Di mestiere faccio il linguista/La naturale evoluzione delle parole

Di mestiere faccio il linguista/La naturale evoluzione delle parole
di Rosario COLUCCIA
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Domenica 17 Ottobre 2021, 05:35 - Ultimo aggiornamento: 18 Ottobre, 09:04

Nei media delle settimane scorse, per le ragioni note a tutti, abbiamo incontrato spesso la parola talebano. Dall’Enciclopedia Treccani online traggo la voce, molto ampia e ben articolata, che riproduco solo in parte: «Talebani (o Taliban). Gruppo di fondamentalisti islamici formatisi nelle scuole coraniche afghane e pakistane … Dalla primavera 2021, a seguito del progressivo ritiro delle truppe Nato, il gruppo fondamentalista ha scatenato una nuova offensiva, arrivando nel mese di settembre, terminate le missioni di pace e ottenuto il pieno controllo del Paese, a formare un esecutivo ad interim». La parola italiana viene dall’arabo «talib» ‘studente’, che richiama le scuole coraniche nelle quali si formano ideologicamente i fondamentalisti. 

Dare del "talebano" senza sapere cosa vuol dire


A volte sento o leggo frasi come le seguenti: «Quello è un talebano», «Si comporta come un talebano», riferito a persone che nulla hanno che vedere con il fondamentalismo islamico né con l’Afghanistan, persone che sono nate e vivono in Italia. In questi casi la parola talebano assume significati diversi, significa ‘estremista’, ‘oltranzista’, ‘esaltato’, ‘fazioso’, ‘che ha una posizione radicale rispetto a qualcosa e ricorre a metodi drastici per imporla’. In sostanza. Ha diluito il valore originario specifico, diffondendosi si è generalizzata. Con un processo consueto nella lingua, i nomi sviluppano significati diversi da quello originario, a cui sono in partenza collegati. Le caratteristiche, vere o presunte, di una comunità (di studio, etnica, geografica, linguistica, ecc.) provocano sviluppi semantici significativi.

Polentoni e terroni, una guerra lunga sessant'anni

La parola «polentone» ‘mangiatore di polenta’ è un epiteto spregiativo o scherzoso dato dagli abitanti del sud Italia a quelli dell’Italia settentrionale (attestato in questo senso dal 1942); specularmente, esiste la forma «terrone» ‘nativo dell’Italia meridionale’, con valore spregiativo (dal 1945). A volte gli interessati reagiscono, dando una connotazione positiva alla qualifica censurata. La pubblicità della birra «Terrona» afferma con orgoglio che quella birra «vuole raccontare storie del sud, per far sorridere chi le vive ogni giorno ed innamorare chi ancora non le conosce, un sorso alla volta». 
Alla contrapposizione nord contro sud si affianca spesso quella città contro campagna, in cui il primo elemento è simbolo di progresso contro l’arretratezza e la grossolanità che qualificherebbero il secondo (sappiamo che non è così, ma la lingua a volte riflette stereotipi duri a morire). Abbiamo «burino» ‘villano, contadino (con disprezzo)’, ‘persona dai modi rozzi, zoticone’ (prima attestazione nel 1867, Massimo D’Azeglio; Panzini commenta: «Burino o barrino, voce romanesca, ‘il contadino’, ed anche ‘il rozzo provinciale’, in senso di spregio: ‘male¬ducato, grossolano’»); «villano» ‘abitante della campagna, contadino’ (dal 1313, Dante); «cafone» ‘contadino’ e poi (dal 1892) ‘maleducato’, ‘vagabondo’, ‘ozioso’, ‘scroccone’, ‘rozzo’ (Panzini commenta: «voce dialettale dell’Italia meridionale, estesa poi ad altre regioni: indica persona plebea, villana, rozza, maldestra. Termine ingiurioso»). Allo stesso modo le cose vanno nei dialetti. Il salentino «pòppitu» (anche «pòpputu», «ppòppetu», ecc.) ‘contadino’, ‘rozzo’, ‘villano’, ‘cafone’ è di etimologia controversa: forse da «post oppidum» ‘al di là della città’ o anche «deformazione di “populi”, usato da Sant’Agostino nel significato di ‘gente popolana’» (così Gerhard Rohlfs nel suo straordinario «Vocabolario dei dialetti salentini (Terra d’Otranto)», ancora oggi l’opera migliore di lessicografia dialettale salentina, nonostante siano passati oltre sessant’anni dalla sua prima pubblicazione, datata 1959; nuova edizione 1976, Congedo).
Collaterali sono altri processi.

Lo studio dei nomi propri di località (toponomastica o toponimia) e lo studio dei nomi di persona (antroponomastica o antroponimia) consentono di ricostruire percorsi affascinanti, documentati da libri, riviste e studi vari. Opera di grande rilievo è il «Deonomasticon Italicum. Dizionario storico dei derivati da nomi geografici a da nomi di persona» di Wolfgang Schweickard, professore di Filologia romanza all’università di Saarbrücken, università che anche molti studenti leccesi ben conoscono perché, grazie a un accordo di cooperazione scientifica e didattica tra le università di Lecce (poi Unisalento) e di Saarbrücken, potevano andare a studiare in Germania, a seguire i corsi di Max Pfister (lessicografo di rinomanza mondiale) e del suo allievo Schweickard. 


Tra i detoponimici (nomi comuni derivati da toponimi) vi sono nomi di prodotti e di cibi tipici di una località o di una regione. Vari nomi di vini dipendono da toponimi: ad es. «marsala» ‘vino liquoroso’ (di genere oscillante: «il marsala / la marsala») caratteristico di Marsala, luogo di produzione, voce attestata dal 1855 (nella forma «marsalla») in italiano e prima ancora in inglese (1806), per il fatto che il vino fu prodotto per la prima volta dall’inglese John Woodhouse nel 1773. Frequenti i nomi di formaggi che derivano dalle località ove vengono prodotti: tra questi «gorgonzola», formaggio lombardo (da Gorgonzola in provincia di Milano), termine attestato in italiano, nel 1884, e prima ancora in inglese, nel 1878; «taleggio», tipo di formaggio molle e stagionato, voce documentata dal 1918, da Taleggio (in provincia di Bergamo); «asiago», formaggio a pasta dura prodotto nell’altopiano di Asiago (nel Veneto), parola attestata dal 1955. 
Sono frequenti i fenomeni di associazione concettuale. Origine e nascita di individui e di collettività vengono associate a caratteristiche (vere o più spesso presunte) del territorio di provenienza. Sono quasi proverbiali le qualifiche di «veneziani» come gran signori, «padovani» e «bolognesi» come gran dottori. Spesso con connotazione spregiativa o offensiva: «vicentini» come mangiagatti, «veronesi» come tutti matti, «genovesi» e «scozzesi» come avari. Anche nei dialetti: «capucrossu», «capucruessu» ‘testa grossa’ (a Galatina, a Avetrana), «capucuetti» ‘teste cotte’ («nomignolo che a Mesagne si applica agli abitanti di Latiano») (Gerhard Rohlfs, «Dizionario storico dei soprannomi salentini (Terra d’Otranto)», 1982, Congedo). 
A volte il legame è meno trasparente. Dal toponimo «Bulgaria» derivano verbo «buggerare» ‘compiere atti di sodomia’ e poi ‘ingannare’ e il sostantivo «buggerone» ‘sodomita’, ‘eretico’ e poi ‘individuo che inganna’. «Il punto di partenza è il latino tardo «bugerus», varante di «bulgarus», propriamente ‘bulgaro’, ma in seguito all’eresia patarina dei Bulgari … anche ‘sodomita’», con passaggio offensivo (Schweickard, «Deonomasticon Italicum»). Dal toponimo «Chieti» si sviluppa «teatino» ‘appartenente all’ordine monastico dei teatini’ («fondato nel 1524 da san Gaetano da Thiene e da Giampietro Carafa vescovo di Chieti») e si continua direttamente «chietino» ‘bigotto, ipocrita’ («significato figurato che stigmatizza il rigorismo di Giampietro Carafa vescovo di Chieti e la presunta o reale bigotteria dei membri della confraternita dei teatini») (così ancora Schweickard).
Non abbiamo parlato, finora, dei derivati dai nomi propri. Lo faremo la prossima settimana. 
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