Il giovane Duchesne vendicatore dei telespettatori

di Teo PEPE
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Sabato 11 Ottobre 2014, 11:32 - Ultimo aggiornamento: 14:20
Il nuovo romanzo di Federico Baccomo corre solo un rischio, lo stesso del bellissimo film di Matteo Garrone “Reality” che, superficialmente scambiato per una commedia sul Grande Fratello, fu trascurato dal pubblico e, soprattutto, dagli intellettuali. Speriamo proprio che in questo caso non accada. Come “Reality”, anche “Peep Show” ha per protagonista un concorrente (il più sfigato che si possa immaginare) del Gf, ma ha bersagli molto più ambiziosi del fare la caricatura di un programma tv decotto da anni.



Il Grande Fratello, per Baccomo, è in realtà solo il pretesto per mettere sotto processo (un processo divertente e ricco di humor) l’intera società massmediatica, le sue compagnie di giro, i suoi personaggi inamovibili, le manie devastanti e pervasive che intossicano i social network, le liturgie giornalistico-televisive di cui ormai, instupiditi dall’abitudine, ci sfugge l’elemento grottesco. Il libro è un fuoco d’artificio di situazioni esilaranti basate su un’unica geniale trovata: riproporre la realtà esattamente com’è, solo in qualche caso “leggermente” deformata.



Le parole, per esempio, che nel libro dice Alessia Marcuzzi, sono quelle che ascoltiamo davvero in trasmissione: uguale l’inconsapevole ferocia, identici i vezzi, l’impudica esibizione dei fatti privati dei concorrenti, la spettacolarizzazione della sofferenza di persone disposte a tutto pur di stare in televisione.



Anche quando tira in ballo personaggi noti che nel romanzo impersonano se stessi, Baccomo ne fa ritratti inventati, ma del tutto verosimili: come Laura Pausini che, sfogandosi col tassista, rivela tutto il suo odio per la Fiorella Mannoia coccolata dagli intellettuali, o come Roberto Benigni che, a sessant’anni, si dice stufo di fare il buffone in tv con gli abiti larghi e la parlata toscana. Da applauso, poi, la simulazione degli articoli di alcune grandi firme del giornalismo, a cominciare da un Michele Serra supersnob il quale, dovendo scrivere del Grande Fratello, prima di tutto precisa che lui non possiede un televisore.



Baccomo, insomma, accende una luce critica nel buio del consenso “arreso” che caratterizza il rapporto tra gli italiani e i mass media. Lo stesso buio che permette a migliaia di facce toste, ogni giorno che Dio manda in terra, di ingannarci presentandosi nelle nostre case, scrivendo sui giornali, twittando stupidaggini, sempre con un atteggiamento da soloni, in un paese depresso dove i giovani non hanno speranze e i vecchi nemmeno; dove ci hanno tolto il piacere di credere in una promessa e perfino la possibilità di farne noi agli altri.



Sorprende che Baccomo abbia solo 36 anni, perché per pensare quello che pensa lui ci vuole il disincanto che matura solo con l’età e la stanchezza di chi ha conosciuto troppe delusioni. Sorprende, ma dà anche speranza, perché se in Italia esistono giovani così, capaci di respingere e deridere il “sistema”, allora vuol dire che la situazione è molto meno grave di quello che si può pensare.