Cassano, Leogrande e la Puglia rimasta senza intellettuali

Cassano, Leogrande e la Puglia rimasta senza intellettuali
di Vincenzo MARUCCIO
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Giovedì 23 Febbraio 2023, 19:20 - Ultimo aggiornamento: 21:26

La cronaca offre sempre lo spunto giusto: la presentazione di un libro, un anniversario, un convegno. Per accorgerci di quello che manca alla Puglia, per ricordare di cosa avrebbe bisogno il Sud: un intellettuale che ne raccolga le voci, squarci il velo dei pregiudizi e indichi una strada. O, almeno, una direzione per non perdersi. A Bari viene presentato il libro "Franco Cassano, a passeggio sui confini" del sociologo Franco Chiarello, dedicato al fondatore del Pensiero Meridiano che ha segnato il passaggio al terzo millennio nella ricerca di una nuova identità territoriale dopo la stagione del meridionalismo novecentesco. Sosta, lentezza e meditazione costituiscono il nutrimento delle sue passeggiate rivelatrici di scoperte, confronti e riflessioni.

I confini del titolo del libro sono i margini geografici come luogo privilegiato per decifrare le contraddizioni della modernità troppo spesso fuori dai radar del mainstream sociologico.
Domani, ad Altamura, viene presentato il libro "L'Italia vista dal Sud. Tommaso Fiore e Alessandro Leogrande" di Rosarianna Romano pubblicato nei mesi scorsi e già circolato tra gli addetti ai lavori: il saggio della giovane studiosa di Gioia del Colle mette in connessione il grande intellettuale di Altamura, che nel Novecento ha messo a nudo dolori e speranze dei meridionali, e lo scrittore-reporter di Taranto prematuramente scomparso pochi anni fa. Distanti nel tempo, eppure uniti dal racconto sociale capace di sporcarsi le mani con la realtà dura e aspra. Da un lato, il meridionalista cantore del "Popolo di formiche"; dall'altro, l'indagatore delle nuove marginalità tra migranti, schiavi-braccianti e vittime dell'inquinamento. La cornice è un convegno voluto dal "Comitato Fiore 50" per i 50 anni dalla morte del pensatore di Altamura.

Storytelling

La scomparsa di Cassano e la tragedia di Leogrande, così ravvicinate, ci hanno lasciato un vuoto. E il territorio sembra rimasto afono affidandosi al botta e risposta mordi-e-fuggi della polemica spicciola. Non che manchino le voci, anzi. Si sono perfino moltiplicate se allarghiamo lo sguardo all'economia, alla narrativa, al cinema e, addirittura, alle serie tv. Paradossalmente la Puglia - ma vale anche per il Sud - si è conquistato uno spazio di storytelling come finora non era mai accaduto: un auto-racconto per rappresentare se stessa finalmente alla pari delle altre aree del Paese e con un'efficacia di verosimiglianza che ne fa un punto di forza oltre certe forzature patinate.
Gli scrittori, innanzitutto. Numerosi e di celebrata fama, eppure in gran parte lontani dai temi sociali - per dirla con le parole della tradizione meridionalista - che ne raccontano le ferite di un'ancora innegabile subalternità. Scrittori stabilmente posizionati nella top ten dei gialli, frequentemente ospiti in tv o capaci di scavare nei meandri del disagio generazionale: una ricchezza (vivaddio) di percorsi letterari che non vorremmo perdere per nessuna ragione al mondo, ma sempre più lontani dall'indagine sulla realtà a cui Cassano e Leogrande ci avevano abituati nello spirito di un meridionalismo che in Puglia, dai tempi di Gaetano Salvemini, aveva dato frutti importanti. Non che dai libri la realtà sia scomparsa del tutto: c'è eccome, ma è spesso circoscritta a singoli mondi - la famiglia, l'adolescenza, la violenza - che non comunicano con altri. Spesso compartimenti stagni settoriali che restringono il campo.
Certo, ad uno scrittore non si può imporre l'uso di una lente macro, a 360 gradi, che allarghi lo spettro dell'osservazione. Ciascuno si sceglie il campo focale. Il risultato è che oggi prevale l'"io" a discapito del "noi", la storia vissuta sulla propria pelle e lontana dagli altri. Ma è un vuoto di realtà collettiva che non presuppone colpevoli e, d'altra parte, il problema non è solo meridionale. Il regno dei social non aiuta: frammenta l'osservazione, la riduce a poche decine di caratteri, ne cristallizza le analisi a fugaci post su Facebook. Al Sud come al Nord, ovviamente.
Eppure la realtà è sotto i nostri occhi. E frena, scuote e cambia la nostra vita quotidiana più di quanto potremmo immaginare: un tempo l'emigrazione in fabbrica a Torino o le rivendicazioni dei contadini in Capitanata; oggi la precarizzazione dei contratti di lavoro, la scarsità dei collegamenti o il divario con il Nord. È vero che, rispetto a 100 anni fa, non c'è più un solo Sud, ma non per questo il racconto del Mezzogiorno può essere ridotto alla commedia o alla Movida d'agosto. Né il racconto della realtà può essere consegnato ad una rilettura tecnicistica: non bastano gli economisti, sia pur competenti come pure ce ne sono dal Gargano a Leuca, a spiegare chi siamo e dove stiamo andando. C'è bisogno di intellettuali che mettano il dito nella piaga interpretando le istanze dell'uomo della strada sotto forma di domande da "girare" a chi governa un territorio. Anche le domande più scomode a patto che sfuggano alle trappole del qualunquismo. C'è bisogno di intellettuali che spieghino come, perché e se è vero che l'autonomia differenziata allargherà il divario con il resto del Paese facendoci fare un clamoroso balzo all'indietro.
Di definizioni ne esistono infinite.

Quella di Pier Paolo Pasolini - forse il modello di intellettuale di cui più sentiamo la mancanza insieme a Leonardo Sciascia - resta una delle più condivisibili e vale la pena di riportarla: "Un intellettuale cerca di seguire tutto ciò che succede e di immaginare tutto ciò che si sa o che si tace. Coordina fatti anche lontani, mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un quadro politico e ristabilisce la logica là dove sembrano regnare arbitrarietà, follia e mistero".

La figura che manca

Ecco, una figura di questo tipo in Puglia non c'è. Uno che esca dal proprio guscio e metta insieme i tasselli del mosaico in uno sguardo di insieme, magari sfidando poteri e potenti. Forse manca un po' di coraggio. Vorremmo essere smentiti, ma è difficile che emerga dalla generazione dei 40-50enni oggi sotto i riflettori. Bisognerà aspettare la prossima. A chi tocca? Forse alle Università chiamate a invertire la rotta creando le condizioni ideali perché analisi della realtà ed elaborazione di un pensiero tornino ad essere le fondamenta per raccontare un territorio andando oltre il semplice "battere i pugni sul tavolo". Non è vero che le nuove generazioni vogliano solo giocare alla Playstation o cenare in un sushi bar. C'è quello (per fortuna), ma c'è anche molto altro. Tenere aperte le porte delle conoscenze, oltre gli steccati e i recinti, è la chiave. E, un giorno o l'altro, altri Cassano e altri Leogrande nasceranno.
 

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