Visti da (molto) vicino/ Beatrice Rana
Fortissima al piano. Storia vivace, con brio

Beatrice Rana
Beatrice Rana
di Rosario TORNESELLO
6 Minuti di Lettura
Domenica 1 Giugno 2014, 20:07 - Ultimo aggiornamento: 8 Giugno, 20:33
Dice proprio cos: Venga quando c’ mio marito; meglio. Se dovete raccontare nostra figlia bene ci sia anche lui: Beatrice un parto a quattro mani. N cavoli n cicogne. La procreazione “assistita” artigianato d’eccellenza. Se proprio si cerca la metafora, sia: la ragazza deve essere nata sotto un pianoforte. O sopra. O dentro. Comunque lì. Però va’ a capire quale: in casa ce ne sono quattro. Messi insieme valgono quasi quanto la villetta, che pure merita. Per il più prezioso, ad esempio, il capofamiglia ha dovuto vendere un terreno dei suoi. È un Bösendorfer a coda, suono ricco di armonici, cupo rispetto a uno Steinway & Sons, più dolce già dalla pronuncia. (La nonchalance è truffaldina: la competenza non è come il coraggio, se non ce l’hai te la puoi andare a cercare. Insomma: toccata e fuga. Da Wikipedia).



Comunque Beatrice, il “parto a quattro mani”, non c’è: la sua casa ormai è il mondo. Ha solo 21 anni; è già una star. Agli amanti del genere basterà una parola, anzi due: Van Cliburn. Una sorta di Campionato del mondo di calcio; seguiranno ulteriori spiegazioni. Chiuso l’inciso. I proprietari della “manifattura”, invece, ci sono. E con loro l’ultimo esemplare sfornato in casa, Ludovica, che però deve essere spuntata sotto o sopra o dentro un violoncello, solo che qui sai esattamente dove, perché pure in questo caso di strumenti ce ne sono quattro ma di dimensioni crescenti, per cui puoi immaginare sotto (o sopra o dentro) quale esemplare sia nata lei, la piccola. Oddio, piccola: prepara la Maturità al Virgilio di Lecce, la scorsa settimana ha trionfato al Premio Geminiani di Verona. Tra qualche anno di sicuro toccherà ripassare per un altro ritratto. Messe tutte insieme, qui le mani all’opera sono otto. E “opera” non a caso: marito e moglie sono docenti del Conservatorio, a Lecce. Ci sono Rana che sfamano e altri che lasciano a bocca aperta. Noi siamo qui. Ad Arnesano. (In casa tutti suonano: a occhio e croce, sia detto per gli scettici e i prosaici, è evidente che la cultura dà da mangiare e la musica anche da bere. La controprova a metà intervista, quando apparirà un vassoio con succhi di frutta e altre bevande. Ad ogni modo, per non essere da meno, azzardiamo l’assolo e suoniamo anche noi. Al campanello. E beh...).



All’ingresso Vincenzo Rana e Maria Pina Solazzo. Origini diverse. Per studi e natali. Lui ha frequentato il Conservatorio a Bari, lei a Lecce. Si sono conosciuti in quello di Matera, prime esperienze di lavoro; ritrovati al Politeama Greco. Incroci. «Ventiquattro anni fa. Non è più andato via». Stregato. Ora sono colleghi sotto lo stesso tetto: Lettura della partitura Vincenzo; Teoria ritmica e percezione musicale Maria Pina. La casa è stata costruita intorno alla musica. Le figlie sono cresciute nella musica. Poi uno dice. Il “parco dei suoni” è sotto, interrato. A protezione del vicinato. Accanto al Bösendorfer anche il piano di Beatrice, uno Yamaha da concerto. Ovviamente a coda. Ognuno dei due saprebbe da solo far vibrare teatri da mille posti. Figurarsi in coppia. Lì davanti, come a far la guardia, Lilly. È la grande di casa, una cagnetta di 11 anni. Coda anche per lei. La agita quanto basta. Adagio. Vivace. Allegro. Qui tutto ha una sua estensione armonica. Siccome tutti suonano, ora tutto tace. Il silenzio è sempre il miglior contrappunto ai racconti. Quasi mistico. «Ogni cosa ci rimanda il senso della grazia che abbiamo ricevuto da Dio». (Pure i segni parlano. Il pianoforte, per dire: “Yamaha” è stata anche la prima scuola di musica frequentata da Beatrice a Lecce, con Barbara Lofari. Da allora ne ha fatta di strada. Nel vero senso della parola: Monopoli, conservatorio “Nino Rota”, maestro Benedetto Lupo, terzo posto al Van Cliburn nel 1989, primo italiano ammesso al concorso. Altro segno. Ci arriviamo. Presto. Prestissimo).



Beatrice. Che si diploma in pianoforte con Lupo a 16 anni, lode e menzione. Che si specializza a 18. Che completa il Liceo scientifico dopo essere transitata dal “De Giorgi” di Lecce per approdare a Copertino, al “Don Tonino Bello”, dove un preside illuminato aveva destinato una classe a campioni e artisti. La parabola dei talenti, spiegava. Bisogna metterli a frutto. «Nostra figlia ha una mano pazzesca, una velocità di esecuzione incredibile, una memorizzazione fuori dal comune»: mamma e papà hanno scelto di non essere i suoi maestri. E meno male. Farla studiare in un altro ambiente, con persone estranee al nucleo familiare, le ha consentito di raggiungere risultati straordinari. Van Cliburn. Ok. Ma prima c’è Montreal, concorso internazionale. A 18 anni, alla vigilia della Maturità, supera le selezioni, entra nel novero dei 24 finalisti e vince tutto quel che c’è da vincere. Incluso un bel premio in denaro. Non fa mai male. La più giovane di sempre. La prima italiana. «L’abito lungo per la finale l’ho messo in valigia io. Lei neppure lo sapeva», racconta la madre. Uno dei commissari va in sollucchero: «Mai visto nulla di simile. Vi presento un agente a Parigi». Da allora ne sono successe di cose. In poco, pochissimo tempo. Trasferimento ad Hannover, in Germania, dove studia all’Hochschule für Musik, Theater und Medien col maestro israeliano Arie Vardi. Ci arriva con una borsa del Premio Arturo Benedetti Michelangeli. E poi il Van Cliburn. («Ci vogliono tenacia e forza di volontà. Alcuni traguardi non si raggiungono per caso. La musica è stata la colonna sonora della nostra esistenza, ha scandito i nostri impegni, ha determinato la nostra vita sociale. Più che naturale che le nostre figlie imboccassero questa strada. Il resto lo hanno fatto loro. Quando usciva da scuola ed entrava in auto per andare a Monopoli, in conservatorio, Beatrice addentava il suo panino o mangiava la pasta al forno che le preparavo, poi si stendeva sul sedile di dietro, si copriva con il plaid, poggiava la testa sul cuscino e schiacciava un pisolino fino all’arrivo». Alcuni sacrifici non si dimenticano. Alcuni sapori neppure. Ancora oggi prima di un concerto, in camerino, da sola, divora l’immancabile panino col prosciutto. Adagio).



Il Van Cliburn, eccolo: una storia a parte. Iscritti 250. Ammessi 30. I giovani più promettenti dell’intero pianeta. Finale ogni quattro anni. Un evento. Trampolino di lancio verso la gloria. Zona ricchissima, Texas, Dallas. Sue Ellen e J.R. Cappello da cowboy e zampilli di petrolio. Reminiscenze televisive. Ma di fatto sono 100 dollari per il biglietto della finale. Qualità altissima sul palco e cura maniacale dei dettagli, incluse le caramelle per chi entra in sala nel caso venisse da tossire. Beatrice arriva seconda, medaglia d’argento, 22.500 dollari di premio, passaporto statunitense riservato alle star, tre anni di concerti oltreoceano. Ma per il pubblico è prima: l’Audience Award è suo. Tre minuti di standing ovation. Quattro ritorni in scena per raccogliere gli applausi. Prima donna italiana a salire su quel palco. In passato solo tre uomini, tra cui il suo maestro. Ma mai così in alto. (Dicono che nessuno sia profeta in patria. A lei è andata bene: il 16 maggio scorso è tornata a Lecce per un concerto al Politeama Greco. Neppure il tempo di mettere piede sul palco che dalla platea è partita, forte e chiara, la richiesta di bis. «Un apprezzamento a prescindere», sorridono i suoi. «Qualunque cosa avesse fatto, comunque fosse andata, le avrebbero chiesto un supplemento d’autore». Teatro strapieno, gente fuori. Per Arie Vardi, che ora la segue ad Hannover, uno straordinario talento: unisce la precisione asiatica dell’esecuzione alla passionalità travolgente del Sud. Vivace. Molto).



Il resto è donna. Nel senso che sono profumi e creme. E capelli sempre in piega. E vestiti come si deve. Divagazioni su un tema di disciplina, rigore, all’occorrenza autoironia. Fortuna sia oculata: avendo il mondo a disposizione sa bene dove comprare, cosa e - soprattutto - a quale prezzo. Paga lei, ma spedisce tutto a casa. Manco a farlo apposta, puntuale arriva il postino. Che non ci pensa due volte: si piazza davanti al cancello, alza il braccio e suona. Pure lui. Da queste parti se non è virtù è vizio.





















Visti da (molto) vicino: 30esima puntata.

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