Carmelo Bene, l'ultimo viaggio: le ceneri traslate da Otranto nella piccola Vitigliano

Carmelo Bene, l'ultimo viaggio: le ceneri traslate da Otranto nella piccola Vitigliano
di Vincenzo MARUCCIO
5 Minuti di Lettura
Venerdì 17 Marzo 2023, 14:28 - Ultimo aggiornamento: 18 Marzo, 12:38

Chissà se questo ultimo viaggio gli sarebbe piaciuto. Uno strano ritorno a casa per uno che le radici le aveva spesso viste come una trappola. Lui che aveva sempre ribaltato i luoghi comuni delle inamovibili patrie identitarie. Carmelo Bene, che in realtà della Puglia si è sempre nutrito anche quando era sembrato allontanarsi, ha lasciato da qualche giorno Otranto che era stato il buen retiro degli ultimi anni: le sue ceneri sono state traslate nel cimitero di Vitigliano, piccola frazione di Santa Cesarea Terme da cui proveniva la sua famiglia. È il terzo vertice, quello meno conosciuto, di un ideale triangolo geografico che si completa con Campi Salentina, il paese del nord Salento dove, con il padre Umberto trasferitosi per dirigere il tabacchificio, nacque e frequentò l’Istituto Calasanzio dei padri Scolopi. 

Il ritorno nella sua Vitigliano


Il silenzioso ritorno a Vitigliano segue le tracce della sorella Maria Luisa che negli ultimi anni aveva ingaggiato una battaglia con le eredi (mogli e figlia) del genio scomparso 21 anni fa: sconfitta su quasi tutta la linea, vincitrice sulla destinazione ultima della sepoltura. Un marmo bianco con la scritta “Carmelo Bene” e le date di nascita e di morte. Sotto, le tombe della sorella e del padre. La semplicità che non ti aspetti e la cappella “Famiglia Bene” rivestita di linda pietra leccese. E, quando suona mezzogiorno, giusto il riflesso della finestra aperta. Come lo specchio in un camerino di teatro.
Un luogo che più lontano dai riflettori non ci poteva essere per uno che ha girato il mondo, conquistato le metropoli e attraverso indenne le forche caudine della società massmediatica. Approdo finale paradossale ma, penseranno in tanti, in linea con il personaggio che del ribaltamento di ogni certezza aveva fatto il suo punto di forza. 
Se intervistato da qualche parte nell’universo, forse Bene ne sorriderebbe. La semisconosciuta Vitigliano, proprio no, non l’avrebbe mai immaginata. Ma non per questo si sarebbe opposto o, al contrario, avrebbe pontificato su chissà quale ancestrale identità ritrovata. Meglio lasciarsi andare ad analogie e ricordi più che filosofeggiare alla ricerca della verità. «Auspico una vita più di sensazioni che di pensieri», aveva detto in un’intervista.

Il legame col territorio

Vitigliano come occasione per un viaggio emozionale fino alla casa di vacanze di famiglia sulla vicina scogliera di Santa Cesarea Terme dove ogni estate, da ragazzo, tornava davanti allo stesso mare blu cobalto che più tardi avrebbe ritrovato dai bastioni di Otranto. Santa Cesarea primo palcoscenico per inoltrarsi tra storia e miti. Lì, mescolando religiosità e imprese di guerra, Bene scrisse il libro d’esordio “Nostra Signora dei turchi” che poi diventò l’omonimo film girato nel palazzo moresco degli Sticchi e destinato a conquistare il Festival di Venezia. 
A Campi aveva studiato in collegio e aveva giocato a pallone nei polverosi campetti prima di prendere la strada per Roma. A Otranto, quando la notorietà aveva già toccato il culmine, aveva acquistato la casa bianca e luminosa: fumava alla vista del porto, guardava le partite di calcio in tv e invitava gli amici per rilassanti cene di pesce smentendo la fama di intellettuale irascibile. Nel cimitero idruntino era stato cremato e seppellito in una fredda mattina di marzo dove l’insolito cielo plumbeo sembrava una sua trovata teatrale. Otranto luogo del testamento “tradito” che, quello sì, non avrebbe digerito. Bene aveva immaginato la Fondazione l’Immemoriale (anti-dannunziana già nel titolo, il contrario di un mausoleo) per raccogliere libri, nastri e costumi che, però, sarebbe stata presto “cancellata” per contrasti tra gli eredi.
Un patrimonio materiale e immateriale che, per fortuna, è stato salvato con la nascita del Fondo Archivio Carmelo Bene nella sede dell’ex Convitto Palmieri di Lecce: i volumi della biblioteca personale e un infinito repertorio di materiali. Quasi un miracolo di questi tempi con meriti divisi tra pubblico e privato per lo sforzo ben riuscito di tener viva, ogni volta che un evento ne offre lo spunto, la memoria di un gigante della cultura.
Certo, Bene ci manca ed è un po’ strano detto di uno che aveva disseminato in tutta la sua opera la poetica dell’assenza. 
Più rapsodico che logico, più Rimbaud nelle sue “illuminazioni” che Cartesio nel suo ragionare. Bene ci manca (senza nostalgie) soprattutto per quello che avrebbe potuto ancora dire in questo tempo in cui il “politicamente scorretto” viene consentito senza divieti ma è spesso prodotto di marketing. Doppia la curiosità. La prima: chissà se e come Bene avrebbe utilizzato i social lui che ne aveva anticipato le potenzialità ambigue nel rapporto diretto tra personaggio e followers e tra messaggio ed haters molto prima che i Ferragnez lo trasformassero di strumento di business. Facebook, Twitter e ora Tik Tok come palcoscenico del nuovo millennio permanentemente connesso: Bene non si sarebbe posto limiti per provocare e svegliarci dal torpore. La seconda curiosità: se e cosa avrebbe raccontato ai nativi digitali che non leggono i giornali cartacei e parlano solo la lingua degli smartphone eppure hanno fame di libri, teatro e arte molto più di quanto pensino gli adulti novecenteschi. Ci manca Bene perché si sarebbe inventato qualcosa pur di parlare con questi ragazzi - senza propositi pedagogici, ci mancherebbe altro - o forse solo per alimentare una sana conflittualità mettendo insieme Shakespeare e la trap milanese. 
Ecco di questo ci sarebbe bisogno che si aggiunga al lavoro già svolto dal Fondo Archivio Bene. Di uno spazio dove periodicamente l’opera del genio salentino possa incontrare, e magari scontrarsi, con chi è nato dopo la sua scomparsa: non un museo (seppur bellissimo), ma una rassegna o un festival che di Bene ci racconti la sua capacità di tenere insieme “alto” e “basso”, colto e popolare, l’amore per Holderlin e la passione per Van Basten, il prendersi sul serio giocando e il giocare su cose serie. Prima riascoltandolo nei “Canti Orfici” di Dino Campana o in “Don Chisciotte” di Cervantes e, poi, immaginando cosa avrebbe detto di Pantaleo Corvino che quest’anno ha sbagliato centravanti o di Lolita Lobosco bellissima e bravissima ma pur sempre un gradino sotto Schiavone di Marco Giallini. Lui che pure disprezzava «l’attualità perché - diceva - bisogna contemporanei di tutte le età» apprezzerebbe di sicuro. Ci vorrebbero tre, cinque, dieci giorni per una full immersion dedicata a Bene, fuori dalle torri d’avorio e aperta soprattutto a chi non l’ha mai conosciuto. Per vedere cosa succede. A Roma o altrove poco importa. Sul mare “dei turchi” o, perché no, nel microcosmo di Vitigliano dove mai si sarebbe sognato di ritornare.
[RIPRODUZ-RIS]© RIPRODUZIONE RISERVATA

© RIPRODUZIONE RISERVATA