Un anno senza Renato Moro/La passione e l’arte di narrare a fondo cronaca e territorio

Un anno senza Renato Moro/La passione e l’arte di narrare a fondo cronaca e territorio
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Giovedì 24 Febbraio 2022, 15:43 - Ultimo aggiornamento: 25 Febbraio, 16:46

Un anno fa come oggi, improvvisamente nel cuore della notte, un inesorabile infarto ha stroncato a soli 60 anni il collega Renato Moro, caporedattore del Nuovo Quotidiano di Puglia. Per ricordarne la figura e l’opera, viene ora realizzato un libro, pubblicato dall’Editore Manni con il contributo di Quotidiano, Università del Salento e Comune di Galatone (che a breve avvierà anche un concorso per le scuole sui temi trattati da Renato nei lunghi anni di lavoro). Qui di seguito un estratto della prefazione al volume. 

Stefano CRISTANTE e Stefano MARTELLA

Raccontare la sua terra: questo ha fatto Renato Moro, instancabilmente, nel corso della sua carriera, conclusasi con la sua scomparsa improvvisa, avvenuta a soli 60 anni. Moro ha raccontato la sua terra lucidamente, con una abilità espressiva di altissimo livello: non aveva nulla da invidiare alle firme più note del giornalismo italiano, anche se non amava i salotti e le cerimonie del potere. Il suo essere schivo, tuttavia, scompariva nel momento di scrivere. Lì il suo talento emergeva limpidamente, senza freni.

È stato un giornalista versatile, camaleontico: da giovane ha navigato nei mari impetuosi della cronaca nera, nell’occhio del ciclone della guerra di mafia, quando la Sacra corona unita imponeva il coprifuoco per le vie dei paesi e c’era un morto ammazzato al giorno. Quando il racket stritolava le imprese, l’eroina inondava le vene di migliaia di giovani salentini e iniziava il maxiprocesso a quella che fu definita la “quarta mafia”. In quegli anni lui era il cronista di giudiziaria per Quotidiano.

Era in grado di rendere avvincente la cronaca giudiziaria, pur non alterando mai la realtà. Una cronaca che passa dalla descrizione dei boss agli attentati ai giudici e alle tangenti imposte ai locali notturni: costava diciotto milioni di lire - ci riferisc in un altro articolo - la protezione di una discoteca per l’intera stagione estiva. Chi stabiliva le tariffe era il boss, che dava incarico ai suoi gregari di riscuotere e vigilare nei locali notturni, e chi sgarrava rischiava la vita. La sua cronaca racconta i legami che la Scu stringeva con la ‘ndrangheta: è una cronaca sul campo, a raccogliere le grida di aiuto degli imprenditori stritolati dal racket e terrorizzati dalle bombe. Non solo carte processuali, dunque. Moro era un cacciatore e un narratore di storie.

Era anche uno sperimentatore di forme narrative e di scritture giornalistiche diverse. Dopo aver lasciato la cronaca nera per assumere un ruolo di coordinamento all’interno della redazione di Quotidiano si dedicò soprattutto alla realizzazione di editoriali e reportage. E anche qui lasciò il segno. Nei suoi reportage riusciva prendere un fatto o il particolare di un fatto e lo tramutava in una storia, dilatandone i confini, giocando su atmosfere, sensazioni, emozioni e sfruttando la propria capacità di scrittura. Del resto, la chiave per il successo di ogni reportage è sempre portare il lettore nel cuore della vicenda. 

A questo proposito, di grande impatto è l’articolo sull’Opis di Lecce, scritto nel 1989, quando la struttura era ancora un manicomio: il giornalista descrive dettagliatamente le condizioni disumane in cui versavano i pazienti, senza indugiare in morbosità ma provocando una forte reazione emotiva nel lettore. Un reportage dall’“inferno”, come scriveva lo stesso Moro. Altrettanto intenso il racconto dell’impatto dell’eroina sul territorio, strettamente correlato ai traffici della Sacra corona unita. Così come il servizio sull’esodo del popolo albanese dopo la caduta del regime di Enver Hoxha e precipitato sull’orlo della guerra civile. 

Attenzione massima era riservata da Moro ai cambiamenti della città di Lecce, che proprio in quegli anni mostrava la prima mutazione del centro storico, da zona degradata a quartiere gentrificato. L’occhiello di un reportage scritto nel 1994 sul cosiddetto rione della “chiesa greca” è significativo di una città che iniziava a vivere un grande cambiamento: “Vent’anni sono passati.

Il quartiere fa ancora schifo ma i ricchi stanno ristrutturando i palazzi e molti avvocati hanno acquistato le case. Le prostitute sono scomparse”.

Renato Moro si è anche occupato massicciamente delle devastazioni procurate dal batterio xylella che iniziava a decimare gli ulivi del Salento e a mutare radicalmente il paesaggio del territorio. Due articoli molto importanti (scritti in due tappe, l’8 e il 15 marzo 2015) determinarono un cambiamento del clima di opinione salentino sulla percezione della gravità della pandemia botanica. 

I due reportage non rappresentano solo un viaggio giornalistico – al cui interno si dà voce alle dichiarazioni di tantissimi coltivatori, fino a documentare una tragica coralità territoriale – ma anche e soprattutto la vera apertura dell’affaire xylella. I lunghi ed emozionanti articoli dell’inviato del Quotidiano, cui il giornale dedica grandi aperture in prima pagina, riescono a scuotere la politica e la società salentina. Da allora il giornalista seguirà la drammatica vicenda per quasi un lustro, fornendo al lettore una bussola per orientarsi nel grande caos di un’epidemia botanica capace di modificare la fisionomia e l’economia di un intero territorio. Ai reportage seguiranno poi editoriali e corsivi che registrano l’avvento di tesi negazioniste e complottiste, il lancio e il blocco dei piani istituzionali di contenimento del batterio, le controverse indagini della Magistratura leccese, l’agitazione senza sbocchi e senza strategia della politica regionale, le difficoltà interpretative dei ricercatori, le contraddittorie indicazioni delle istituzioni europee.

Moro prende posizione su tutti questi aspetti. Attraverso la sua scrittura limpida e diretta non manca di sottolineare i conflitti e le giravolte di una società sconquassata da un flagello cui non si riesce a porre rimedio, fino all’atto d’accusa contro il governo regionale in un articolo del marzo 2019, che non fa sconti a chi doveva capire e intervenire, anche senza curarsi dell’eventuale impopolarità di scelte obbligatorie considerata la gravità di un’epidemia botanica che, a distanza di anni dai primi articoli di Moro, non sembra affatto debellata. 

Questo è il segreto del giornalismo di Renato Moro: investigare il piano locale così accuratamente e con tale evidente passione da spingere ad allargare la visuale del lettore. Renato era capace di usare la propria scrittura come un microscopio e un attimo dopo come un binocolo, fornendo a chi lo leggeva gli strumenti informativi e le argomentazioni necessarie per arrivare a capire i fenomeni di cui si occupava. Chi scrive ha avuto l’occasione di lavorare con lui, sia nel giornale di cui era il motore organizzativo, sia nell’università, di cui è stato più volte ospite – molto apprezzato dagli studenti – nei corsi di comunicazione. La sua scomparsa è troppo recente per poter essere già stata elaborata: Renato disponeva di grandi capacità di relazionarsi agli altri, fossero il suo direttore o il più giovane dei collaboratori di Quotidiano, e il vuoto che ha lasciato non è colmabile. Tuttavia ciò che abbiamo a disposizione sono i suoi articoli, che abbiamo qui organizzato in sezioni tematiche, corrispondenti a quanto abbiano qui velocemente delineato, per renderne più agevole e ordinata la lettura. Dai suoi pezzi, come il lettore potrà verificare, emerge un giornalismo locale che ci auguriamo possa essere conosciuto anche altrove, perché dimostra che – anche nelle periferie del nostro paese – l’ingegno giornalistico sa farsi arte del racconto, e parlare a tutti. Non per questo Renato ci mancherà di meno. Ma almeno potrà continuare a trasmetterci i suoi ferri del mestiere, che poi sono quelli di sempre per chi scrive al suo livello nei giornali: consumare i tacchi, parlare con tutti, pensare a fondo alle cose che accadono e alle loro conseguenze. Un modo di lavorare – e di essere – che vale a Lecce come a Roma o a New York. 

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