Storia di un eretico sotto l’Inquisizione in Terra d'Otranto

Storia di un eretico sotto l’Inquisizione in Terra d'Otranto
di Nicola DE FEUDIS
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Lunedì 2 Agosto 2021, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 17 Febbraio, 08:36

Una pagina sconosciuta della storia politico religiosa del Salento è venuta alla luce recentemente grazie alle ricerche d’archivio e alla pubblicazione di un libro su quella che è stata la presenza e l’attività dell’Inquisizione, l’Istituzione preposta alla tutela dell’ortodossia cattolica nell’antica Provincia della Terra d’Otranto, gli attuali territori di Lecce, Brindisi e Taranto fra i secoli XVI- XVIII. Il volume dal titolo “Innocente Innocentissima per la causa della Fede. L’Inquisizione in Terra d’Otranto - secoli XVI- XVIII”, è stato pubblicato, agli inizi di quest’anno, nella Collana di Cultura e Storia della Società di Storia Patria della Puglia diretta da Mario Spedicato docente dell’Università del Salento. L’autore è Aldo Caputo , sociologo, già docente di discipline economiche, nonché studioso della storia degli Ordini monastici nel Salento, come i Domenicani, i Celestini, i Teatini. 

Il volume


Il libro, di cui si è parlato in qualche altra occasione, contiene un’ampia casistica basata sulla documentazione superstite, conservata negli archivi locali di riferimento, in quelli canonici nazionali come l’Archivio della Congregazione per la Dottrina della Fede o in qualche caso presso istituzioni archivistiche estere. Da questo volume riportiamo quasi integralmente gli atti del processo contro Pompeo Delli Monti dei marchesi di Corigliano, condannato dall’Inquisizione e giustiziato a Roma a Ponte S. Angelo nel luglio del 1566.
Figlio di GiovanniBattista e di Maria Buccali, fu educato al mestiere delle armi, dove si distinse in più occasioni, come nella guerra di Smalcalda (1546-47) e in quella del Duca d’Alba contro Paolo IV, allorché fu ucciso un cognato del cardinale Saraceno, di cui fu accusato. Non sappiamo quando e dove avesse aderito alle idee riformate, che lo portarono alla morte.


È certo che fu inquisito due volte. La prima volta fu accusato dei seguenti reati:che si potesse magnare carne ogni giorno indifferentemente senza peccato non ostante la proibizione della Chiesa; che le indulgenze concesse dai Pontefici non erano valide; che l’autorità del Papa non era di alcun valore; che i sacerdoti potevano prender moglie senza peccato; che non c’era bisogno dell’intercessione dei Santi; che non esisteva il Purgatorio dopo la presente vita; che non era necessario confessarsi ai sacerdoti. Creduto veramente pentito, abiurò e riuscì a salvarsi.


La seconda volta, pur essendosi presentato spontaneamente, fu sottoposto a tortura – rigoroso essamine – e confessò di aver continuato a frequentare persone accusate di eresia: Gio. Francesco de Aloys, Pietro Cirillo et Gio. Angelo Cibullo. Fu accusato di aver dimenticato le promesse e di aver nuovamente creduto: che si potesse mangiare carne tutti i giorni indifferentemente; che i preti potessero prender moglie senza peccato; che le indulgenze et Giubilei non valessero niente; che non ce fosse Purgatorio; che il Papa non aveva autorità più di un semplice sacerdote et che non fosse Vicario di Cristo; che la confessione che si fa ai sacerdoti non fosse di precetto.
Come recidivo e falso convertito la sentenza emessa il 14 giugno fu la confisca dei beni, l’esclusione dalla comunità cristiana, la consegna al braccio secolare nelle mani del governatore di Roma Alessandro Palanterio.
Ma in un successivo esame del 3 luglio fu creduto in bono essere e bona dispositione e gli fu data la Comunione e la facoltà di fare testamento.


Nella biblioteca del Trinity College di Dublino si conserva la sua sentenza di morte letta in S.ta Maria sopra la Minerva la domenica del 23 giugno in presenza di una gran folla, mentre nell’Archivio romano di S. Giovanni decollato il verbale dell’assistenza prestatagli dai confratelli prima di salire sul patibolo e delle spese di legna e fascine per il rogo dopo la decapitazione.
All’Archivio della Confraternita di S. Giovanni Decollato è stato rinvenuto il suo testamento, con cui disponeva: che si restituisse quello di cui erano state aggravate le persone che nel 1562 ebbero in prestito da lui e da un suo fattore certi grani, perché fu posto prezzo più alto di quello che valeva (ducati cinque la soma invece di ducati quattro); che per voto fatto doveva maritare un’orfana, pagando tre once (=18 ducati), le quali volle che fossero pagate a scelta del signor Marcello Gambacorta e da lui si facesse l’elezione dell’orfana; che per la celebrazione di messe di san Gregorio per l’anima sua si dessero once sei di elemosina e per dote di due altre orfane; che la Confraternita di S. Giovanni Decollatofacesse celebrare altre messe per l’anima sua.
Nel Libro delle pene e de malefizi del tribunale del Governatore di Roma tenuto da Vincenzo Tacchini capo notaro si rilevano in data 4 di luglio 1566le spese di scudi tre occorsi per comprare legna e fascine per bruciarlo:
Pompeo Delli Monti, in presenza del cugino e cognato card. Marcantonio Colonna, dopo «la renuncia capo per capo a tutti li errori che teneva» il 4 luglio 1566 «in ponte S. Angelo gli fu mozza la testa et poi fu abbrugiato», dopo aver pagato 7.000 scudi – sembra – per non essere arso vivo.
Pompeo Delli Monti, insieme all’altro salentino Giulio Cesare Vanini, è considerato dagli studiosi odierni, un “martire del libero pensiero”.
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