gennaro, con il suo miracolo e con il suo sangue. E non solo all'ombra del Vesuvio, dove il culto secolare del vescovo martirizzato a Pozzuoli nel 305 dopo Cristo è sempre vivo. Perché, appunto, per quanto si possa essere devoti alla logica, bisogna sempre fare i conti con il mistero. Ogni napoletano lo sa. E ogni 19 settembre che il Padreterno manda in terra, il primo pensiero tra i vicoli, le piazze, gli uffici e i bar della città è sapere se san Gennaro il prodigioso scioglimento c'è stato. Non sarà vero, sarà un trucco clericale, ma che costa crederci? Il miracolo è rassicurante e gratuito. E mette di buonumore.

Intanto c'è l'attesa per il prodigio di primavera, che avviene nel sabato precedente la prima domenica di maggio che quest'anno coincide con la festa dei lavoratori. E' uno dei tre appuntamenti sacri che, secondo la scaramanzia popolare, riguarda i destini del mondo e non quelli strettamente collegati alla città (gli altri due sono ovviamente il 19 settembre e il 16 dicembre).

San Gennaro è così indissolubilmente legato alla storia di Napoli da essere, assieme al suo acerrimo nemico, il Vesuvio, uno dei simboli internazionali della città che non conosce confini geografici. Il suo sangue è come la lava del vulcano, che però vivifica senza distruggere. Ma, soprattutto, san Gennaro tiene sempre vivo il paganesimo incoercibile di Napoli, la città più greca ed epicurea d'Italia, e fa risplendere il dorato barocco della metropoli più orgogliosa e spagnola della Penisola.

E' questo il punto di partenza e anche uno dei punti d'arrivo dell'“Elogio di san Gennaro” scritto (e riproposto dopo dieci anni in una versione aggiornata) da Pietro Treccagnoli, giornalista, devoto laico del principale patrono di Napoli. Lo ha stampato il giovane e coraggioso editore Langella (librario indipendente e promotore instancabile del rilancio di Port'Alba, la storica strada dei librai della capitale del Sud). Ed è un'edizione particolare assai. Perché con il formato a clessidra propone la versione inglese del testo, divisa dall'originale italiano da un album fotografico di Sergio Siano (scugnizzo con l'occhio assoluto). Particolare anche la foto utilizzata per la copertina del libro, un'immagine scattata da Mario Siano (il padre di Sergio) che risale al maggio del 1971. La prefazione del volume, invece, è di Paolo Jorio, direttore del Museo del Tesoro di San Gennaro che, come è noto, è più ricco di gioielli e di storia di quello della Corona britannica.

L'elogio di Treccagnoli vuole essere una confessione di impotenza verso l'ignoto e un invito a chi non ha avuto la fortuna di nascere napoletano a godere del mistero che come il sole illumina questo paradiso abitato da diavoli.

E' un percorso molto personale che l'autore propone, un intreccio tra la storia di una devozione religiosa, ma anche civica, perché Gennaro non è solo venerato dalla Chiesa come santo, ma è anche un cittadino di Napoli, patrono fisico e spirituale della città, anzi ne è il sindaco con l'aureola che la protegge dal mondo iperuraneo.

Treccagnoli parla del patrono, ma parla anche dell'animo napoletano, ricostruito attraverso un atteggiamento che oscilla sempre, quotidianamente, tra il fatalista e il possibilista. Il napoletano crede nel miracolo perché non si può mai sapere. Si è sotto il cielo e quello che appare impossibile, come lo scioglimento del sangue, può essere vero, inspiegabile ma vero. E allora, seguendo inconsciamente la scommessa di Blaise Pascal, capisce che tutto sommato crederci ne vale la pena, tanto non costa nulla e, nel Giorno del Giudizio al cospetto del Padreterno, aver venerato san Gennaro qualche indulgenza gliela farà guadagnare.

L'autore ricostruisce fede e riti e particolarmente la dinamica dello scioglimento che per secoli ha fatto litigare scettici e credenti. Il miracolo ha una propria fenomenologia complessa che va interpretata.
Mica c'è lo scioglimento e basta? È importante il colore, i tempi in cui avviene, la vivacità dell'ebollizione. Ne diede un catalogo in versi, a metà del Settecento, l'erudito Gennaro Radente. L'esplicativa e devota elegia in latino informa che se il sangue rosseggia si annunciano guerre, se le ampolline ribollono il ventre del Vesuvio può erompere, se nereggia bisogna temere indefiniti flagelli di morte, se resta troppo a lungo liquido preparatevi ad alluvioni e diluvi, se si rapprende la terra negherà i propri frutti, carestia, in una parola, se nel sangue liquefatto resiste un globo grumoso arriveranno non meglio specificati mali enormi come monti, se scolora c'è in agguato una terribile peste che colpirà uomini e greggi, ma, infine, quando spumeggia è il responso più felice, andate in pace, è fatta.

Che ci si creda o no, che si abbia fatto voto al razionalismo più duro e puro, che si confidi della mortalità dell'anima per liberarsi dal peso del mistero, tutto quello che volete, però, nel giorno del prodigio, quando a un napoletano dicono che san Gennaro ha fatto il miracolo si sente sicuramente più tranquillo.
Niente cambia, è vero, ma se san Gennaro il miracolo non l'avesse fatto, questo sgarbo, questo ammonimento lo tormenterebbe come un punteruolo nella fronte. Così, anche se non si crede, il miracolo si può desiderarlo. Meglio ancora, si può invocarlo. Soprattutto se non si ha fede. Perché il miracolo, ha scritto qualcuno molto acuto, serve per chi non crede. Chi crede non ha bisogno di miracoli. Crede e basta.
 

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