Roma, affetti, tradimenti e un segreto di famiglia

Roma, affetti, tradimenti e un segreto di famiglia
di Claudia PRESICCE
4 Minuti di Lettura
Sabato 9 Ottobre 2021, 05:00

“La storia insegna, ma non ha scolari” scriveva con acutezza Antonio Gramsci. E a guardare il presente sempre più affiora la necessità di ripartire dallo sguardo sugli ultimi decenni del secolo scorso, su troppi fatti e misfatti italiani di cui va scolorendo la memoria e che spesso vengono strumentalizzati e accomodati a piacimento nel presente. Troppe cose irrisolte ci siamo lasciati dietro, saltando nel nuovo millennio come nel vuoto. Ma la Storia è sempre lì, dietro di noi e anche davanti. E la letteratura è sempre un ottimo modo per raccontarla, “è una porta laterale per entrare da una prospettiva diversa nella storia” dice il giornalista Pierluigi Battista

È una storia dell’altro secolo quella che lui racconta nel suo romanzo “La casa di Roma” che riprende, attraverso gli avvenimenti di una famiglia di Roma e del suo bel villino liberty nella zona Prati, la narrazione collettiva di anni molto diversi dal presente, ma dei quali tra noi resta ancora la risacca dell’onda. Tra divisioni politiche cruente degli anni Settanta, ancora legate all’ombra lunga delle ideologie del secondo dopoguerra, e la musica che diventa la vera strada per la liberazione dei giovani degli anni Sessanta, si incastra il meccanismo familiare dei Grimaldi, i protagonisti del romanzo. Il libro verrà presentato in due incontri con l’autore oggi a Ostuni e domani a Bari da Pierluigi Battista, che ha scelto la Puglia anche come regione di origine dei suoi personaggi.

Tutto parte quando un nipote dei Grimaldi, Marco, decide di scrivere un libro sulla storia della sua famiglia e invia ai suoi parenti delle mail per ricostruire i pezzi mancanti dell’epopea di suo nonno, fascista della vecchia guardia, e dell’odiato fratello comunista intellettuale. 

Battista cominciamo dall’inizio: in ognuno dei due piani di quel villino liberty di Roma Prati due fratelli con le loro differenze di pensiero e di vita disegnano la differenza tra due mondi che hanno animato il secondo ‘900.

«È una storia che mi porto dentro da moltissimi anni, decine direi, che non è autobiografica però è ambientata nel quartiere in cui sono cresciuto, tra atmosfere e tensioni sociali che ho vissuto e spero di aver qui restituito. Volevo raccontare questo Novecento che qualcuno ha definito “un secolo sbagliato”, che nelle sue punte estreme ha conosciuto guerre, totalitarismi, la shoah, ma anche negli anni di pace, in particolare nei Settanta ha conosciuto scontri politici violenti, il terrorismo ecc».

Si può dire che i protagonisti da cui tutto parte, il fascista e il comunista, sono emblematici di un certo dualismo novecentesco?

«Sì, questa famiglia poi è attraversata da tante fratture, anche oltre la politica.

C’è tutto un mondo di affetti, scontri e tradimenti: direi che ‘tradimento’ è la parola decisiva del libro. I due fratelli che arrivano dalla Puglia sono divisi sin dalla giovinezza, perché uno soldato della Repubblica Sociale si porta addosso per la vita questo marchio che diventa esclusione nell’Italia democratica, mentre l’altro invece è un prestigioso intellettuale dirigente del Pci. Pur vivendo nello stesso villino i due fratelli si detestano, ma custodiscono uno stesso segreto che si andrà scoprendo nel romanzo».

In ogni famiglia c’è un segreto, sembra voler dire...

«Penso che tutti coltivino un segreto, a volte inconfessabile. Nessuno è un blocco granitico vero, e in questo romanzo in particolare ognuno vive dentro di sé contrasti, contraddizioni e lati inconfessati. E Marco il protagonista sceneggiatore trentenne viene attratto dalla complessità di questa storia, e cerca in un giro di mail tra familiari di ricomporre un quadro unitario. In realtà però ognuno dei componenti risponde con una diversa verità da raccontare, tanto che diventerà un lavoro impossibile ricostruire un’unica storia. Emerge per me un quadro in cui si è rotto qualcosa nella trasmissione tra generazioni, si è rotto qualcosa negli ultimi decenni che ha totalmente ribaltato gli schemi novecenteschi in cui la spaccatura tra fascisti e comunisti era fondamentale».

Questa frattura emergerà chiara nella nuova generazione…

«Negli anni Settanta ritroviamo i due cugini che tradiscono i loro rispettivi padri: il figlio del fascista entra nei gruppi dell’estremismo di sinistra e il figlio del comunista in quello di destra. Quando una guerricciola fatta di agguati tra bande di giovani, tipo ‘guappi’ che a Roma si contendevano il territorio, diventa guerra vera loro assistono ad un episodio realmente accaduto in cui perse la vita uno studente greco di medicina, figlio di antifascisti che lo avevano mandato a studiare in Italia. È Mikis Mantakas a sua volta entrato in un gruppo di estrema destra che parteggiava per il regime dei Colonnelli, cioè quello che in Grecia perseguitava i suoi genitori».

Negli anni Sessanta invece la musica è un’altra…

«Anita, madre del protagonista, a 15 anni nel 1965 scappa di casa per andare al famoso concerto dei Beatles a Roma, prendendo in contropiede sia il padre fascista che lo zio comunista che non capiscono quello che sta succedendo perché va oltre le loro categorie della politica. La musica di quegli anni è costume, mentalità nuova che ignora la dimensione politica. Ma dal ’68 in poi tutto cambia di nuovo, però secondo me ha fatto molto di più la musica dei Beatles che mille scontri politici violenti».

© RIPRODUZIONE RISERVATA