Referendum, si fa presto a dire “Sud monarchico”

Referendum, si fa presto a dire “Sud monarchico”
di Francesco BARBAGALLO
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Martedì 1 Giugno 2021, 05:00

A 75 anni dalla nascita della Repubblica va segnalata una importante impresa scientifica diretta dallo storico Maurizio Ridolfi, che ha portato a termine, con la collaborazione di numerosi studiosi, la pubblicazione di ben sei volumi, per i tipi di Viella, sul tema “2 giugno: nascita, storia e memoria della Repubblica”.
Qui si intende dar conto dell’ultimo volume, curato da Ridolfi e da Pierluigi Totaro, dedicato a “I numeri del referendum istituzionale”. Il particolare interesse di questo testo è legato al fatto che la riflessione storiografica sui risultati del referendum analizzati per tutti i 7.189 Comuni italiani si fonda su una preziosa banca dati costruita dai ricercatori Rita Ambrosino e Andrea Genito per un Atlante elettorale dell’Italia repubblicana. Referendum istituzionale del 2 giugno 1946.

La dettagliata analisi statistica e geografica del voto referendario compiuta grazie a questa banca dati dallo storico dell’Università Federico II di Napoli Pierluigi Totaro ha prodotto un significativo ampliamento delle conoscenze acquisite sul voto del 2 giugno, che va ben oltre la tradizionale affermazione di un Centro-Nord repubblicano e di un Sud monarchico.

I risultati del voto

Finora era prevalsa una lettura semplificata del voto referendario: 12.718.000 voti alla repubblica, 10.718.000 alla monarchia. La profonda frattura tra Centro-Nord e Sud era vista solo in termini percentuali. La repubblica al Centro-Nord aveva avuto oltre il 64% dei voti, la monarchia al Sud (continentale e insulare) oltre il 66%. E qui l’analisi per lo più si fermava.

Ora questa ricerca va molto oltre, in una analisi approfondita di quelli che Totaro definisce il «fenomeno monarchico» nel Centro-Nord e il «fenomeno repubblicano» al Sud. Appena si passa dalle percentuali ai voti assoluti, le cose si complicano, e molto. Anzitutto va osservato che la maggioranza dei voti per la monarchia fu espressa nell’Italia centro-settentrionale (oltre 5 milioni e mezzo di voti), soprattutto in Piemonte, Lombardia e Veneto. Il che spiega la persistenza in questi territori di un elettorato moderato confluito nella Democrazia cristiana, che si affermò come partito a prevalente trazione settentrionale, com’era già accaduto per il Partito popolare.

In 4 province del Nord (Cuneo, Asti, Bergamo, Padova), con l’eccezione del capoluogo, la maggioranza dei voti andò alla monarchia; che ottenne più del 40% in altre 7 province (Torino, Imperia, Brescia, Pavia, Vicenza, Verona, Piacenza). Meno consistente appare il “fenomeno repubblicano” nel Mezzogiorno. Ma coglieva nel segno Guido Dorso quando titolava a pochi giorni dal referendum: «I cafoni sono repubblicani». Manlio Rossi Doria avrebbe poi confermato il decisivo voto repubblicano dei contadini nelle zone latifondistiche di Abruzzo, Puglia, Calabria, Sicilia.

Il voto del Sud

La Monarchia perse per due milioni di voti. Il Sud ne diede 2.6000.000 alla repubblica. Le province del Sud che votarono in maggioranza per la repubblica (eccetto il capoluogo) furono 4 (Pescara, Teramo, Agrigento, Trapani); altre 11 superarono il 40% (L’Aquila, Foggia, Potenza, Cosenza, Catanzaro, Caltanissetta, Enna, Ragusa, Siracusa, Cagliari, Nuoro). La Campania fu la regione più monarchica d’Italia con oltre il 76% dei voti; Lecce la provincia più monarchica con l’85%.

Messina, Palermo e Catania diedero alla monarchia più del 70% dei voti.

La regione che diede più voti alla repubblica fu il Trentino di De Gasperi, che superò l’85%; la provincia più repubblicana d’Italia fu Ravenna con oltre l’88% dei voti. L’Italia centrale fu largamente per la repubblica, tranne il Lazio e Roma, dove prevalse di poco il voto monarchico. L’analisi del voto comunale conferma la presenza significativa di forti insediamenti monarchici nel Centro-Nord e di notevoli presìdi repubblicani al Sud. La monarchia ottenne oltre il 40% nel 45,6% dei Comuni del Centro-Nord. La repubblica ebbe più del 40% dei voti nel 38% dei Comuni del Sud. 
Questi dati confermano l’affermazione di un “fenomeno monarchico” nel Centro-Nord e di un “fenomeno repubblicano” al Sud.

Nella Campania monarchica la repubblica conquistò la maggioranza dei voti a Torre Annunziata e a Qualiano e la sfiorò a Castellammare di Stabia, mentre a Giugliano e a Pozzuoli, a Boscotrecase e a Casamarciano superò il 40%. Nelle province interne di Avellino e di Benevento il voto repubblicano conseguì risultati significativi: nel Sannio meridionale e nella vicina Valfortore, nell’Alta Irpinia e nella parte occidentale della provincia di Avellino.
In Irpinia diedero la maggioranza dei voti alla repubblica Aquilonia, Bisaccia e Lacedonia, Guardia Lombardi, Morra De Sanctis e Vallata, San Martino Valle Caudina e Montecalvo Irpino, Flumeri, Frigento e Bagnoli Irpino. Nel Sannio il voto repubblicano prevalse a Baselice, Morcone, Foiano di Val Fortore, Fragneto l’Abate, Castelpagano, Circello, Pontelandolfo, San Lupo, Vitulano.

Nella vasta provincia di Salerno il voto repubblicano fu consistente nell’Alta Valle e nella Piana del Sele, sui monti Alburni e l’Appennino lucano, nell’Alto e Medio Cilento. A Pisciotta votò per la Repubblica l’88% dei 2300 abitanti, memori delle battaglie risorgimentali. Il voto repubblicano superò il 50% ad Albanella, Colliano, Controne, Giungano, Rutino, San Gregorio Magno, Torchiara, Valle dell’Angelo; e oltrepassò il 40% a Eboli, Scafati, Baronissi, Capaccio, Agropoli, Albanella, Sanza, Monte San Giacomo, Roccapiemonte, Piaggine.

Il referendum accentuò la lacerazione di una Italia dissolta da una tragica disfatta e da una feroce guerra civile. L’elezione di un monarchico napoletano, Enrico De Nicola, a capo dello Stato avviò la rinascita e la riunificazione nazionale.

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